mercoledì 25 dicembre 2013

Un concorso pubblico, una forchettina e un'assuzione a tempo indeterminato

Questa è la storia di cosa ho fatto in questi ultimi cinque mesi e del perchè giro con una forchettina da aperitivo nella borsa.

La forchettina in questione l'ho rubata (...oops, l'ho detto!) nel bar dove solitamente prendo il caffè prima di entrare in ufficio e dove, eccezionalmente, ho brindato per aver sostenuto l'orale di un concorso pubblico all'Università di Pisa (per festeggiare il solo fatto che avevo concluso le prove della selezione), per aver conquistato la medaglia di bronzo al concorso in questione e perchè sarò assunta, dal 30 dicembre, a tempo indeterminato. 

Perché impossessarmi indebitamente di una forchettina? Per tenerla nella tasca laterale della mia borsa e punzecchiarmi ogni qualvolta ho bisogno di capire che sono sveglia e non sto vagando nei miei sogni proibiti di precaria arrabbiata e irrequieta.

“Assunta a tempo indeterminato”:  una piccola frase che racchiude quasi un anno di studio per prepararsi ad un concorso, otto anni di lavoro precario, giornate di lavoro infinite per dimostrare quanto valgo, quanto sarei stata indispensabile e quanto sarebbe stato utile rinnovare il mio rapporto di lavoro. Corsi di formazione a cui ho partecipato, corsi professionalizzanti a cui non sono stata ammessa perché “troppo qualificata”, centinaia di curricula inviati senza ricevere nessuna risposta. E ancora: pianti di rabbia per promesse disattese, slanci di euforia per ogni nuovo contratto a tempo determinato firmato e un forte senso di disorientamento ogni volta che ci mi avvicinavo alla scadenza. Non mi sembra vero che tutto ciò sia finito: cammino in punta di piedi, cauta e silenziosa, come se quello che sta succedendo possa scoppiare e svanire nel nulla come una bolla di sapone.

Ma so che non succederà, perchè anche se ancora non riesco a rilassarmi e a rendermi conto dell’importante novità che mi aspetta, la fatica che ho fatto per raggiungere questo risultato è ancora troppo viva, pressante e reale e non riuscirò a levarmela di dosso tanto facilmente.  Anche perché, lo ammetto, questa stanchezza  è ciò che veramente mi rende orgogliosa di me stessa: quello che ho ottenuto è solamente il risultato del mio impegno. Niente raccomandazioni, strizzatine d’occhio e compromessi: solo io.

Per tutto questo, tra l'emozione di un risultato appena raggiunto e la fresca sensazione di tranquillità di non dover più aggiornare il curriculum vitae, è ancora viva e più pulsante in me la solidarietà verso chi si deve ancora barcamenare nell'inquietante e incerta dimensione del lavoro precario ed è per questo che PrecariaMente continuerà a sostenere la propria causa, con una sola differenza: nuovo anno, nuovo blog.

Buone feste e a presto!





venerdì 2 agosto 2013

I doveri di un precario. Lo ammetto: ho inviato la mia candidatura a IKEA!

Ci siamo, anche a Pisa sbarca l’inarrestabile colosso IKEA. Un nuovo mastodontico store di quasi 34.000 mq che, per prima cosa, più che ispirare all’acquisto di divani, cucine e librerie a basso costo, fa pensare a nuovi posti di lavoro.
So che suona decisamente snob ma io l’ho sempre odiata IKEA! Odio quell’odore di compensato misto a colla che aleggia nei negozi e che, dopo dieci minuti di entusiasmo all’idea di un colorato shopping a basso costo, mi penetra nel cervello e mi fa venire la nausea. Mi innervosisco a montare quelle cavolo di librerie Billy che tutti mi dicono essere un gioco da ragazzi e che per me vuole dire impazzire per una giornata intera per ritrovarmi con la casa piena di trucioli, viti dall’aspetto enigmatico e tavolette  di legno sfasate. E odio quei prelibati biscotti svedesi, concentrato di burro e zucchero, che tutti non possono fare a meno di comprare e per il mio intestino intollerante al glutine rappresentano una vera e propria bomba atomica!
Ma, da precaria, porto costantemente dentro di me quel maledetto senso del dovere per cui rinunciare a sfruttare un’opportunità lavorativa che possa prevedere un contratto a tempo indeterminato provocherebbe un senso di colpa decisamente più intollerante del glutine!
Metto da parte tutta la mia ritrosia e il mio snobismo, accedo alla sezione “Lavora con noi” del sito www.ikea.com dove si spiega subito che candidarsi a lavorare per IKEA è semplicissimo:

1: Usa il nostro motore di ricerca per trovare il lavoro adatto a te.2: Inviaci il tuo CV, contenente tutte le informazioni più rilevanti, con una lettera di accompagnamento.3: Ti invieremo una notifica quando riceveremo la tua domanda e ti terremo aggiornato.

E’ facilissimo? Che problema c’è?

Quindi: primo passo, capire qual è il lavoro più adatto a me. Leggo le parole di Magnus Anderson - ma vuoi mettere lavorare per uno che si chiama Magnus? -, store manager IKEA Pisa:

“Abbiamo bisogno di persone schiette ed oneste che, come noi, abbiano la passione per l’arredamento e per i clienti, e che ci aiutino a diventare leader nel vivere la casa cogliendo la sfida di creare un nuovo punto vendita. Vogliamo persone che amino lavorare in gruppo per un obiettivo comune, che non abbiano paura di assumersi responsabilità , anche sbagliando, e che non smettano mai di chiedersi il “perché” delle cose. Abbiamo bisogno del contributo di persone flessibili e disponibili a lavorare quando il nostro cliente ha bisogno di noi e che siano ambasciatori dei valori e della cultura IKEA.”
Schietta, onesta, a cui piace lavorare in gruppo, disposta ad assumermi le mie responsabilità: fino ci qui, ci sono! Che non smettano di chiedersi il “perché delle cose”: questo mi capita un milione di volte al giorno … soprattutto se penso a nomi dei mobili IKEA! Persone flessibili e disponibili: queste richieste mi rendono sempre terribilmente sospettosa e contrariata. ”Che siano ambasciatori dei valori e della cultura IKEA”. Della cultura IKEA? Ma cos è la cultura IKEA? Vabbè, preferisco glissare, almeno per questa volta, e non chiedermi perché, convincermi che sono proprio un ignorante e che è un problema mio se, nel 2013, ancora non conosco la cultura IKEA!

Per documentarmi leggo la sezione dedicata ai valori dell’azienda: Umiltà e forza di volontà; Leadership attraverso il buon esempio; Avere il coraggio di essere differenti; Collaborazione ed entusiasmo; Attenzione ai costi; Desiderio continuo di rinnovamento; Assumersi e delegare le responsabilità.
Allora, o vomito o la pianto di fare le manfrine e invio questo maledetto curriculum vitae!
Bene, faccio mia la frase “Incoraggiamo i collaboratori a sfruttare il proprio potenziale e a superare le aspettative. Bisogna anche essere capaci di imparare dai propri errori” e invio la mia candidatura. Ora non mi resta che aspettare la notifica e tutte le informazioni sul da farsi.


