Dalla campagna elettorale per
le ultime elezioni politiche ad oggi non so quante promesse e buoni propositi ho
sentito spendere in merito alla disoccupazione e al lavoro precario da parte
degli esponenti politici che, per lavoro appunto, dovrebbero risanare il nostro
Paese. Quanti discorsi che, con sdegno e tono grave, ci ripetono fino alla
nausea la percentuale di disoccupazione, l’impoverimento della società e il
dilagare del lavoro precario! Un bombardamento di parole che collassa su se
stesso e più che dare il senso dell’impegno per risolvere una situazione,
offrono la sensazione che nessuno dei nostri rappresentanti politici abbia idea
di quello che si può e si deve fare. Tutto ciò porta ad una conseguenza
orribile e paradossale: a forza di blaterare e urlare in maniera sconsiderata
concetti privi di un reale progetto di attuazione, c’è il rischio di
banalizzare e rendere cliché quelli che sono invece tangibili problemi reali.
Pensiamo, per esempio, proprio al termine precario, l’ho sentito associare a
tutto di più: generazione precaria, scuola precaria, governo precario, relazioni
precarie, matrimoni precari, vite precarie, maternità precaria, giustizia precaria
… per un po’ abbiamo avuto anche una papa precario! “Precario” è diventato
ormai un termine immediato, chiaro ed elastico per descrivere tout court tutto
quello che non va come dovrebbe e, in un certo senso, per giustificarsi
spiegando che il blob del precariato sta invadendo ogni livello della società e
dell’esistenza per la degenerazione della crisi contemporanea. Il precariato,
anziché essere considerato il risultato di scelte politiche ed economiche
rivolte solo al tornaconto personale o di pochi privilegiati, di un sistema
clientelare dove sussiste ancora la logica mafiosa della famiglia e dove le
strategie di sviluppo sono un mero scambio di favori, viene propinato come la
conseguenza fisiologica di una crisi descritta come una malefica entità
sovrannaturale che arriva da Marte! E il precario diventa sempre più precario:
naturalizzato come abitante della nuova Precarialand, non è più una situazione
critica da risolvere, ma un nuovo stereotipo del mondo contemporaneo, perde
consistenza e diventa una parola ad effetto per strappare un applauso in un
talk show o per rendere credibile e convincente un programma elettorale. Non
sono un concetto evanescente, vi assicuro che i precari esistono, non sono una
fiaba messa in giro per spaventare i bambini poco diligenti: “Studia che
altrimenti diventi precario e lo rimani per tutta la vita”. Precario è una
parola importante, da utilizzare con il rispetto e la competenza che gli sono
dovuti, non è uno slogan efficace per guadagnare consenso e non è nemmeno un
palliativo per giustificare l’incompetenza e il disimpegno della politica.
Quante volte lo sentiremo dire: “d’altra parte questo è un periodo di crisi, un
periodo precario, non possiamo pensare di risolvere tutto in breve tempo”. Cari
politici, basta parole, ora i fatti perché io sono una precaria e mi sono
rotta:
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