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sabato 27 luglio 2013

La ricetta giusta per la carriera. Ovvero, come disgustare un precario!

Anche questa volta devo deludervi poiché - come si potrebbe erroneamente dedurre dal titolo - non si tratta di uno sfizioso post culinario e,  nonostante gli sforzi, non sono ancora riuscita ad individuare quel mix di ingredienti, misti a talento e fortuna, che può farci uscire dal tunnel del precariato con tanto di scattante avanzamento di carriera!

La ricetta giusta per la carriera” è un articolo, rimanendo nell’ambito del lessico alimentare, per me alquanto nauseante, del settimanale femminile D de La Repubblica che, suggerisce ai giovani di iscriversi ad una scuola di cucina professionale per prepararsi alle professioni dell’altra cucina. Anche se sono convinta che ben poche persone decidano di intraprendere una scelta di studi e di vita come conseguenza di un articolo letto su una rivista, credo che sia un po’ ipocrita e inverosimile scrivere cose del tipo “puntare su una scuola (n.d.r. di cucina professionale) accreditata è un buon investimento anti-crisi”. Non voglio certamente mettere in dubbio le percentuali di assunzione di chi esce da una scuola di alta cucina, vorrei solo puntualizzare che “quei 15 mila euro per 11 mesi di corso (la tariffa standard per un scuola culinaria)” non sono un investimento sul futuro dei figli che molti genitori, soprattutto nell’Italia di oggi, potranno permettersi con molta facilità.

Dal curriculum vitae di una delle due chef citate nell’articolo,  Cristina Bowerman, deduco che non si tratta proprio della figlia diligente e talentuosa di un pizzaiolo di periferia: nata a Cerignola (FO), dopo la laurea in Giurisprudenza continua gli studi forensi presso l'Università di San Francisco in California (USA), dove ottiene il suo primo lavoro in cucina, in un noto breakfast place chiamato Higher Grounds. Negli anni successivi continua a coltivare la passione culinaria e, una volta trasferita ad Austin (Texas) , fonda la piccola compagnia The Two Skinny Ladies e cucina a domicilio. Maturata la decisione di diventare una professionista della cucina, si laurea in Arti Culinarie nel 2002 presso l'Università di Austin con il programma della famosa scuola parigina Cordon Bleu. Nel 2004, dopo svariate esperienze di rilievo e non negli Stati Uniti, risalenti anche al periodo del corso di laurea, tra cui spicca quella per il Driskill Grill, decide di ritornare in Italia per un'esperienza professionale, scegliendo il Convivio Troiani, noto stellato romano.

Non discuto l’alta professionalità e la competenza della Bowerman ma, onestamente, il suo percorso di formazione non è proprio alla portata di tutti!  Bowerman afferma “superate lo svantaggio biologico puntando dritte all’alta cucina. Lì si pensa di più e di fatica di meno rispetto ad una trattoria”. Cavolo … ecco dove ho sbagliato! Ed io che quando frequentavo l’università trascorrevo le serate dei fine settimana a fare la cameriera in un alquanto dozzinale ristorante-pizzeria di provincia, percorrendo chilometri tra tavoli-sala-cucina-forno a legna e facendo l'equilibrista tra i tavoli trasportando pizze dalla temperatura di 350 gradi Celsius! Il più impegnativo esercizio intellettuale era tenere in mente i dodici diversi tipi di caffè che ti avevano ordinato al tavolo da dieci: basso, macchiato freddo, macchiato caldo, lungo, al vetro, d'orzo, decaffeinato, shakerato, decaffeinato alla nocciola, mocaccino, cappuccino, schiumato, americano, macchiato in tazza grande, corretto al sassolino, alla sambuca, alla grappa morbida o alla grappa secca! Non ho mai capito perché un ristorante-pizzeria con una scelta di appena cinque primi e quindici pizze, deve servire il caffè il cinquecento modi diversi: forse è una proposta della Bowerman per aguzzare l’ingegno del povero cameriere che, sul concludersi della serata, non vede l'ora di sbattere fuori i clienti e sparecchiare i tavoli!

