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lunedì 15 luglio 2013

La riconciliazione di un precario: una proroga e una frittata

Questa mattina, in ufficio, mi è stata recapitata dal custode una raccomandata a mano personale: il mio contratto, che sarebbe dovuto scadere fra una decina di giorni, è stato prorogato fino al 31 dicembre. Niente di eccezionale, una proroga di poco più di cinque mesi, che però ha contribuito notevolmente a calmare quello strisciante senso di inquietudine che, inevitabilmente, ti coglie quando incominci a riflettere sul fatto che il tuo contratto terminerà prima degli yogurt senza conservanti che hai nel frigo!
“In relazione al rapporto di lavoro istaurato con la Sig.ra Vispa Teresa, assunta a tempo determinato a decorrere dal 21/01/2013 fino al 21/07/2013, informo che, a seguito del permanere delle esigenze che ne hanno reso necessario il reclutamento, tale rapporto di lavoro è prorogato fino al 31/12/2013”.
Tutto qui: ma queste poche parole, frutto probabilmente di un meccanico e svagato copia incolla, nella mia testa suonano più rilassanti ed emozionanti del notturno in do diesis minore di Chopin! No, non abbiate paura, non sto manifestando i primi fastidiosi sintomi della sindrome di Pollyanna, è solo che stasera è una bellissima serata di luglio, ho in frigo una fresca bottiglia di vino bianco che intendo gustare in tranquillità ed ho bisogno di riconciliarmi un po’ con me stessa. La questione cruciale della scadenza del contratto non è stata risolta, è stato piuttosto “prorogata”, ma stasera ho deciso di prendere una giornata libera e di prorogare anche i problemi e le ansie! Dove eravamo rimasti? Una bellissima giornata di luglio, una bottiglia di vino bianco … e con il vino? Una frittatina veloce e profumata. Devo rassicurarvi ancora una volta: no ho intenzione di accattivarmi la simpatia dei miei affezionati e numerosi (?) lettori cavalcando l’onda di successo dei blog di ricette … per cui, fra l’altro, non avrei neppure le competenza! Lo ripeto questo non è un post culinario ma un esercizio di riconciliazione con me stessa! La ricetta è di una semplicità disarmante, praticamente intuitiva, e gli ingredienti sono il minimo indispensabile: quattro uova, parmigiano, sale, un filo di olio di oliva e qualche aroma del mio “orto” (n.d.r. trattasi di un’aiuola a semicerchio di, più o meno, un metro di diametro!). Non sono capace di cuocerla nella padella e così risolvo alla mia inettitudine ai fornelli cucinandola al forno: come ho già detto, stasera niente complicazioni e, se si può, niente ustioni con l’olio bollente! Accendo il forno a 200°. Prendo un zuppiera di vetro e, una dopo l’altra, spacco le quattro uova (ricetta per due!)… mi piace farlo lentamente, rompendo il guscio con un sordo schiocco lungo il bordo della zuppiera e facendolo scivolare dentro con un tuffo calmo e solenne. Mi piace la sensazione fresca e appiccicosa dell’albume sulle dita e il giallo perfetto e luminoso dei tuorli che rimangono interi. Poi, tutto rigorosamente ad occhio e secondo il gusto personale, verso il sale, il parmigiano grattugiato e mescolo tutto insieme, dall’alto verso il basso, senza esagerare … quanto basta per far amalgamare le chiare ai rossi. Prendo una teglia antiaderente di forma circolare e, lentamente, ci faccio scivolare tutto il composto: piano piano, a rallentatore, per godere del contrasto tra la cremosità gialla delle uova che, morbidosamente, si allarga sul fondo nero della teglia. 

Il più è fatto: non resta che mettere la teglia nel forno, ormai caldo, e attendere poco più di un quarto d’ora! Mentre la frittata cuoce, il forno emana un profumino ghiotto e accogliente che mi dà buonumore e serenità . Divago pensando ad una bellissima scena di uno dei mie film preferiti, Una giornata particolare di Ettore Scola , dove Marcello Mastroianni e Sofia Loren, vivono un tragico e tenero momento di empatia fisica ed emotiva che ha inizio proprio con la condivisione di una frittata preparata da Mastroianni: 





 Ed ecco che finalmente la mia frittata è pronta, il sole è tramontato e la tavola apparecchiata per due: una perfetta serata tranquilla per riconciliarsi con se stessi. Domani pensiamo a tutto il resto, ma stasera niente deve turbare questa bellissima quiete. Stasera deve andare così e, tanto per rimanere sulla linea della citazione cinematografica: domani è un altro giorno!





