mercoledì 25 dicembre 2013

Un concorso pubblico, una forchettina e un'assuzione a tempo indeterminato

Questa è la storia di cosa ho fatto in questi ultimi cinque mesi e del perchè giro con una forchettina da aperitivo nella borsa.

La forchettina in questione l'ho rubata (...oops, l'ho detto!) nel bar dove solitamente prendo il caffè prima di entrare in ufficio e dove, eccezionalmente, ho brindato per aver sostenuto l'orale di un concorso pubblico all'Università di Pisa (per festeggiare il solo fatto che avevo concluso le prove della selezione), per aver conquistato la medaglia di bronzo al concorso in questione e perchè sarò assunta, dal 30 dicembre, a tempo indeterminato. 

Perché impossessarmi indebitamente di una forchettina? Per tenerla nella tasca laterale della mia borsa e punzecchiarmi ogni qualvolta ho bisogno di capire che sono sveglia e non sto vagando nei miei sogni proibiti di precaria arrabbiata e irrequieta.

“Assunta a tempo indeterminato”:  una piccola frase che racchiude quasi un anno di studio per prepararsi ad un concorso, otto anni di lavoro precario, giornate di lavoro infinite per dimostrare quanto valgo, quanto sarei stata indispensabile e quanto sarebbe stato utile rinnovare il mio rapporto di lavoro. Corsi di formazione a cui ho partecipato, corsi professionalizzanti a cui non sono stata ammessa perché “troppo qualificata”, centinaia di curricula inviati senza ricevere nessuna risposta. E ancora: pianti di rabbia per promesse disattese, slanci di euforia per ogni nuovo contratto a tempo determinato firmato e un forte senso di disorientamento ogni volta che ci mi avvicinavo alla scadenza. Non mi sembra vero che tutto ciò sia finito: cammino in punta di piedi, cauta e silenziosa, come se quello che sta succedendo possa scoppiare e svanire nel nulla come una bolla di sapone.

Ma so che non succederà, perchè anche se ancora non riesco a rilassarmi e a rendermi conto dell’importante novità che mi aspetta, la fatica che ho fatto per raggiungere questo risultato è ancora troppo viva, pressante e reale e non riuscirò a levarmela di dosso tanto facilmente.  Anche perché, lo ammetto, questa stanchezza  è ciò che veramente mi rende orgogliosa di me stessa: quello che ho ottenuto è solamente il risultato del mio impegno. Niente raccomandazioni, strizzatine d’occhio e compromessi: solo io.

Per tutto questo, tra l'emozione di un risultato appena raggiunto e la fresca sensazione di tranquillità di non dover più aggiornare il curriculum vitae, è ancora viva e più pulsante in me la solidarietà verso chi si deve ancora barcamenare nell'inquietante e incerta dimensione del lavoro precario ed è per questo che PrecariaMente continuerà a sostenere la propria causa, con una sola differenza: nuovo anno, nuovo blog.

Buone feste e a presto!





venerdì 2 agosto 2013

I doveri di un precario. Lo ammetto: ho inviato la mia candidatura a IKEA!

Ci siamo, anche a Pisa sbarca l’inarrestabile colosso IKEA. Un nuovo mastodontico store di quasi 34.000 mq che, per prima cosa, più che ispirare all’acquisto di divani, cucine e librerie a basso costo, fa pensare a nuovi posti di lavoro.
So che suona decisamente snob ma io l’ho sempre odiata IKEA! Odio quell’odore di compensato misto a colla che aleggia nei negozi e che, dopo dieci minuti di entusiasmo all’idea di un colorato shopping a basso costo, mi penetra nel cervello e mi fa venire la nausea. Mi innervosisco a montare quelle cavolo di librerie Billy che tutti mi dicono essere un gioco da ragazzi e che per me vuole dire impazzire per una giornata intera per ritrovarmi con la casa piena di trucioli, viti dall’aspetto enigmatico e tavolette  di legno sfasate. E odio quei prelibati biscotti svedesi, concentrato di burro e zucchero, che tutti non possono fare a meno di comprare e per il mio intestino intollerante al glutine rappresentano una vera e propria bomba atomica!
Ma, da precaria, porto costantemente dentro di me quel maledetto senso del dovere per cui rinunciare a sfruttare un’opportunità lavorativa che possa prevedere un contratto a tempo indeterminato provocherebbe un senso di colpa decisamente più intollerante del glutine!
Metto da parte tutta la mia ritrosia e il mio snobismo, accedo alla sezione “Lavora con noi” del sito www.ikea.com dove si spiega subito che candidarsi a lavorare per IKEA è semplicissimo:

1: Usa il nostro motore di ricerca per trovare il lavoro adatto a te.2: Inviaci il tuo CV, contenente tutte le informazioni più rilevanti, con una lettera di accompagnamento.3: Ti invieremo una notifica quando riceveremo la tua domanda e ti terremo aggiornato.