L’articolo è accompagnato da un simpatico trafiletto “Centomila futuri mestieri”, che elenca alcune nuove opportunità di lavoro censite da Coldiretti: dall'agrigelataio al sommelier della frutta, dal birraio a chilometri zero, all'assaggiatore di miele, dal personal trainer dell'orto al food blogger. Mi chiedo se qualcuno avrà mai pensato al coach motivazionale per galline? Mi ci vedrei veramente bene: look un po’ vintage alla Maria Rosa del lievito Bertolini, salopette blu e foulard a fiori in testa, che, con cestino di vimini sotto braccio,  saltello nel pollaio e canticchio filastrocche per esortare le mie gallinelle a farmi tanti ovetti: “forza gallinelle, fatemi tanti bei ovetti che scaliamo le classifiche di Forbes!”. Vedo già i titoli sui giornali: “Precaria della Pubblica Amministrazione decide di cambiare vita e diventa milionaria curando l’autostima di un pollaio di galline sull’orlo della crisi di nervi e inevitabilmente destinate al brodo!”.

Alla fine, dopo tanti anni di co.co.co., non dovrei avere troppa difficoltà!


 La gallina di  Jules Renard

A zampe unite, salta dal pollaio, appena le si apre la porta. È una gallina qualunque, di abiti modesti, e non fa, no, uova d'oro.
Ubriaca di luce; muove qualche passo incerto nel cortile.
Vede, per primo, il mucchietto di cenere dove ha il vezzo di ruzzare ogni mattina.
Vi si arrotola, vi si affonda e, sbattendo forte le ali, gonfia le piume, si scuote di dosso le pulci della notte. Va a bere nella scodella sbreccata riempita dall'ultimo acquazzone.
Non beve che acqua.
Beve a sorsetti, a collo teso, equilibrata sull'orlo del piatto.
Poi, è il momento della cerca del cibo, qua è la. Tutto è suo: le erbette sottili, gli insetti, tutti i semi dispersi.
Becca, becca, infaticabilmente. Solo, si arresta tratto tratto.
Ben ritta, sotto il caschetto frigio,vivo l'occhio, il gozzo in fuori; ascolta con un orecchio e con l'altro.
No, non c'è nulla di nuovo: e si rimette alla cerca.
Solleva alte le zampe rigide, come chi ha la gotta, divarica le dita e le posa, cauta, senza rumore.

Si direbbe che cammina scalza.