Che dire: vi farò sapere!


sabato 27 luglio 2013

La ricetta giusta per la carriera. Ovvero, come disgustare un precario!

Anche questa volta devo deludervi poiché - come si potrebbe erroneamente dedurre dal titolo - non si tratta di uno sfizioso post culinario e,  nonostante gli sforzi, non sono ancora riuscita ad individuare quel mix di ingredienti, misti a talento e fortuna, che può farci uscire dal tunnel del precariato con tanto di scattante avanzamento di carriera!

La ricetta giusta per la carriera” è un articolo, rimanendo nell’ambito del lessico alimentare, per me alquanto nauseante, del settimanale femminile D de La Repubblica che, suggerisce ai giovani di iscriversi ad una scuola di cucina professionale per prepararsi alle professioni dell’altra cucina. Anche se sono convinta che ben poche persone decidano di intraprendere una scelta di studi e di vita come conseguenza di un articolo letto su una rivista, credo che sia un po’ ipocrita e inverosimile scrivere cose del tipo “puntare su una scuola (n.d.r. di cucina professionale) accreditata è un buon investimento anti-crisi”. Non voglio certamente mettere in dubbio le percentuali di assunzione di chi esce da una scuola di alta cucina, vorrei solo puntualizzare che “quei 15 mila euro per 11 mesi di corso (la tariffa standard per un scuola culinaria)” non sono un investimento sul futuro dei figli che molti genitori, soprattutto nell’Italia di oggi, potranno permettersi con molta facilità.

Dal curriculum vitae di una delle due chef citate nell’articolo,  Cristina Bowerman, deduco che non si tratta proprio della figlia diligente e talentuosa di un pizzaiolo di periferia: nata a Cerignola (FO), dopo la laurea in Giurisprudenza continua gli studi forensi presso l'Università di San Francisco in California (USA), dove ottiene il suo primo lavoro in cucina, in un noto breakfast place chiamato Higher Grounds. Negli anni successivi continua a coltivare la passione culinaria e, una volta trasferita ad Austin (Texas) , fonda la piccola compagnia The Two Skinny Ladies e cucina a domicilio. Maturata la decisione di diventare una professionista della cucina, si laurea in Arti Culinarie nel 2002 presso l'Università di Austin con il programma della famosa scuola parigina Cordon Bleu. Nel 2004, dopo svariate esperienze di rilievo e non negli Stati Uniti, risalenti anche al periodo del corso di laurea, tra cui spicca quella per il Driskill Grill, decide di ritornare in Italia per un'esperienza professionale, scegliendo il Convivio Troiani, noto stellato romano.

Non discuto l’alta professionalità e la competenza della Bowerman ma, onestamente, il suo percorso di formazione non è proprio alla portata di tutti!  Bowerman afferma “superate lo svantaggio biologico puntando dritte all’alta cucina. Lì si pensa di più e di fatica di meno rispetto ad una trattoria”. Cavolo … ecco dove ho sbagliato! Ed io che quando frequentavo l’università trascorrevo le serate dei fine settimana a fare la cameriera in un alquanto dozzinale ristorante-pizzeria di provincia, percorrendo chilometri tra tavoli-sala-cucina-forno a legna e facendo l'equilibrista tra i tavoli trasportando pizze dalla temperatura di 350 gradi Celsius! Il più impegnativo esercizio intellettuale era tenere in mente i dodici diversi tipi di caffè che ti avevano ordinato al tavolo da dieci: basso, macchiato freddo, macchiato caldo, lungo, al vetro, d'orzo, decaffeinato, shakerato, decaffeinato alla nocciola, mocaccino, cappuccino, schiumato, americano, macchiato in tazza grande, corretto al sassolino, alla sambuca, alla grappa morbida o alla grappa secca! Non ho mai capito perché un ristorante-pizzeria con una scelta di appena cinque primi e quindici pizze, deve servire il caffè il cinquecento modi diversi: forse è una proposta della Bowerman per aguzzare l’ingegno del povero cameriere che, sul concludersi della serata, non vede l'ora di sbattere fuori i clienti e sparecchiare i tavoli!

L’articolo è accompagnato da un simpatico trafiletto “Centomila futuri mestieri”, che elenca alcune nuove opportunità di lavoro censite da Coldiretti: dall'agrigelataio al sommelier della frutta, dal birraio a chilometri zero, all'assaggiatore di miele, dal personal trainer dell'orto al food blogger. Mi chiedo se qualcuno avrà mai pensato al coach motivazionale per galline? Mi ci vedrei veramente bene: look un po’ vintage alla Maria Rosa del lievito Bertolini, salopette blu e foulard a fiori in testa, che, con cestino di vimini sotto braccio,  saltello nel pollaio e canticchio filastrocche per esortare le mie gallinelle a farmi tanti ovetti: “forza gallinelle, fatemi tanti bei ovetti che scaliamo le classifiche di Forbes!”. Vedo già i titoli sui giornali: “Precaria della Pubblica Amministrazione decide di cambiare vita e diventa milionaria curando l’autostima di un pollaio di galline sull’orlo della crisi di nervi e inevitabilmente destinate al brodo!”.

Alla fine, dopo tanti anni di co.co.co., non dovrei avere troppa difficoltà!


 La gallina di  Jules Renard

A zampe unite, salta dal pollaio, appena le si apre la porta. È una gallina qualunque, di abiti modesti, e non fa, no, uova d'oro.
Ubriaca di luce; muove qualche passo incerto nel cortile.
Vede, per primo, il mucchietto di cenere dove ha il vezzo di ruzzare ogni mattina.
Vi si arrotola, vi si affonda e, sbattendo forte le ali, gonfia le piume, si scuote di dosso le pulci della notte. Va a bere nella scodella sbreccata riempita dall'ultimo acquazzone.
Non beve che acqua.
Beve a sorsetti, a collo teso, equilibrata sull'orlo del piatto.
Poi, è il momento della cerca del cibo, qua è la. Tutto è suo: le erbette sottili, gli insetti, tutti i semi dispersi.
Becca, becca, infaticabilmente. Solo, si arresta tratto tratto.
Ben ritta, sotto il caschetto frigio,vivo l'occhio, il gozzo in fuori; ascolta con un orecchio e con l'altro.
No, non c'è nulla di nuovo: e si rimette alla cerca.
Solleva alte le zampe rigide, come chi ha la gotta, divarica le dita e le posa, cauta, senza rumore.

Si direbbe che cammina scalza.




sabato 20 luglio 2013

Precaria io? Ma se per il Governo Letta non esisto!

In questi ultimi giorni, parlando del decreto sul lavoro, ho sentito spesso definire il governo “miope”.