E’ facilissimo? Che problema c’è?

Quindi: primo passo, capire qual è il lavoro più adatto a me. Leggo le parole di Magnus Anderson - ma vuoi mettere lavorare per uno che si chiama Magnus? -, store manager IKEA Pisa:

“Abbiamo bisogno di persone schiette ed oneste che, come noi, abbiano la passione per l’arredamento e per i clienti, e che ci aiutino a diventare leader nel vivere la casa cogliendo la sfida di creare un nuovo punto vendita. Vogliamo persone che amino lavorare in gruppo per un obiettivo comune, che non abbiano paura di assumersi responsabilità , anche sbagliando, e che non smettano mai di chiedersi il “perché” delle cose. Abbiamo bisogno del contributo di persone flessibili e disponibili a lavorare quando il nostro cliente ha bisogno di noi e che siano ambasciatori dei valori e della cultura IKEA.”
Schietta, onesta, a cui piace lavorare in gruppo, disposta ad assumermi le mie responsabilità: fino ci qui, ci sono! Che non smettano di chiedersi il “perché delle cose”: questo mi capita un milione di volte al giorno … soprattutto se penso a nomi dei mobili IKEA! Persone flessibili e disponibili: queste richieste mi rendono sempre terribilmente sospettosa e contrariata. ”Che siano ambasciatori dei valori e della cultura IKEA”. Della cultura IKEA? Ma cos è la cultura IKEA? Vabbè, preferisco glissare, almeno per questa volta, e non chiedermi perché, convincermi che sono proprio un ignorante e che è un problema mio se, nel 2013, ancora non conosco la cultura IKEA!

Per documentarmi leggo la sezione dedicata ai valori dell’azienda: Umiltà e forza di volontà; Leadership attraverso il buon esempio; Avere il coraggio di essere differenti; Collaborazione ed entusiasmo; Attenzione ai costi; Desiderio continuo di rinnovamento; Assumersi e delegare le responsabilità.
Allora, o vomito o la pianto di fare le manfrine e invio questo maledetto curriculum vitae!
Bene, faccio mia la frase “Incoraggiamo i collaboratori a sfruttare il proprio potenziale e a superare le aspettative. Bisogna anche essere capaci di imparare dai propri errori” e invio la mia candidatura. Ora non mi resta che aspettare la notifica e tutte le informazioni sul da farsi.


Che dire: vi farò sapere!


sabato 27 luglio 2013

La ricetta giusta per la carriera. Ovvero, come disgustare un precario!

Anche questa volta devo deludervi poiché - come si potrebbe erroneamente dedurre dal titolo - non si tratta di uno sfizioso post culinario e,  nonostante gli sforzi, non sono ancora riuscita ad individuare quel mix di ingredienti, misti a talento e fortuna, che può farci uscire dal tunnel del precariato con tanto di scattante avanzamento di carriera!

La ricetta giusta per la carriera” è un articolo, rimanendo nell’ambito del lessico alimentare, per me alquanto nauseante, del settimanale femminile D de La Repubblica che, suggerisce ai giovani di iscriversi ad una scuola di cucina professionale per prepararsi alle professioni dell’altra cucina. Anche se sono convinta che ben poche persone decidano di intraprendere una scelta di studi e di vita come conseguenza di un articolo letto su una rivista, credo che sia un po’ ipocrita e inverosimile scrivere cose del tipo “puntare su una scuola (n.d.r. di cucina professionale) accreditata è un buon investimento anti-crisi”. Non voglio certamente mettere in dubbio le percentuali di assunzione di chi esce da una scuola di alta cucina, vorrei solo puntualizzare che “quei 15 mila euro per 11 mesi di corso (la tariffa standard per un scuola culinaria)” non sono un investimento sul futuro dei figli che molti genitori, soprattutto nell’Italia di oggi, potranno permettersi con molta facilità.

Dal curriculum vitae di una delle due chef citate nell’articolo,  Cristina Bowerman, deduco che non si tratta proprio della figlia diligente e talentuosa di un pizzaiolo di periferia: nata a Cerignola (FO), dopo la laurea in Giurisprudenza continua gli studi forensi presso l'Università di San Francisco in California (USA), dove ottiene il suo primo lavoro in cucina, in un noto breakfast place chiamato Higher Grounds. Negli anni successivi continua a coltivare la passione culinaria e, una volta trasferita ad Austin (Texas) , fonda la piccola compagnia The Two Skinny Ladies e cucina a domicilio. Maturata la decisione di diventare una professionista della cucina, si laurea in Arti Culinarie nel 2002 presso l'Università di Austin con il programma della famosa scuola parigina Cordon Bleu. Nel 2004, dopo svariate esperienze di rilievo e non negli Stati Uniti, risalenti anche al periodo del corso di laurea, tra cui spicca quella per il Driskill Grill, decide di ritornare in Italia per un'esperienza professionale, scegliendo il Convivio Troiani, noto stellato romano.