lunedì 15 luglio 2013

La riconciliazione di un precario: una proroga e una frittata

Questa mattina, in ufficio, mi è stata recapitata dal custode una raccomandata a mano personale: il mio contratto, che sarebbe dovuto scadere fra una decina di giorni, è stato prorogato fino al 31 dicembre. Niente di eccezionale, una proroga di poco più di cinque mesi, che però ha contribuito notevolmente a calmare quello strisciante senso di inquietudine che, inevitabilmente, ti coglie quando incominci a riflettere sul fatto che il tuo contratto terminerà prima degli yogurt senza conservanti che hai nel frigo!
“In relazione al rapporto di lavoro istaurato con la Sig.ra Vispa Teresa, assunta a tempo determinato a decorrere dal 21/01/2013 fino al 21/07/2013, informo che, a seguito del permanere delle esigenze che ne hanno reso necessario il reclutamento, tale rapporto di lavoro è prorogato fino al 31/12/2013”.
Tutto qui: ma queste poche parole, frutto probabilmente di un meccanico e svagato copia incolla, nella mia testa suonano più rilassanti ed emozionanti del notturno in do diesis minore di Chopin! No, non abbiate paura, non sto manifestando i primi fastidiosi sintomi della sindrome di Pollyanna, è solo che stasera è una bellissima serata di luglio, ho in frigo una fresca bottiglia di vino bianco che intendo gustare in tranquillità ed ho bisogno di riconciliarmi un po’ con me stessa. La questione cruciale della scadenza del contratto non è stata risolta, è stato piuttosto “prorogata”, ma stasera ho deciso di prendere una giornata libera e di prorogare anche i problemi e le ansie! Dove eravamo rimasti? Una bellissima giornata di luglio, una bottiglia di vino bianco … e con il vino? Una frittatina veloce e profumata. Devo rassicurarvi ancora una volta: no ho intenzione di accattivarmi la simpatia dei miei affezionati e numerosi (?) lettori cavalcando l’onda di successo dei blog di ricette … per cui, fra l’altro, non avrei neppure le competenza! Lo ripeto questo non è un post culinario ma un esercizio di riconciliazione con me stessa! La ricetta è di una semplicità disarmante, praticamente intuitiva, e gli ingredienti sono il minimo indispensabile: quattro uova, parmigiano, sale, un filo di olio di oliva e qualche aroma del mio “orto” (n.d.r. trattasi di un’aiuola a semicerchio di, più o meno, un metro di diametro!). Non sono capace di cuocerla nella padella e così risolvo alla mia inettitudine ai fornelli cucinandola al forno: come ho già detto, stasera niente complicazioni e, se si può, niente ustioni con l’olio bollente! Accendo il forno a 200°. Prendo un zuppiera di vetro e, una dopo l’altra, spacco le quattro uova (ricetta per due!)… mi piace farlo lentamente, rompendo il guscio con un sordo schiocco lungo il bordo della zuppiera e facendolo scivolare dentro con un tuffo calmo e solenne. Mi piace la sensazione fresca e appiccicosa dell’albume sulle dita e il giallo perfetto e luminoso dei tuorli che rimangono interi. Poi, tutto rigorosamente ad occhio e secondo il gusto personale, verso il sale, il parmigiano grattugiato e mescolo tutto insieme, dall’alto verso il basso, senza esagerare … quanto basta per far amalgamare le chiare ai rossi. Prendo una teglia antiaderente di forma circolare e, lentamente, ci faccio scivolare tutto il composto: piano piano, a rallentatore, per godere del contrasto tra la cremosità gialla delle uova che, morbidosamente, si allarga sul fondo nero della teglia. 

Il più è fatto: non resta che mettere la teglia nel forno, ormai caldo, e attendere poco più di un quarto d’ora! Mentre la frittata cuoce, il forno emana un profumino ghiotto e accogliente che mi dà buonumore e serenità . Divago pensando ad una bellissima scena di uno dei mie film preferiti, Una giornata particolare di Ettore Scola , dove Marcello Mastroianni e Sofia Loren, vivono un tragico e tenero momento di empatia fisica ed emotiva che ha inizio proprio con la condivisione di una frittata preparata da Mastroianni: 





 Ed ecco che finalmente la mia frittata è pronta, il sole è tramontato e la tavola apparecchiata per due: una perfetta serata tranquilla per riconciliarsi con se stessi. Domani pensiamo a tutto il resto, ma stasera niente deve turbare questa bellissima quiete. Stasera deve andare così e, tanto per rimanere sulla linea della citazione cinematografica: domani è un altro giorno!





domenica 5 maggio 2013

Se anche le parole diventano precarie – Prima parte


Tra gli ospiti della puntata del 30 aprile del programma televisivo Ballarò c’era Luciano Canfora, un filologo classico, storico e saggista, invitato ad esprimersi in merito ad alcune frasi, decisamente poco ortodosse, pronunciate da noti politici italiani:


Canfora afferma che il linguaggio della politica italiana è sempre più elusivo, inquietante e sta diventando sempre più violento e ingiurioso.

Aldilà degli insulti, che non sono nient’altro che un’ulteriore dimostrazione dell’inadeguatezza e ignoranza della classe politica italiana, la questione più grave che emerge dalle parole di Canfora è la mancanza di una corrispondenza, e di conseguenza di una coerenza, tra le parole e le cose: o, meglio, tra le promesse e il vero impegno. E la cosa peggiore è quanto questa morbosa incongruenza sia diventata un dato di fatto, una consapevolezza acquisita per cui sarebbe ingenuo scandalizzarsi.