domenica 18 novembre 2012

Cinema e Precariato


Il film della domenica di PrecariaMente: I lunedì al sole


<<"La peggiore ingiustizia della disoccupazione: vi obbliga ad accettare il primo posto che vi si offre, fosse anche il più contrario alla vostra vocazione, con la minaccia di passare per un perdigiorno e di vedersi rifiutare ogni specie di aiuto e di considerazione amichevole. Beneficio corrispondente: si è costretti a scegliere nettamente tra la propria vocazione e l'opinione."Si tratta di una delle ultime considerazioni proposte da Denis De Rougemont nel suo Diario di un intellettuale disoccupato (Fazi Editore, Roma 1997, pag. 216), pubblicato per la prima volta nel 1937, in Francia. Parole che calzerebbero a pennello come commento a una delle tante scene girate nel bar dove si ritrovano gli amici protagonisti di I lunedì al sole: la scena del litigio, quella in cui l'unità, invocata da Santa (Javier Bardem) come unica risposta efficace alla politica dei licenziamenti, viene derisa con sufficienza da chi ha ancora un lavoro. La stessa unità che, tra amici, colleghi, compañeros e familiari, appare poi come l'unica reale soluzione, quasi un imperativo, per aprirsi una via di scampo.>>




mercoledì 25 luglio 2012

Avete presente gli Umpa Lumpa?

La Nestlè ha sempre suscitato in me dei profondi contrasti interiori.

Da una parte, le numerose critiche alla politica commerciale della più grande azienda del settore alimentare - ultima la condanna, insieme alla Tetrapack, per l’inquinamento del latte Nidina con Itx - che hanno sempre sollecitato l' idealista che è in me facendomi aderire alle svariate campagne di boicottaggio. Dall’altra, il Nesquik, il gelato fior di latte senza glutine, gli Smarties, il Galak, per non parlare di tutte quelle golosità cioccolatose e iper-caloriche della Perugina, mettono a dura prova la mia etica di consumatore consapevole.

Ma anche a  un’inguaribile cioccolato-dipendente come me viene voglia di urlare di nuovo al boicottaggio quando sente la proposta che la multinazionale ha avanzato ai dipendenti della Perugina: ridurre il proprio orario di lavoro da 40 a 30 ore settimanali in cambio dell’assunzione di un figlio con contratto flessibile. L’azienda ha definito questa proposta un “patto generazionale per favorire l’occupazione giovanile". La Cgil, sindacato di maggioranza nella fabbrica di cioccolato, risponde che “La proposta di Nestlè di barattare i diritti del lavoratori dello stabilimento Perugina di San Sisto, acquistati negli anni, con una prospettiva di lavoro, comunque flessibile, per i figli, è assolutamente inaccettabile oltre che impraticabile (…) prima di tutto perché non risolverebbe né i problemi occupazionali, né quelli della fabbrica”. Come da copione, gli errori di anni di cattivo management vanno a cadere sulle spalle dei dipendenti: con il meccanismo proposto dall’azienda, gli attuali operai si vedrebbero ridurre il salario di una quota che potrebbe arrivare al 40%, mentre lo stipendio di un nuovo assunto part-time non gli permetterebbe mai di rendersi autonomo.

Avete presente gli Umpa Lumpa del film La fabbrica di cioccolato?


Umpa Lumpa o Precari?


Willy Wonka, padrone di una grandissima fabbrica di cioccolato, trovò gli Umpa Lumpa ad Oompalandia, una regione di Oompa, una piccola isola situata nell’Oceano Pacifico. Gli Umpa Lumpa vanno pazzi per il cacao ma, sfortunatamente, nella loro terra riescono a trovarne solo un seme, tre massimo, all’anno. Così Willy Wonka offre loro di lavorare nella sua fabbrica dove potranno gustare cacao in abbondanza e gli Umpa Lumpa, felici dell’offerta, diventeranno lavoratori fedeli e operosissimi! Che dire, ormai i lavoratori sono considerati alla stregua di esotici omuncoli immaginari: presi per la gola da un inconsistente e precaria assunzione per un figlio e riconoscenti al buon padrone che ti tiene ancora al lavoro e ti permette di portare a casa il pane... ma senza cioccolato, perché quello se va nella riduzione! 