Dato che, essendo precaria, mi sento direttamente coinvolta quando si tratta di provvedimento in materia di lavoro e occupazione, ho pensato che fosse opportuno essere ben informata sulle misure previste dal decreto e, data la mia inesperienza in materia, approfondire la questione consultando le opinioni di chi, molto più esperto di me, ne aveva parlato. Ho letto molti articoli che cercavano, con atteggiamento imparziale, di far emergere i punti salienti, alcuni che provavano a dimostrarne la validità, altri che la valutano un intervento insufficiente e  inefficace e altri ancora che, a scanso di equivoci, preferiscono aspettare qualche risultato, positivo o negativo che sia.
Ma , prima ancora di entrare nel merito della riforma, il mio incontro/scontro con il nuovo decreto del lavoro non poteva che suscitare in me una fortissima delusione e un profondo senso di smarrimento: per il nuovo governo, in pratica, io non esisto! Altro che miopia: qui si tratta di cecità totale!
Non solo non esisto, ma considerati i requisiti previsti per essere beneficiari degli incentivi stanziati dal decreto – circa  le possibilità di risultare idonea per un’assunzione a tempo indeterminato o anche per un qualsiasi altro contratto - sono catapultata, senza paracadute, nella fascia di lavoratori precari del tipo “se li conosci, li eviti”.
Donna, 33 anni, laureata con 110/110 e lode, master di II livello, esperienza nel settore pubblico e in quello privato con un curriculum dignitoso, “accompagnata”, in piena salute e con alto rischio di gravidanza: praticamente un abominio per qualsiasi datore di lavoro in cerca di manodopera a basso costo! Pussa via brutta bertuccia!
Ma l’Enrico Letta che ha sfornato questo decreto legge non è per caso lo stesso che, pochi mesi fa, alla presentazione del suo programma di governo, ha dichiarato che la mancanza di lavoro è «la grande tragedia di questi tempi» e che sarebbe stata «la prima priorità di questo governo»? Forse lo confondo con quello che ha detto di voler assolvere Angelino Alfano per lo scandalo dell’arresto della Shalabayeva, moglie del dissidente kazako Ablyazov, e della loro bambina!
Sul sito www.sbilanciamoci.info , ho letto un interessante articolo di Alessandro Sterlacchini, dal titolo “Decreto lavoro, miopia digoverno”, che vi consiglio vivamente di leggere non solo per la valutazione del decreto, che mi vede totalmente concorde, ma anche perché ci aiuta a farci un’idea del progetto e della mentalità che sta dietro alle soluzioni stabilite dal governo.

Dall’articolo:

<<In tutti i paesi avanzati le politiche pubbliche sono da tempo rivolte a incentivare gli investimenti delle imprese in ricerca, innovazione, conoscenza e capitale umano. Per il governo delle larghe intese invece le aziende italiane hanno bisogno di altro: lavoratori con basso livello di istruzione e macchine. Il governo Letta ha da poco varato il decreto lavoro preceduto dal decreto “del fare”. Oltre alla pochezza di risorse messe in campo, i due decreti condividono un altro più grave aspetto: quello di accentuare lo stato di arretratezza del nostro sistema economico. Con la scusa dell’emergenza, il governo rinuncia a interventi lungimiranti, incentivando invece le imprese ad assumere lavoratori che costano poco e acquistare macchinari. L’opposto di quello che dovrebbero fare le aziende di un paese avanzato nell’era dell’economia della conoscenza. L’aspetto sconfortante del decreto lavoro è che le agevolazioni per le assunzioni a tempo indeterminato riguardano i giovani sotto i 30 anni privi, addirittura, del diploma di scuola secondaria superiore. I laureati, infatti, le imprese italiane non li vogliono. D’altro canto, un diplomato costa di più di un giovane senza titolo di studio. L’obiettivo del governo è quindi quello di massimizzare i posti di lavoro con le poche risorse a disposizione. Poco importa che si tratti di mansioni a bassissima qualifica (siamo in emergenza, soprattutto nel Mezzogiorno). Poco importa che il messaggio inviato alle famiglie sia esiziale per il futuro del nostro paese (meno istruzione più opportunità di lavoro per i figli).>>


In conclusione, cosa ne penso della riforma sul lavoro del governo delle larghe intese? Per una lavoratrice precaria iscritta all’FLC, Federazione Lavoratori della Conoscenza della CGIL, rendersi conto che, come dice Sterlacchini, mentre in tutti i paesi avanzati le politiche pubbliche sono da tempo rivolte a incentivare gli investimenti delle imprese in ricerca, innovazione, conoscenza e capitale umano, in Italia si punta su lavoratori con basso livello di istruzione e macchinari è un’enorme delusione. L’esatto contrario di quello che dovrebbe essere. Ma, d’altra parte, io che ne so: non esito! E se per il governo la mia situazione non esiste e non è un problema, allora è proprio il momento di rimboccarsi le maniche!





lunedì 15 luglio 2013

La riconciliazione di un precario: una proroga e una frittata

Questa mattina, in ufficio, mi è stata recapitata dal custode una raccomandata a mano personale: il mio contratto, che sarebbe dovuto scadere fra una decina di giorni, è stato prorogato fino al 31 dicembre. Niente di eccezionale, una proroga di poco più di cinque mesi, che però ha contribuito notevolmente a calmare quello strisciante senso di inquietudine che, inevitabilmente, ti coglie quando incominci a riflettere sul fatto che il tuo contratto terminerà prima degli yogurt senza conservanti che hai nel frigo!
“In relazione al rapporto di lavoro istaurato con la Sig.ra Vispa Teresa, assunta a tempo determinato a decorrere dal 21/01/2013 fino al 21/07/2013, informo che, a seguito del permanere delle esigenze che ne hanno reso necessario il reclutamento, tale rapporto di lavoro è prorogato fino al 31/12/2013”.
Tutto qui: ma queste poche parole, frutto probabilmente di un meccanico e svagato copia incolla, nella mia testa suonano più rilassanti ed emozionanti del notturno in do diesis minore di Chopin! No, non abbiate paura, non sto manifestando i primi fastidiosi sintomi della sindrome di Pollyanna, è solo che stasera è una bellissima serata di luglio, ho in frigo una fresca bottiglia di vino bianco che intendo gustare in tranquillità ed ho bisogno di riconciliarmi un po’ con me stessa. La questione cruciale della scadenza del contratto non è stata risolta, è stato piuttosto “prorogata”, ma stasera ho deciso di prendere una giornata libera e di prorogare anche i problemi e le ansie! Dove eravamo rimasti? Una bellissima giornata di luglio, una bottiglia di vino bianco … e con il vino? Una frittatina veloce e profumata. Devo rassicurarvi ancora una volta: no ho intenzione di accattivarmi la simpatia dei miei affezionati e numerosi (?) lettori cavalcando l’onda di successo dei blog di ricette … per cui, fra l’altro, non avrei neppure le competenza! Lo ripeto questo non è un post culinario ma un esercizio di riconciliazione con me stessa! La ricetta è di una semplicità disarmante, praticamente intuitiva, e gli ingredienti sono il minimo indispensabile: quattro uova, parmigiano, sale, un filo di olio di oliva e qualche aroma del mio “orto” (n.d.r. trattasi di un’aiuola a semicerchio di, più o meno, un metro di diametro!). Non sono capace di cuocerla nella padella e così risolvo alla mia inettitudine ai fornelli cucinandola al forno: come ho già detto, stasera niente complicazioni e, se si può, niente ustioni con l’olio bollente! Accendo il forno a 200°. Prendo un zuppiera di vetro e, una dopo l’altra, spacco le quattro uova (ricetta per due!)… mi piace farlo lentamente, rompendo il guscio con un sordo schiocco lungo il bordo della zuppiera e facendolo scivolare dentro con un tuffo calmo e solenne. Mi piace la sensazione fresca e appiccicosa dell’albume sulle dita e il giallo perfetto e luminoso dei tuorli che rimangono interi. Poi, tutto rigorosamente ad occhio e secondo il gusto personale, verso il sale, il parmigiano grattugiato e mescolo tutto insieme, dall’alto verso il basso, senza esagerare … quanto basta per far amalgamare le chiare ai rossi. Prendo una teglia antiaderente di forma circolare e, lentamente, ci faccio scivolare tutto il composto: piano piano, a rallentatore, per godere del contrasto tra la cremosità gialla delle uova che, morbidosamente, si allarga sul fondo nero della teglia. 