Penso al primo discorso di Enrico Letta alla Camera dei Deputati, durante il quale ha presentato il suo programma di governo e alle sua dichiarazioni, in cui il neo Presidente del Consiglio afferma che la mancanza di lavoro è «la grande tragedia di questi tempi» e che sarà «la prima priorità di questo governo». Letta pensa anche a «forme di reddito minimo per le famiglie bisognose con figli piccoli»,  facilitare l’assunzione di giovani, possibili forme di part time per i lavoratori in attesa della pensione. Tra gli altri obiettivi, il rifinanziamento della cassa integrazione in deroga, il superamento del precariato anche nella pubblica amministrazione, la soluzione del problema degli esodati. Porte aperte al confronto con le forze sindacali: «I sindacati saranno protagonisti».  Gianni Pittella, vice presidente del Parlamento europeo, lo definisce un discorso programmatico intenso, rigoroso e vibrante, ricco di contenuti dalla connotazione fortemente europeista, che restituisce senso e dignità alla politica nel suo momento più difficile. E aggiunge: “Letta auspica un’Europa che non sia solo quella del rigore e della moneta, ma anche dell'equità, dello sviluppo e della giustizia sociale. Non usa mezzi termini nell'indicare l’unione politica e federale come un obiettivo imprescindibile”.

Parole, parole, parole. Termini di valore inestimabile e frasi solenni: mancanza di lavoro come “grande tragedia” e “prima priorità”. Reddito minimo. Facilitare le assunzioni dei giovani. Rifinanziamento della cassa integrazione in deroga. Superamento del precariato anche nella pubblica amministrazione. Risoluzione del problema degli esodati. Equità, sviluppo e giustizia sociale. Parole, parole, parole. Ma ora le soluzioni sembrano lontane e si fa fatica ad immaginare da dove saranno reperite le risorse necessarie per mantenere gli impegni di un’agenda immane e carica di buoni propositi come quella del nuovo premier. E meno male che Letta parla anche di sobrietà: «Bisogna recuperare decenza e sobrietà» dice «Nessuno può sentirsi assolto dall’accusa di aver contaminato la politica con gesti, parole, opere e omissioni». Ma l’ego di Letta non è ancora soddisfatto e deve andare a scomodare anche la biblica storia del giovane Davide che sconfigge Golia: «Come Davide dobbiamo spogliarci della spada e dell’armatura che abbiamo indossato finora e che ci ha appesantito. Come Davide noi dal torrente delle idee abbiamo scelto i nostri ciottoli: sono le nostre proposte di programma. La fionda l’abbiamo in mano: insieme governo e Parlamento». 
Non capisco se ho davanti un folle kamikaze sprezzante del pericolo o un megalomane che vuole godere all’ennesima potenza dei suoi quindici minuti di notorietà giocando a fare l’onnipotente. Penso che, per avere i miei quindici minuti di speranza, dovrei dirmi che è ancora presto per giudicare il governo e che sarebbe meglio valutare i fatti . Già i fatti … e qui, come in uno snervante gioco dell’oca, si torna al punto di partenza e al fatto, questo sì, che dopo questi ultimi mesi di insolvente e ridondante campagna elettorale siamo veramente esausti di ascoltare parole parole e parole che non si concretizzano mai.
Speriamo che, anche questa volta, il “giovane” talentuoso e competente Enrico Letta non si riveli l’ennesimo Mago di Oz: un inetto che ha truffato tutto il popolo.

E non dimentichiamoci mai la lezione di Nanni Moretti in Palombella Rossa: le parole sono importanti!





domenica 28 aprile 2013

Audentes fortuna iuvat


Sono fortunata. E’ un aggettivo che, in questi ultimi tempi, mi sono sentita attribuire spesso. Sono fortunata perché , sebbene precaria, da qualche anno ho un lavoro. Sono fortunata perché, sebbene precaria, la mia banca mi ha concesso un mutuo con cui ho potuto acquistare un terratetto con un resede e un’entrata indipendente. Sono fortunata perché, sebbene ancora precaria, arrivo a fine mese senza il fiato dei creditori sul collo e mi posso permettere anche qualche vizio. Sono fortunata perché sono sana e le persone a cui voglio bene godono di piena salute. E potrei andare avanti ancora per molto tempo: sono fortunata perché nessun meteorite ha colpito il paese dove vivo. Sono fortunata perché mi piace il latte e, dato che non soffro di colite, ne posso bere quanto mi pare. Sono fortunata perché non ho la cellulite e non soffro di ritenzione idrica. Sono fortunata in amore. Sono fortunata perché non mi chiamo Candy Candy e non sono cresciuta in un orfanotrofio che, come se non bastasse, si chiama “Casa di Pony”.