Chissà quando incominceranno a chiedere di fare qualche balletto:



Sara C.




domenica 1 luglio 2012

Della serie: I soliti ignoti erano dei professionisti...


Ho scoperto che sul sito web dell’ANSA esiste una sezione, tra gli Speciali, denominata Storie dalla crisi. Attira la mia attenzione questo titolo: Senza lavoro e con sfratto, operario si improvvisa rapinatore. Colpi in sala slot per pagare bollette e trasloco, arrestato. Nel dettaglio si legge: "Senza lavoro e costretto a lasciare casa entro la fine del mese si improvvisa rapinatore seriale di slot. Quarantasette anni, della provincia di Udine, ex operaio del settore edile, senza lavoro da circa un anno, è stato sottoposto a fermo dalla Squadra Mobile di Udine su indicazione del Pm quale presunto autore di due rapine e di una terza tentata messe a segno il 14, 20 e 22 giugno in una sala slot a Udine”.

In un primo momento mi ci viene un po’ da ridere, perché la descrizione del rapinatore mi fa venire in mente i personaggi de I soliti ignoti di Monicelli: i protagonisti sono il fotografo Tiberio Braschi, con un figlio e la moglie in carcere per traffico di tabacchi, il siciliano Michele Ferribotte Nicosia, il vecchio ladro esperto Dante Cruciani - che insegna il mestiere ai giovani delinquenti - ditemi se non potrebbe pure essere scritturato l'operaio esperto nella rapina di slot!

L’articolo segue: “Accompagnato in questura ha ammesso le sue responsabilità spiegando il gesto per la disperazione. I tremila euro frutto della prima rapina li avrebbe usati per pagare le bollette e il trasloco dall’abitazione che divide con l’ex moglie e che deve lasciare entro fine mese, non riuscendo più a pagare l’affitto”.

Lungi da me scagionare l'operaio o trovare una motivazione razionale che giustifichi la sua reazione ma - ammetto - che certe vicende non mi scandalizzano affatto e che, potrà sembrare assurdo, mi inteneriscono quasi! Sull’onda della commozione e del sentimentalismo mi viene da pensare che ci hanno proprio messo alle corde e che, come il pugile di Monicelli, Giuseppe - Peppe er Pantera - Baiocchi, l’avventura del nostro rapinatore amatoriale si concluderà senza un happy end e senza nemmeno potersi rinfrancare con un piatto di pasta e ceci della Nicoletta!

Non so perché, ma questa vicenda mi fa venire questa celebre battuta tratta proprio da I soliti ignoti:

- Dimmi un po’ ragassolo, tu conosci un certo Mario che abita qua intorno?
- Qui de Mario ce ne so cento.
- Oh sì va bene, ma questo l’è uno che ruba…
- Sempre cento so.

Sara C.




sabato 23 giugno 2012

Precariamente - Little Miss Public Competition



Qualche mese fa diversi quotidiani hanno pubblicato articoli che proclamavano sfacciatamente come, in molti concorsi per l’assunzione di personale, si presentino troppo spesso candidati impreparati e poco motivati. Allora giù con articoli e opinioni per ribadire quanto i giovani siano svogliati, sfigati e bamboccioni.

Ora, eviterò la sequela indecorosa delle risposte sincere che vorrei offrire ai redattori e mi limiterò a parlare di me stessa - e non è perché sia particolarmente egocentrica - ma perché circa il prepararsi per affrontare un concorso pubblico ho, ormai, la mia discreta dose di esperienza.

Fin da quando frequentavo l’università, sono sempre stata una di quelle studentesse che non avrebbero mai sostenuto un esame se prima non avevano passato in rassegna ogni centimetro quadro dei libri in programma. Poi, dato che non volevo assolutamente dare l’idea di essere una di quelle che imparano la lezione a pappagallo, per fare mia la materia di studio, trascorrevo giornate a indottrinare la pianta sul davanzale della finestra. Se poi la materia mi appassionava, mi lasciavo anche andare a qualche lettura consigliata o scovata nella bibliografia di qualche testo d'esame. Ho mantenuto le stesse buone intenzioni anche per prepararmi ai concorsi: cerco di digerire gli statuti e i regolamenti - che non puoi far altro che ripetere all’infinito - mi documento sulla professione che potrei essere chiamata a svolgere e sulle attività dell’ente che bandisce la selezione pubblica. 