Il più è fatto: non resta che mettere la teglia nel forno, ormai caldo, e attendere poco più di un quarto d’ora! Mentre la frittata cuoce, il forno emana un profumino ghiotto e accogliente che mi dà buonumore e serenità . Divago pensando ad una bellissima scena di uno dei mie film preferiti, Una giornata particolare di Ettore Scola , dove Marcello Mastroianni e Sofia Loren, vivono un tragico e tenero momento di empatia fisica ed emotiva che ha inizio proprio con la condivisione di una frittata preparata da Mastroianni: 





 Ed ecco che finalmente la mia frittata è pronta, il sole è tramontato e la tavola apparecchiata per due: una perfetta serata tranquilla per riconciliarsi con se stessi. Domani pensiamo a tutto il resto, ma stasera niente deve turbare questa bellissima quiete. Stasera deve andare così e, tanto per rimanere sulla linea della citazione cinematografica: domani è un altro giorno!





giovedì 11 luglio 2013

Aspettare stanca!

Lavorare stanca era il titolo di una raccolta di poesia di Cesare Pavese. Italo Calvino parlando del poeta lo definì "un ragazzo nel mondo degli adulti, senza mestiere nel mondo di chi lavora, senza donna nel mondo dell'amore e delle famiglie, senza armi nel mondo della lotte cruente e dei doveri civili": in un certo senso, un precario di altri tempi! Con la differenza che, per il precario, stancarsi lavorando, più che un sentimento di malessere fisico e psicologico, è un'aspirazione!
Ma se non si stancano a lavorare, i precari sono stanchi di molte altre cose: sono stanchi di doverlo cercare un lavoro, di dover firmare vergognosi contratti che prevedono molti doveri e pochi diritti, di dover sempre dimostrare di essere indispensabili e all'altezza del compito da svolgere. Sono stanchi di doversi sempre organizzare in previsione dell’approssimarsi di un periodo di disoccupazione, di doversi inventare in una nuova figura professionale e di dover organizzare il resto della propria vita secondo i nuovi e provvisori orari di lavoro. Sono stanchi di aggiornare il proprio curriculum vitae, di affrontare inutili colloqui al centro per l’impiego o surreali appuntamenti con gli impiegati allucinati delle agenzie interinali che, fra l’altro, sono quasi più precari dei lavoratori che cercano di collocare! I precari sono stanchi di sentire che la percentuale di disoccupazione ha raggiunto livelli mai visti e di leggere delle proposte del Governo per il rilancio dell’occupazione che qualche mese dopo si riveleranno del tutto inefficaci.
Io, per esempio, sono stanca di studiare per un concorso che avrei dovuto fare ieri ma che, pare a causa di un alto numero di domande di partecipazione, è stato rimandato, una settimana prima del suo svolgimento, al 10 ottobre! Anche se ora godo dei benefici di un sospirato fine settimana trascorso in spiaggia, anziché a sudare sui libri, l’idea di dover passare ancora dei mesi con il pensiero di dover affrontare l’ennesimo concorso pubblico, mi fa calare addosso un opprimente senso di spossatezza. Sono bloccata in attesa di una data che mi spaventa ma che non vedo l’ora che arrivi! Ecco quello che mi stanca di più: non è lavorare o studiare, è aspettare!
I precari sono stanchi di aspettare la data di concorso, l’inizio o la fine di un contratto, la pubblicazione di un bando, la decisione di una commissione sull’esito di una selezione, il momento giusto per comprarsi una casa, per fare un figlio, per comprare l’auto nuova con una finanziamento. 

I precari sono lavoratori/cittadini/adulti in stand-by: circuiti elettrici pronti a partire, stanchi di aspettare e ansiosi di riprendere in mano la propria vitaMa da precaria, con colleghi e amici precari, vi assicuro che per un precario che si strugge nell’attesa, ce sono tanti che non si rassegnano e che, nonostante tutto, senza illusioni o false speranze, pur non avendo ben chiaro dove e come lavoreranno domani, sanno bene quello che vogliono oggi e non hanno voglia di rinunciarci. E questa non è una minaccia ma una promessa: la premessa che ce la metteremo tutta e che non staremo ad aspettare Godot!




sabato 18 maggio 2013

Il manuale del giovane precario – Consigli (più o meni seri) e tre canzoni per affrontare un concorso

Avvertenza. Prima di leggere il post clicca qui: LINK

Uno dei “passatempi” più impegnativi per chi è disoccupato o per chi non ha un lavoro a tempo determinato, è sicuramente la consultazione svogliata di gazzette, albi e siti che pubblica i bandi di concorso annunciati dagli anti pubblici e qualche volta può capitare di imbattersi in qualche bando che, con lo scetticismo del caso, ci convince ad avere un po’ di fiducia in noi stessi e a partecipare.

1. Se non siete tra i fortunati per cui i requisiti del bando coincidono in maniera impertinente con il proprio curriculum vitae, accertatevi di essere in possesso dei requisiti di partecipazione, leggendo con attenzione quali sono quelli fondamentali e i titoli che invece vi daranno punteggio.

2. Leggere con attenzione le indicazioni per la redazione della domanda e i termini di presentazione, facendo particolare attenzione alla data di scadenza e alle modalità di invio: in molti casi non fa fede il timbro postale e rischiate che la vostra domanda di partecipazione arrivi in ritardo! Attenzione anche alla dicitura da indicare sulla busta: può essere richiesto di indicare l’oggetto del bando e il numero di protocollo.

3. Leggere sul bando il numero e la tipologia delle prove di valutazione e le principali materie su cui sarete valutati. Evitando di immergersi a capofitto in farraginosi manuali di contabilità, diritto, informatica, o di qualsiasi cosa tratti il concorso, consultate con attenzione il sito, i regolamenti e le attività dell’ente che bandisce il concorso: molto spesso i concorsi trattano argomenti che riguardano strettamente la propria regolamentazione interna e le proprie attività istituzionali.