E quando mi dicono che sono fortunata che faccio? Di solito abbozzo un sorrisetto, annuisco senza fiatare e cambio discorso perché sono stanca di spiegare quanto sia inopportuno, superficiale e sciocco parlare di fortuna e quanto, definirmi tale, dimostri una totale mancanza di rispetto verso quello che faccio, di etica del lavoro e di ignoranza rispetto ai veri problemi che ci impediscono di superare questo momento di stallo.
Avere e trovare un lavoro, anche in un periodo critico come questo, non deve essere mai e poi mai considerato una fortuna. Una fortuna è vincere al gratta e vinci, il lavoro invece è un diritto, è libertà, è la linfa vitale che alimenta il progresso culturale, civile e spirituale degli individui e, di conseguenza, della società. Pensare che avere un lavoro sia una fortuna è un’idea distorta e pericolosa che rappresenta una resa all’irrazionalità, al disimpegno, alla mollezza e che permette, a chi dovrebbe impegnarsi ad elaborare seri e proficui piani di assunzione, qualificazione e valorizzazione del personale, di approfittare della “crisi” abusando delle più svariate forme contrattuali per assumere in maniera arbitraria, sfruttare il personale che non è tutelato da forme contrattuali solide e a tempo indeterminato e far dilagare sempre di più il fenomeno del lavoro precario.

E poi, chi dice che sono fortunata, sa cosa ho fatto per avere questo invidiabile lavoro a tempo determinato? Il liceo scientifico, l’università , il master in comunicazione pubblica e politica, i lavoretti per arrotondare quando ero una studentessa e quelli a cui mi sono dedicata con serietà e impegno e da cui mi sarei aspettata qualcosa di più che un “arrivederci e grazie”. I contratti co.co.co. da 700 euro al mese e da nove ore di lavoro il giorno, senza ferie, malattia e non parliamo della maternità. I tirocini dove il massimo di stipendio che ti potevi aspettare era un contenuto rimborso spese. E dormire cinque ore a notte per partecipare all’ennesimo concorso, ottimizzando al massimo i tempi dedicati a tutte le altre attività della vita quotidiana, non tanto per vincerlo ma per entrare in graduatoria.

Vorrei dire che la prossima volta che qualcuno mi dirà che sono fortunata avrà di che pentirsene ma considerato che non voglio accanirmi con chi avrà la malaugurata sorte di scegliere un termine per me parecchio sfortunato, risponderò con le parole di un sommo poeta: la fortuna aiuta gli audaci.






domenica 30 dicembre 2012

Il manuale del giovane precario - Buoni propositi per l’anno che verrà


Si avvicina la fine dell’anno e svanita la minaccia della fine del mondo che, se non altro, avrebbe portato via tutti i problemi e i pensieri che ci tengono svegli, è tempo di fare un po’ di ordine nelle nostre vite di lavoratori precari e di disoccupati alla costante ricerca di qualcosa da fare.

Vorrei che l’elenco dei buoni propositi per il 2013 consistesse in tre semplici, chiari e concisi punti:
1. impegnarmi a trovare un lavoro con un contratto a tempo indeterminato
2. non essere pigra e non perdere tempo
3. non perdermi d’animo ed evitare gli sbalzi d’umore.