Sono andata avanti così, sicura che lo studio e l’impegno avrebbero prima o poi dato i loro frutti, finché, dopo essermi scontrata con uno, due, infiniti concorsi in cui al massimo riuscivo a piazzarmi esima in graduatoria, non ho sconsolatamente realizzato che l’impegno o lo studio incidono sul risultato di un concorso, sì e no, per una percentuale decisamente insufficiente se la tua aspirazione è quella di raggiungere almeno lo scalino più basso del podio.

Ripenso ad uno dei concorsi che ho fatto, circa un anno fa: io, immobile e stordita,  con le dispense tra le mani, le matite da scolaretta e la cioccolata fondente per i cali di pressione, catturata in una fitta rete tessuta con sorrisini ammiccanti scambiati, evidentemente, tra vecchie conoscenze, rapporti di convenienza ed accordi diplomatici che vanificano tutti i miei sforzi e neutralizzano le mie aspettative.

Mi sento come Olive che si esibisce per conquistare il titolo di Little Miss Sunshine a Redondo Beach: sulle note di Superfreak di Rick James; mi aggiro, ingenua, impacciata e fuori luogo, tra gruppetti di candidati che, dall’aspetto deciso e debordanti autostima,  sembrano tutti più preparati e intraprendenti di me!

Nonostante non abbandoni il mio patologico approccio da studentessa diligente tendente al secchione, sono decisamente molto meno ingenua di quando frequentavo l’università e sono stanca, emotivamente e mentalmente, di farmi prendere in giro partecipando a concorsi in cui solo io non conosco il nome del vincitore. Ed è per questo che dico che non è il caso di allibire se i candidati si presentano ai concorsi impreparati e poco, o per niente, motivati:  di fronte all’impossibilità di contare sulle proprie capacità e sui propri sforzi, l’unica risorsa rimane quella di tentare la sorte e di provare un concorso come si compra un Gratta e vinci al tabacchino.

Ed io, come Olive, con l’animo pieno di dubbi e di insicurezze, ma forte della mia integrità e della consapevolezza di avere di fronte delle persone che credono in me, vado avanti e mi esibisco fino alla fine.




Sara C.

La sindrome di Lulù


Ed anche questo contratto a tempo determinato si avvia alla sua conclusione e, almeno per ora, non esiste nessuna possibilità di proroga o di rinnovo. Il contratto scadrà il 30 settembre e - sebbene qualcuno insista a dirmi che manca ancora un bel po’ di tempo - faccio fatica ad essere fiduciosa e passo in rassegna tutto quello che ho sulla scrivania per non lasciare niente di mio: la tazza portapenne, le casse, il barattolo con le conchiglie che funge da fermacarte, l’ombrello di scorta per i cambiamenti di tempo repentini e lo spazzolino da denti.
Provo un po’ di nausea mista a rabbia per tutto l’impegno che ho profuso fino ad ora e che se ne va via col vento fastidioso che soffia oggi; un po’ di ansia per le rate del mutuo e un senso di spossatezza al pensiero di dover rimettermi in cerca di qualcosa da fare. 


In questo turbinio di pensieri malsani, fa capolino però una piacevole, quanto incosciente, sensazione che, sul momento, mi sorprende. Una strana eccitazione che mi cammina lungo la schiena e mi fa provare un forte senso di liberazione; mi prende la frenesia di infilare la tazza e il barattolo con le conchiglie nella borsa e le casse sotto braccio e arrivederci e grazie! 
Ed ecco che, quando sto per spegnere il pc, l’impulso di pazzia - o di cruda lucidità? - si squaglia come un cremino al sole sul marrone anonimo della mia scrivania.

Ho deciso di chiamare questa sensazione la sindrome di Lulù.


Lulù, protagonista de La classe operaia va in paradiso, è un operaio milanese con l’ulcera, campione del cottimo, odiato dai compagni e amato dal padrone, che - a seguito di un incidente - perde prima un dito della mano e poi il lavoro, passando così da ultracottimista a ultracontestatore.
Alla pazzia che sembra, inizialmente, ammorbare il protagonista, sottoposto a certi meccanismi alienanti del sistema di produzione fordista, segue un estatico senso di liberazione proprio in virtù del licenziamento patito e l’epifania di come la società – fondata su di uno sterile consumismo di massa – non sia in grado di rendere nobilitante l’esperienza del lavoro.

E’ questa la vita? – si chiede Lulù ad uno dei tanti consigli di fabbrica.




Sara C.

 
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