4. Fatevi un calendario in cui indicare i giorni da dedicare allo studio, ma anche i momenti per fare delle pause: magari non lo seguirete con rigidità, ma vi aiuterà a procedere con ordine e a non andare fuori di testa e a dedicarvi dei momenti di svago senza sentirvi inconcludenti. Magari agitandovi in uno sballo spudoratamente senza senso, ma di immediato effetto, con 99 Luftballons:


5. Controllare la dispensa e verificate che abbondi di golosità che vi piacciono: lo so che non è un consiglio molto salutare, ma in certi periodi la gola va appagata. Ecco le mia scorte: cerali di riso soffiato al cioccolato, barattolini di gelato, nutella. E perché no, anche qualche buona bottiglia di vino rosso, da consumare, ovviamente, non tanto per allietare i pomeriggi di studio, ma, piuttosto, per farvi dormire tranquilli senza l’incubo di essere di fronte alla commissione in pigiama e ciabatte!

6. Fate una lista di tutto c’ho che farete quando tutte le prove del concorso saranno finite e a cui ora, spinti dal un incontrollato senso di responsabilità, non riuscite a fare: a me aiuta ad andare oltre e a non pensare che sto trascorrendo giugno a studiare un regolamento sull’amministrazione, la finanza e la contabilità dell’Università di Pisa. Attenzione, non devono essere cose del tipo: sbrinare il freezer, togliere la muffa dall’angolo della cucina o controllare le bollette. Ma piuttosto: andare in bicicletta fino a Lucca e fare la siesta sulle mura; farmi un gelato nocciola, fiordilatte e cioccolato fondente alla nuova gelateria senza glutine; riguardare tutti i miei film preferiti della nouvelle vague e dormire fino a che non impresso sul materasso la forma del mio corpo!

Domani si incomincia a studiare, ma ora, prendetevela comoda:






Se anche le parole diventano precarie – Terza e ultima parte – Precario: nome comune di persona

Dalla campagna elettorale per le ultime elezioni politiche ad oggi non so quante promesse e buoni propositi ho sentito spendere in merito alla disoccupazione e al lavoro precario da parte degli esponenti politici che, per lavoro appunto, dovrebbero risanare il nostro Paese. Quanti discorsi che, con sdegno e tono grave, ci ripetono fino alla nausea la percentuale di disoccupazione, l’impoverimento della società e il dilagare del lavoro precario! Un bombardamento di parole che collassa su se stesso e più che dare il senso dell’impegno per risolvere una situazione, offrono la sensazione che nessuno dei nostri rappresentanti politici abbia idea di quello che si può e si deve fare. Tutto ciò porta ad una conseguenza orribile e paradossale: a forza di blaterare e urlare in maniera sconsiderata concetti privi di un reale progetto di attuazione, c’è il rischio di banalizzare e rendere cliché quelli che sono invece tangibili problemi reali. Pensiamo, per esempio, proprio al termine precario, l’ho sentito associare a tutto di più: generazione precaria, scuola precaria, governo precario, relazioni precarie, matrimoni precari, vite precarie, maternità precaria, giustizia precaria … per un po’ abbiamo avuto anche una papa precario! “Precario” è diventato ormai un termine immediato, chiaro ed elastico per descrivere tout court tutto quello che non va come dovrebbe e, in un certo senso, per giustificarsi spiegando che il blob del precariato sta invadendo ogni livello della società e dell’esistenza per la degenerazione della crisi contemporanea. 

Il precariato, anziché essere considerato il risultato di scelte politiche ed economiche rivolte solo al tornaconto personale o di pochi privilegiati, di un sistema clientelare dove sussiste ancora la logica mafiosa della famiglia e dove le strategie di sviluppo sono un mero scambio di favori, viene propinato come la conseguenza fisiologica di una crisi descritta come una malefica entità sovrannaturale che arriva da Marte! E il precario diventa sempre più precario: naturalizzato come abitante della nuova Precarialand, non è più una situazione critica da risolvere, ma un nuovo stereotipo del mondo contemporaneo, perde consistenza e diventa una parola ad effetto per strappare un applauso in un talk show o per rendere credibile e convincente un programma elettorale. Non sono un concetto evanescente, vi assicuro che i precari esistono, non sono una fiaba messa in giro per spaventare i bambini poco diligenti: “Studia che altrimenti diventi precario e lo rimani per tutta la vita”. Precario è una parola importante, da utilizzare con il rispetto e la competenza che gli sono dovuti, non è uno slogan efficace per guadagnare consenso e non è nemmeno un palliativo per giustificare l’incompetenza e il disimpegno della politica. Quante volte lo sentiremo dire: “d’altra parte questo è un periodo di crisi, un periodo precario, non possiamo pensare di risolvere tutto in breve tempo”. Cari politici, basta parole, ora i fatti perché io sono una precaria e mi sono rotta:







sabato 11 maggio 2013

Se anche le parole diventano precarie – Seconda parte - Il nipote, la carrozza e il rettore


Dopo la nomina del nuovo Presidente del Consiglio e la scelta dei nuovi ministri, il sito dell’Università di Pisa non poteva perdere l’occasione di rendersi partecipe e pubblicare, sul sito www.unipi.it, una news dal titolo Letta e Carrozza, risorse al servizio del Paese. L’Ateneo saluta con soddisfazione la nomina nel nuovo governo dei suoi laureati. Come ricorda l’articolo, il premier Enrico Letta e Maria Chiara Carrozza, Ministro dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, si sono laureati entrambi nell’ateneo pisano e, successivamente, specializzati alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Sono curiosa e leggo i curricula dei due nuovi componenti del governo.

Enrico Letta nasce a Pisa nel 1966. E’ figlio di Giorgio Letta professore di Calcolo delle probabilità all'Università di Pisa, socio dell'Accademia Nazionale dei Lincei e dell'Accademia Nazionale delle Scienze e nipote di Gianni Letta, uno dei principali collaboratori di Silvio Berlusconi. Trascorre parte dell'infanzia a Strasburgo dove frequenta la scuola dell'obbligo. Si laurea in Scienze politiche (indirizzo politico-internazionale) all'Università di Pisa. Consegue il perfezionamento (equivalente al dottorato di ricerca) in Diritto delle comunità europee presso la Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa. Beh, diciamocelo: il curriculum vitae del nuovo premier non è proprio quello di uno studente medio dell’Università di Pisa! Speriamo comunque che, anche se giunto appena venticinquenne alla presidenza dei Giovani del Partito Popolare europeo, un po’ di affezione per l’università gli sia rimasta nel cuore e che la parole Se ci saranno dei tagli su cultura, scuola e ricerca, mi dimetto, dichiarata nella puntata del programma Che Tempo che fa di domenica 5 maggio, non sia l’ennesimo sproloquio per strappare un applauso del pubblico in sala.