D’altra parte, da tre mesi a questa parte, ovvero dalla scadenza del mio ultimo contratto a tempo determinato, ho imparato tre lezioni semplici, chiare e concise:
1. seppur seguendo alla lettera i consigli che aiutano a trovare lavoro, attualmente, mi sento di poter dire che è praticamente impossibile trovare un impiego, dignitoso o meno,  con un contratto a tempo indeterminato.
2. detesto la pigrizia e ancora di più perdere tempo. Ma la cosiddetta “crisi” non tiene conto  dell’impegno, della perseveranza e della determinazione delle persone che hanno voglia di combinare qualcosa di costruttivo per sé e per gli altri e, inesorabilmente, va avanti arricchendo la disonestà, l’egoismo e la corruzione che l’hanno generata e chi non partecipa a questo festino tra sciacalli si ritrova immobilizzato e impotente.
3. non è facile non perdersi d’animo, arrabbiarsi ed evitare gli sbalzi d’umore ma se c’è qualcosa di utile ed importante in cui impegnarsi è proprio mantenere il controllo di se stessi, essere lucidi e non crogiolarsi in un fin troppo facile vittimismo. Anche se le previsioni per una ripresa economica e un aumento dell’occupazione per il 2013 sono disastrose, darsi per vinti è il peggior male possibile. Non voglio dare lezioni di vita a nessuno: non ho né le capacità né il ruolo.  Piuttosto rifletto a voce alta, riorganizzo i miei pensieri e faccio i miei piani per il futuro.  Se ormai sono consapevole che mettercela tutta non servirà a trovare un lavoro, chiudersi in se stessi e dirsi che impegnarsi non serve a niente è solo un comportamento che ci fa del male e che aiuta chi agisce in maniera disonesta a raggiungere più facilmente i propri interessi.
Chi oggi è senza lavoro e vive in una condizione di precariato lavorativo e, di conseguenza, sociale non è un incapace, ma rappresenta, suo malgrado, il risultato di scelte politiche ed economiche rivolte solo al tornaconto personale o di pochi privilegiati, di un sistema clientelare dove sussiste ancora la logica mafiosa della famiglia e dove le strategie di sviluppo sono un mero scambio di favori. E per superare tutto questo non bisogna isolarsi, considerarsi perdenti e pensare di cavarsela con qualche scappatoia: servirebbe solo a peggiorare le cose e a diventare complici. Non bisogna considerarsi vittime ma individui responsabili e dotati di capacità da far valere per la propria crescita personale e da condividere con gli altri, è così che possiamo cambiare le cose. Mi rendo conto che possono sembrare parole utopiche e fuori luogo ma la situazione è talmente caduta in basso, che per ottenere dei risultati bisogna puntare in alto, essere ambiziosi ed avanzare le proprie pretese.

Per questo motivo, uno dei mie buoni propositi per l’anno che verrà sarò quello di impegnarmi ad essere parte del cambiamento, sia partecipando a nuove iniziative che stanno nascendo (come la campagna Io Voglio Restare), sia imparando a conoscere e collaborare alle attività di sindacati e realtà associative che da tempo si occupano di lavoro e diritti (per esempio la campagna della Cgil Ricostruiamo l'Italia). Il Manuale del giovane precario, senza rinunciare a mettersi in prima linea nella sperimentazione dei consigli, più o meno ortodossi, per cercare un lavoro, diventerà, o almeno si proporrà di farlo, un aiuto per conoscere ed entrare in contatto con chi si impegna, in maniera diretta, per essere artefice di un cambiamento reale.

Consapevole che il cammino sarà lungo e certamente non sarà semplice, ma considerato che ci stiamo avvicinando alla spumeggiante e festaiola serata di capodanno, vi lascio con un classico di S. Silvestro

venerdì 28 dicembre 2012

Coordinamento Precari Unipi - Il precariato? All'Università di Pisa non esiste.


Martedì 18 dicembre, presso il Polo Carmignani dell’Università di Pisa, il Rettore, Prof. Massimo Augello, ha incontrato, su richiesta delle rappresentanze studentesche, la comunità accademica per illustrare le linee programmatiche di bilancio e le politiche dell’Ateneo per il triennio 2013-2015.

Di fronte alla domanda su come l’Università di Pisa intendesse gestire il problema del precariato fra il personale tecnico-amministrativo, il Rettore ha risposto che, con le 21 stabilizzazioni del 2012, nell’ateneo rimangono solo tre precari e che pertanto il problema non sussiste.  Ma di quale università stiamo parlando?

Il Coordinamento Precari dell’Università di Pisa lavora da mesi per censire e rendere trasparenti i dati sul precariato in Ateneo. I dati raccolti evidenziano il ricorso a diverse forme di precariato del personale tecnico-amministrativo in servizio a tempo indeterminato e rivelano la presenza di lavoratori precari che prestano servizio, con funzioni istituzionali e non progettuali, da periodi di gran lunga superiori a 36 mesi.

Il coordinamento, in collaborazione con le RSU chiede da tempo all'Ateneo, senza ottenere risposta, una pianificazione triennale di queste risorse, come previsto dalla legge, che consenta ai lavoratori precari una visione delle proprie prospettive a medio termine.

L'atteggiamento evasivo dell'Ateneo, culminato con la negazione pubblica del fenomeno da parte del Rettore, si rivela offensivo nonché lesivo della dignità dei lavoratori.

Coordinamento Precari Tecnici-Amministrativi Unipi

domenica 25 novembre 2012

PrecariaMente presenta: Il curriculum collettivo di Diversamente Occupate


Per affinità elettiva, ci teniamo a farvi conoscere il blog di diversamente.occupate.blogspot.it, ovvero il diario di un gruppo di giovani donne che si confrontano con il difficile mondo del lavoro.

Ecco il loro curriculum collettivo:


Nomi: Teresa, Claudia, Antonella, Eleonora, Angela, Federica

Nate a: Da Roma in giù, pendolari e fuori sede.

Nate il: nella prima metà degli anni ’80, troppo tardi per vivere la politica degli anni ’70, troppo tardi per la contestazione, tardi per i partiti, i sindacati, i collettivi, in tempo per incontrare donne che fanno politica per le donne.

Stato civile: nubili e una sposanda

Studi: umanistici. Comunicazione, Filosofia, Dams. Tutte figlie della riforma del 3+2. Laureate in Filosofia politica, una in Teoria del cinema. Ciascuna ha studiato per il piacere di farlo, per curiosità, per passione; nessuna credeva nell’equazione studio=preparazione al lavoro: mentre altri spulciavano le guide all’università valutando i diversi sbocchi professionali, noi cercavamo di interpretare quali meravigliosi contenuti si celassero dietro i titoli dei moduli di didattica. Aspettative spesso disattese, il piacere maggiore è venuto da quello che non ci aspettavamo: per tutte il pensiero delle donne.

Competenze acquisite: disciplina, sindrome della formichina operosa, capacità di improvvisazione orale; gestione del tempo, strategie di sopravvivenza settimanale con 50 mila lire/ 50 euro nel portafogli; abilità nel destreggiarsi fra le trafile burocratiche, alta densità creativa nella riorganizzazione del presente, re-immaginazione del futuro, rielaborazione del passato; ottimizzazione dello spazio in valigia, fisica e metaforica; resistenza al nozionismo; capacità di sfuggire alle etichette e alle riduzioni ad uno, scoperta del valore del nomadismo dei saperi; non è davvero oro tutto quello che luccica.

Esperienze lavorative: Ripetizioni a domicilio, Pr in discoteca, commessa, insegnante di pianoforte per bambini, operatrice call-center, dialogatrice, banconista pane e derivati, promotrice di vacanze studio, volantinatrice, animatrice per bambini, segretaria di seggio, bagnina, stagista, volontaria servizio civile, fotografa teatrale, cameriera, baby sitter, giornalista, impiegata, operatrice di sportello, sostituta di direttore in vacanza, assistente di filiale, istruttrice di nuoto, assistente di direzione, responsabile di sala, segretaria, barista, insegnante di italiano per stranieri, operatrice video, critica gastronomica, assistente bibliotecaria, correttrice di bozze, addetta stampa, borsista, sono sicure di aver fatto anche altro, ma non ricordano cosa.