Maria Chiara Carrozza ha una storia decisamente più genuina (in cui, quanto meno, non appaiono zii lacchè di Silvio Berlusconi) e che ce la presenta come una studiosa di altissimo livello: Professore di Bioingegneria Industriale all’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa; ha conseguito il PhD in Ingegneria (1994) presso la Scuola Superiore Sant’Anna e si è laureata in Fisica (1990) presso l’Università di Pisa. E’ membro della “IEEE Society of Engineering in Medicine and Biology” (EMB), della “IEEE Society of Robotics and Automation” (R&A), del Gruppo Nazionale di Bioingegneria (GNB). Il punto debole si mostra quando ci addentriamo a conoscere la sua ascesa politica: pettegolezzi e malelingue sussurrano che Carrozza sia la compagna di Umberto Carpi, sottosegretario dell’Industria durante il governo D’Alema proprio quando l’ex-segretario PD Pierluigi Bersani era ministro. Il patologico nepotismo della politica italiana mi avvelena la mente, ma ripenso a Nilde Iotti, compagna di Palmiro Togliatti, e a Mirian Mafai, di Giancarlo Pajetta, che furono molto più che “mogli di” e, da precaria dell’università, alle volte in cui il neo Ministro ha espresso la propria volontà di impegnarsi in favore del sostegno della ricerca e del lavoro precario nella scuola e nell’università e che forse mi posso sbilanciare a darle un po’ di fiducia.

Chissà se il Rettore dell’Università di Pisa, Massimo Augello, laureato in Scienze Politiche all’Università di Pisa ,sotto sotto, non provi un po’ di stizza verso i due ex-compagni di università che, dai vertici del governo del Paese, si esibiscono in mirabolanti e impavide promesse di crescita dell’Italia. Le parole chiave sono lavoro, istruzione e innovazione: LINK

In ogni caso, sul fronte dell’autoesaltazione verbale anche il Rettore dell’Università di Pisa, non perde occasione per far parlare di sé e, in un articolo di sabato 20 aprile del quotidiano Il Tirreno, dichiara: “l’ateneo pisano ha deciso di investire in tutti gli ambiti strategici per il presente e il futuro. Stiamo varando un piano triennale di reclutamento e di assunzioni che prevede l’impegno di circa 10 milioni di euro, senza utilizzare la leva delle iscrizioni e grazie alla solidità del nostro bilancio”. Che importa se il piano triennale per il personale sia un obbligo introdotto dalla Legge 240/2010 (la famigerata Legge Gelmini); che, solo limitandoci ai precari del personale tecnico-amministrativo dell’ateneo, ne verranno assunti al massimo una quindicina nell’arco di un triennio e che, in questi primo semestre del 2013, sono stati stipulati nuovi contratti a tempo determinato con persone che non hanno mai lavorato nell’ateneo pisano: e se ciò, da una parte, vuol dire dare l’opportunità ad altri di lavorare, dall’altra significa alimentare il lavoro precario e le aspettative di chi si ritroverà a breve di nuovo disoccupato. Che importa tutto questo quando i quotidiani titolano un articolo con queste belle parole: “Il rettore: 10 milioni per le assunzioni”?



In conclusione, cari lavoratori precari e, in particolare (… per diretto coinvolgimento personale!), cari precari dell’Università di Pisa, state tranquilli che a voi pensa il vostro impavido Presidente del Consiglio, la scienziata, ricercatrice, docente, manager, mentore Maria Chiara Carrozza e il Rettore dell’Università di Pisa. Cari precari, siate tranquilli e fiduciosi, vedrete che ci sarà lavoro per tutti e in abbondanza e, soprattutto, non siate maldicenti e non pensate che siano tutte e solo parole! Parole, parole, parole. Parole, parole, parole. Parole, parole, parole, parole, parole soltanto parole, parole tra noi. Chiamami tormento dai:

domenica 5 maggio 2013

Se anche le parole diventano precarie – Prima parte


Tra gli ospiti della puntata del 30 aprile del programma televisivo Ballarò c’era Luciano Canfora, un filologo classico, storico e saggista, invitato ad esprimersi in merito ad alcune frasi, decisamente poco ortodosse, pronunciate da noti politici italiani:


Canfora afferma che il linguaggio della politica italiana è sempre più elusivo, inquietante e sta diventando sempre più violento e ingiurioso.

Aldilà degli insulti, che non sono nient’altro che un’ulteriore dimostrazione dell’inadeguatezza e ignoranza della classe politica italiana, la questione più grave che emerge dalle parole di Canfora è la mancanza di una corrispondenza, e di conseguenza di una coerenza, tra le parole e le cose: o, meglio, tra le promesse e il vero impegno. E la cosa peggiore è quanto questa morbosa incongruenza sia diventata un dato di fatto, una consapevolezza acquisita per cui sarebbe ingenuo scandalizzarsi.

Penso al primo discorso di Enrico Letta alla Camera dei Deputati, durante il quale ha presentato il suo programma di governo e alle sua dichiarazioni, in cui il neo Presidente del Consiglio afferma che la mancanza di lavoro è «la grande tragedia di questi tempi» e che sarà «la prima priorità di questo governo». Letta pensa anche a «forme di reddito minimo per le famiglie bisognose con figli piccoli»,  facilitare l’assunzione di giovani, possibili forme di part time per i lavoratori in attesa della pensione. Tra gli altri obiettivi, il rifinanziamento della cassa integrazione in deroga, il superamento del precariato anche nella pubblica amministrazione, la soluzione del problema degli esodati. Porte aperte al confronto con le forze sindacali: «I sindacati saranno protagonisti».  Gianni Pittella, vice presidente del Parlamento europeo, lo definisce un discorso programmatico intenso, rigoroso e vibrante, ricco di contenuti dalla connotazione fortemente europeista, che restituisce senso e dignità alla politica nel suo momento più difficile. E aggiunge: “Letta auspica un’Europa che non sia solo quella del rigore e della moneta, ma anche dell'equità, dello sviluppo e della giustizia sociale. Non usa mezzi termini nell'indicare l’unione politica e federale come un obiettivo imprescindibile”.

Parole, parole, parole. Termini di valore inestimabile e frasi solenni: mancanza di lavoro come “grande tragedia” e “prima priorità”. Reddito minimo. Facilitare le assunzioni dei giovani. Rifinanziamento della cassa integrazione in deroga. Superamento del precariato anche nella pubblica amministrazione. Risoluzione del problema degli esodati. Equità, sviluppo e giustizia sociale. Parole, parole, parole. Ma ora le soluzioni sembrano lontane e si fa fatica ad immaginare da dove saranno reperite le risorse necessarie per mantenere gli impegni di un’agenda immane e carica di buoni propositi come quella del nuovo premier. E meno male che Letta parla anche di sobrietà: «Bisogna recuperare decenza e sobrietà» dice «Nessuno può sentirsi assolto dall’accusa di aver contaminato la politica con gesti, parole, opere e omissioni». Ma l’ego di Letta non è ancora soddisfatto e deve andare a scomodare anche la biblica storia del giovane Davide che sconfigge Golia: «Come Davide dobbiamo spogliarci della spada e dell’armatura che abbiamo indossato finora e che ci ha appesantito. Come Davide noi dal torrente delle idee abbiamo scelto i nostri ciottoli: sono le nostre proposte di programma. La fionda l’abbiamo in mano: insieme governo e Parlamento». 
Non capisco se ho davanti un folle kamikaze sprezzante del pericolo o un megalomane che vuole godere all’ennesima potenza dei suoi quindici minuti di notorietà giocando a fare l’onnipotente. Penso che, per avere i miei quindici minuti di speranza, dovrei dirmi che è ancora presto per giudicare il governo e che sarebbe meglio valutare i fatti . Già i fatti … e qui, come in uno snervante gioco dell’oca, si torna al punto di partenza e al fatto, questo sì, che dopo questi ultimi mesi di insolvente e ridondante campagna elettorale siamo veramente esausti di ascoltare parole parole e parole che non si concretizzano mai.
Speriamo che, anche questa volta, il “giovane” talentuoso e competente Enrico Letta non si riveli l’ennesimo Mago di Oz: un inetto che ha truffato tutto il popolo.