Posizione lavorativa attuale: traduttrice, web editor, giornalista/redattrice/blogger, direttrice periodico on-line; dottoranda, laureanda.

Competenze acquisite: capacità di riconoscere il confine “potrebbe essere il mio lavoro/non lo farei neanche morta”, capacità di leggere tra le righe degli annunci di lavoro e delle domande sessiste dei selezionatori, abilità performativa nel convincere l’interlocutore che “questo lavoro è il sogno della mia vita”, capacità di reinventare un lavoro morto e sepolto, capacità di fare la domanda giusta nel momento giusto alla persona giusta, capacità di fare la domanda sbagliata alla persona sbagliata nel momento sbagliato (e divertirsi per questo), conoscenza dettagliata dei vicoli del centro storico di Roma, resistenza di camminata sulle lunghe distanze anche in condizioni climatiche avverse.

Esperienze non lavorative: tutte le attività che portiamo avanti insieme ad altre donne, non per soldi, non per carriera, ma per bisogno, desiderio e responsabilità politica.

Quel che fa la differenza: Riuscire ad acquisire entro domani le competenze che ho detto di avere ieri, una certa (ir)responsabilità nel riconoscere gli errori di mira ed aggiustare il tiro, destreggiarci tra le diverse dimensioni dell’esistenza, mettersi in discussione con un sorriso, essere radicalmente curiose.

Possiamo: portare a termine un lavoro costi quel che costi, gestire più attività lavorative contemporaneamente, dimenticare di avere un corpo da curare e ascoltare, entusiasmarci per progetti che non sono nostri. Possiamo...ma non vogliamo farlo.






lunedì 1 ottobre 2012

Il manuale del giovane precario - Ops…sono disoccupata!


Ci siamo: dopo una settimana di ferie e due giornate di ore accantonate da recuperare, la data fatidica è arrivata. Oggi è il primo ottobre e sono disoccupata.

Nessuna sensazione particolare o preoccupante: battito regolare, frequenza respiratoria nella norma, nessuno sfogo cutaneo e gastrite sotto controllo. Non sono triste e, almeno per ora, non sono ancora particolarmente angosciata dal pensiero di essere senza un impiego. Direi piuttosto che sono un po’ spaesata: ho a disposizione del tempo da trascorrere facendo quello che mi piace, ma la mia totale incapacità di perdere tempo e la volontà di spenderlo nel miglior modo possibile, fanno si che mi ritrovi senza saper cosa fare. In questo momento la cosa che mi spaventa di più è il pensiero dell’inattività, il perder tempo, il non aver uno scopo.

Per fortuna, ascoltando una trasmissione di Radio Capital, mi viene incontro Elisa di www.monster.it, che mi risveglia dal mio intorpidimento con questa malefica frase “oggi cercarsi un lavoro è un lavoro e richiede una strategia”. Tralasciando il fatto che detesto le frasi di questo tipo e mettendo da parte la mia convinzione, che forse qualcuno potrebbe ritenere alquanto superba, secondo cui una laurea, un master e sei anni di lodevole servizio dovrebbero considerarsi un metodo alquanto plausibile per ottenere un lavoro da mille euro al mese, ho deciso quale sarà il mio obiettivo: elaborare una strategia per cercare, e magari trovare, un nuovo lavoro.

Ecco il piano d’azione: partendo proprio da Monster, passerò in rassegna tutti i motori di ricerca dedicati al lavoro; mi presenterò in tutte le agenzie interinali della mia provincia, al centro per l’impiego e all’Informagiovani. Senza remore e senza imbarazzo, presenterò la mia domanda di partecipazione a corsi professionali della Provincia di Pisa e dei vari enti locali e, spavalda e sicura di me, consegnerò il mio curriculum vitae alle aziende che non potranno più fare a meno delle mie competenze. E, questa volta con attenzione e consapevolezza del rischio, cercherò di capire come e a che condizioni sia possibile provare a realizzare un attività in proprio.

Chi di voi vuole venire come me? Mi raccomando, non perdetevi la prima puntata: come chiedere la disoccupazione.

 
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