E non dimentichiamoci mai la lezione di Nanni Moretti in Palombella Rossa: le parole sono importanti!





domenica 28 aprile 2013

Audentes fortuna iuvat


Sono fortunata. E’ un aggettivo che, in questi ultimi tempi, mi sono sentita attribuire spesso. Sono fortunata perché , sebbene precaria, da qualche anno ho un lavoro. Sono fortunata perché, sebbene precaria, la mia banca mi ha concesso un mutuo con cui ho potuto acquistare un terratetto con un resede e un’entrata indipendente. Sono fortunata perché, sebbene ancora precaria, arrivo a fine mese senza il fiato dei creditori sul collo e mi posso permettere anche qualche vizio. Sono fortunata perché sono sana e le persone a cui voglio bene godono di piena salute. E potrei andare avanti ancora per molto tempo: sono fortunata perché nessun meteorite ha colpito il paese dove vivo. Sono fortunata perché mi piace il latte e, dato che non soffro di colite, ne posso bere quanto mi pare. Sono fortunata perché non ho la cellulite e non soffro di ritenzione idrica. Sono fortunata in amore. Sono fortunata perché non mi chiamo Candy Candy e non sono cresciuta in un orfanotrofio che, come se non bastasse, si chiama “Casa di Pony”.

E quando mi dicono che sono fortunata che faccio? Di solito abbozzo un sorrisetto, annuisco senza fiatare e cambio discorso perché sono stanca di spiegare quanto sia inopportuno, superficiale e sciocco parlare di fortuna e quanto, definirmi tale, dimostri una totale mancanza di rispetto verso quello che faccio, di etica del lavoro e di ignoranza rispetto ai veri problemi che ci impediscono di superare questo momento di stallo.
Avere e trovare un lavoro, anche in un periodo critico come questo, non deve essere mai e poi mai considerato una fortuna. Una fortuna è vincere al gratta e vinci, il lavoro invece è un diritto, è libertà, è la linfa vitale che alimenta il progresso culturale, civile e spirituale degli individui e, di conseguenza, della società. Pensare che avere un lavoro sia una fortuna è un’idea distorta e pericolosa che rappresenta una resa all’irrazionalità, al disimpegno, alla mollezza e che permette, a chi dovrebbe impegnarsi ad elaborare seri e proficui piani di assunzione, qualificazione e valorizzazione del personale, di approfittare della “crisi” abusando delle più svariate forme contrattuali per assumere in maniera arbitraria, sfruttare il personale che non è tutelato da forme contrattuali solide e a tempo indeterminato e far dilagare sempre di più il fenomeno del lavoro precario.

E poi, chi dice che sono fortunata, sa cosa ho fatto per avere questo invidiabile lavoro a tempo determinato? Il liceo scientifico, l’università , il master in comunicazione pubblica e politica, i lavoretti per arrotondare quando ero una studentessa e quelli a cui mi sono dedicata con serietà e impegno e da cui mi sarei aspettata qualcosa di più che un “arrivederci e grazie”. I contratti co.co.co. da 700 euro al mese e da nove ore di lavoro il giorno, senza ferie, malattia e non parliamo della maternità. I tirocini dove il massimo di stipendio che ti potevi aspettare era un contenuto rimborso spese. E dormire cinque ore a notte per partecipare all’ennesimo concorso, ottimizzando al massimo i tempi dedicati a tutte le altre attività della vita quotidiana, non tanto per vincerlo ma per entrare in graduatoria.

Vorrei dire che la prossima volta che qualcuno mi dirà che sono fortunata avrà di che pentirsene ma considerato che non voglio accanirmi con chi avrà la malaugurata sorte di scegliere un termine per me parecchio sfortunato, risponderò con le parole di un sommo poeta: la fortuna aiuta gli audaci.






domenica 21 aprile 2013

Il manuale del giovane precario – Riflessioni in pullman con l’FLC GCIL

Lo scorso 10 aprile ho partecipato al presidio organizzato dall’FLC CGIL di fronte al Miur. Tra gli incontri, gli interventi, le discussioni e i confronti a cui ho avuto modo di assistere e di prendere parte, durante il lungo tragitto in pullman Pisa/Roma e poi Roma/Pisa, ho avuto anche la preziosa occasione di rubare qualche oretta per sonnecchiare e pensare a ruota libera. Considerato il tema della giornata (il precariato, il lavoro, il futuro) è stato inevitabile fare un paragone fra la mia situazione lavorativa di un anno fa e quella odierna.
L’aprile scorso lavoravo in un dipartimento dell’Università di Pisa, avevo un contratto a tempo determinato in scadenza il 30 settembre e vivevo nell’amaramente disattesa speranza che, dopo più di sei anni di serio e valido impegno nel lavoro che svolgevo, il direttore ritenesse un dovere morale farmi un nuovo contratto.

Oggi, grazie alla mia tenacia e alla graduatoria di un concorso di due anni fa, ho un contratto a tempo determinato agli uffici centrali dell’Università di Pisa, continuo a lavorare seriamente e impegnandomi al massimo ma con un’enorme differenza: ho la consapevolezza che il mio impegno non implica obbligatoriamente un rinnovo del contratto, che gli elogi dei dirigenti, per quanto carichi di superlativi e termini appaganti, hanno la stessa consistenza, le serietà e la stucchevolezza dello zucchero filato alle fiere di paese e che per tanti colleghi vale il vecchio proverbio “lontano dagli occhi, lontano dal cuore”.

Ma , soprattutto, pensando all’ingenua fiducia che avevo, alle delusione e al senso di umiliazioni che ho subito, che mi stordivano e mi facevano venire le guance rosse come se fossero stati sonori schiaffi a mano aperta, ai sorrisetti e alle pantomime di circostanza in cui mi si raccontava senza pudore quanto stessero facendo il possibile per farmi riavere il mio posto di lavoro, rifletto su quanto tutte queste angherie abbiano rappresentato un’importante, come direbbe Cliff Robinson alla figlia Vanessa sulla celeberrima scalinata della loro casa di New York, lezione di vita.

Con i piedi ben saldi a terra e arricchita della mia nuova consapevolezza, ho imparato che devo avere più fiducia in me stessa e nelle mie capacità e che chi decide di farti un contratto (ovviamente per i non fortunati che non possono contare su parentele, raccomandazioni o gonne di tailleur conservate nel freezer!) non lo fa per generosità ma perché le tua conoscenze e la tue capacità hanno un valore. Che per tanti colleghi che non incontrerai più, ci saranno altre persone che diventeranno importanti e che, per quello che potranno, ti sosterranno e ti staranno vicine. Sdolcinata? Forse! Ma in certi casi sapere che c’è qualcuno che riconosce quanto vali e che comprende l’ingiustizia che hai subito è qualcosa di inestimabile e corroborante! Ed anche se ora mi sento un po’ come Beatrix Kiddo in procinto di partire verso la dimora del leggendario Hattori Hanzo per mettere in pratica un sanguinario progetto di vendetta, assopita sul pullman in ritorno da Roma e circondata da precari che, come me, tra picchi di entusiasmo e momenti di grande disorientamento, cercano di far valere il proprio diritto ad avere un lavoro e di essere trattati con rispetto, sono soddisfatta di essere delegata per il personale precario dell’Università di Pisa e di aver partecipato a questa giornata: spero fortemente che sia un punto di partenza per una nuova fase di crescita e conquiste, per me e per le persone che non si danno per vinte.

Ko Ni Chi Wa.

Una beatrix Kiddo precaria




Precari della Conoscenza - Primi risultati


Presidio a Roma dei precari della conoscenza del 10 aprile: primi risultati per i precari.

Il Ministro Profumo riconosce la necessità di un aumento del finanziamento di tutti i comparti della conoscenza, ma restano aperte ancora molte incognite.

Leggi la notizia sul sito dell’FLC CGIL.



Firmato un accordo col Rettore

Coordinamento Precari Unipi – Firmato un accordo con il Rettore sui contratti a tempo determinato

Ridotto il periodo di intervallo tra la stipula dei contratti a tempo determinato se sussistono specifiche esigenze documentate. Leggi l’articolo e l’accordo sul sito dell’ FLC CGIL.


Rettorato Università di Pisa

Presidio al Miur dei precari della conoscenza

10 aprile: l’FLC CGIL organizza un presidio a Roma dei precari della conoscenza. Chiesto un incontro al Ministro Profumo.

Leggi il comunicato stampa di Domenico Pantaleo, Segretario generale della Federazione Lavoratori della Conoscenza, sul sito dell’FLC CGIL.



Precariato - Presidio al Miur

venerdì 8 marzo 2013

Coordinamento Precari Unipi – Incontro con il Rettore dell’Università di Pisa


Martedì 5 marzo, una delegazione del Coordinamento Precari Tecnici-Amministrativi dell’Università di Pisa insieme ad alcuni rappresentanti delle RSU e delle Oo.Ss., ha incontrato il Rettore, il Direttore Generale e il Prorettore per l'Organizzazione e il Personale al fine di presentare proposte e muovere le richieste emerse nel corso di un’assemblea del personale precario tecnico-amministrativo dell’Università di Pisa, con la partecipazione e il supporto delle RSU.

Le richieste, che sostanzialmente auspicano un cambio di rotta nelle politiche di reclutamento dell’Ateneo, sono le seguenti:

- per l’indizione dei prossimi concorsi, rendere più ampia possibile la partecipazione del personale che da anni lavora presso l'Ateneo, valutando l’anzianità di servizio maturata nell’ente;- centralizzazione delle graduatorie nell’Amministrazione Centrale per evitare il proliferare delle situazioni di precariato;- diminuzione del periodo di interruzione prevista dalla Legge Fornero tra un contratto a tempo determinato e l’altro;- richiesta di chiarimenti sull’inapplicabilità della proroga, fino al 31 luglio 2013, dei contratti precari in scadenza nella Pubblica Amministrazione prevista dalla Legge di Stabilità;- richiesta della pubblicazione, entro il periodo della chiusura estiva, di una programmazione del personale che tenga conto dei lavoratori precari e che ambisca a trovare delle soluzioni volte al contenimento e alla risoluzione del problema del precariato.

Il Rettore, pur evidenziando la complessità della situazione attuale - anche a seguito di un taglio delle risorse ministeriali di nove milioni di euro - ha dimostrato interesse ed apertura nei confronti delle istanze del personale precario e si è detto favorevole:

1)  alla centralizzazione delle graduatorie – sottolineando però l’impossibilità di eliminare le selezioni per il personale tecnico, caratterizzato da forte specializzazione, bandite dalle strutture dotate di autonomia amministrativa e gestionale dell’Ateneo;
2)    ad una eventuale riduzione/eliminazione delle graduatorie attive (in particolare di quelle già prorogate) per un contenimento del fenomeno del precariato;
3)  alla valorizzazione dell’esperienza pregressa relativa all'oggetto della selezione nei bandi di prossima pubblicazione;
4)    alla proposta di riduzione del periodo di intervallo tra un contratto a tempo determinato e l’altro ed hanno proposto alle RSU e alle Oo.Ss.un accordo che prevede una riduzione a 20 giorni per i contratti di durata fino a sei mesi e di 30 giorni per contratti superiori a sei mesi, in presenza di documentate esigenze di prosecuzione di attività;
5)     all'elaborazione di un piano di previsione del personale a tempo determinato per il periodo 2013-2015;

In particolare, per quanto riguarda la programmazione triennale del personale, prevista dalla Legge 240/2010, il Rettore ha sottolineato i vincoli ministeriali e le conseguenti limitate aspettative sulla possibilità di procedere ad assunzioni a tempo indeterminato confermando tuttavia l'impegno a procedere alla pianificazione del fabbisogno nel rispetto della legge.

Sulla richiesta di chiarimenti circa l’inapplicabilità della proroga, fino al 31 luglio 2013, dei contratti precari in scadenza, il Direttore Generale ha dichiarato che, al 30 novembre, non sussistevano situazioni che prevedevano la possibilità di proroga come previsto dalla Legge di Stabilità, data l'assenza di personale a tempo determinato con le caratteristiche previste dalla norma.

Le RSU, le Oo.Ss. e il Coordinamento Precari Tecnici-Amministrativi, sulla base del confronto avuto con la massima autorità accademica, con il suo delegato alle questioni dell'organizzazione e del personale e con il Direttore Generale, valutano positivamente questo primo incontro e auspicano che l'amministrazione sia coerente con quanto affermato. Al riguardo, da parte dell’Amministrazione, i prossimi bandi di concorso e l'elaborazione del piano triennale del personale saranno il banco di prova delle affermazioni e delle intenzioni espresse durante l’incontro.
Le RSU, le Oo.Ss. e il Coordinamento Precari Tecnici-Amministrativi, dal canto loro, continueranno a impegnarsi affinché l’Ateneo persegua l’adozione di politiche di reclutamento sempre più trasparenti e attuate secondo piani prestabiliti, rivolte alla tutela e all’inclusione del personale precario e all’eliminazione della proliferazione di ulteriori situazioni di precarietà.




 
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