Non discuto l’alta professionalità e la competenza della Bowerman ma, onestamente, il suo percorso di formazione non è proprio alla portata di tutti!  Bowerman afferma “superate lo svantaggio biologico puntando dritte all’alta cucina. Lì si pensa di più e di fatica di meno rispetto ad una trattoria”. Cavolo … ecco dove ho sbagliato! Ed io che quando frequentavo l’università trascorrevo le serate dei fine settimana a fare la cameriera in un alquanto dozzinale ristorante-pizzeria di provincia, percorrendo chilometri tra tavoli-sala-cucina-forno a legna e facendo l'equilibrista tra i tavoli trasportando pizze dalla temperatura di 350 gradi Celsius! Il più impegnativo esercizio intellettuale era tenere in mente i dodici diversi tipi di caffè che ti avevano ordinato al tavolo da dieci: basso, macchiato freddo, macchiato caldo, lungo, al vetro, d'orzo, decaffeinato, shakerato, decaffeinato alla nocciola, mocaccino, cappuccino, schiumato, americano, macchiato in tazza grande, corretto al sassolino, alla sambuca, alla grappa morbida o alla grappa secca! Non ho mai capito perché un ristorante-pizzeria con una scelta di appena cinque primi e quindici pizze, deve servire il caffè il cinquecento modi diversi: forse è una proposta della Bowerman per aguzzare l’ingegno del povero cameriere che, sul concludersi della serata, non vede l'ora di sbattere fuori i clienti e sparecchiare i tavoli!

L’articolo è accompagnato da un simpatico trafiletto “Centomila futuri mestieri”, che elenca alcune nuove opportunità di lavoro censite da Coldiretti: dall'agrigelataio al sommelier della frutta, dal birraio a chilometri zero, all'assaggiatore di miele, dal personal trainer dell'orto al food blogger. Mi chiedo se qualcuno avrà mai pensato al coach motivazionale per galline? Mi ci vedrei veramente bene: look un po’ vintage alla Maria Rosa del lievito Bertolini, salopette blu e foulard a fiori in testa, che, con cestino di vimini sotto braccio,  saltello nel pollaio e canticchio filastrocche per esortare le mie gallinelle a farmi tanti ovetti: “forza gallinelle, fatemi tanti bei ovetti che scaliamo le classifiche di Forbes!”. Vedo già i titoli sui giornali: “Precaria della Pubblica Amministrazione decide di cambiare vita e diventa milionaria curando l’autostima di un pollaio di galline sull’orlo della crisi di nervi e inevitabilmente destinate al brodo!”.

Alla fine, dopo tanti anni di co.co.co., non dovrei avere troppa difficoltà!


 La gallina di  Jules Renard

A zampe unite, salta dal pollaio, appena le si apre la porta. È una gallina qualunque, di abiti modesti, e non fa, no, uova d'oro.
Ubriaca di luce; muove qualche passo incerto nel cortile.
Vede, per primo, il mucchietto di cenere dove ha il vezzo di ruzzare ogni mattina.
Vi si arrotola, vi si affonda e, sbattendo forte le ali, gonfia le piume, si scuote di dosso le pulci della notte. Va a bere nella scodella sbreccata riempita dall'ultimo acquazzone.
Non beve che acqua.
Beve a sorsetti, a collo teso, equilibrata sull'orlo del piatto.
Poi, è il momento della cerca del cibo, qua è la. Tutto è suo: le erbette sottili, gli insetti, tutti i semi dispersi.
Becca, becca, infaticabilmente. Solo, si arresta tratto tratto.
Ben ritta, sotto il caschetto frigio,vivo l'occhio, il gozzo in fuori; ascolta con un orecchio e con l'altro.
No, non c'è nulla di nuovo: e si rimette alla cerca.
Solleva alte le zampe rigide, come chi ha la gotta, divarica le dita e le posa, cauta, senza rumore.

Si direbbe che cammina scalza.




sabato 20 luglio 2013

Precaria io? Ma se per il Governo Letta non esisto!

In questi ultimi giorni, parlando del decreto sul lavoro, ho sentito spesso definire il governo “miope”.

Dato che, essendo precaria, mi sento direttamente coinvolta quando si tratta di provvedimento in materia di lavoro e occupazione, ho pensato che fosse opportuno essere ben informata sulle misure previste dal decreto e, data la mia inesperienza in materia, approfondire la questione consultando le opinioni di chi, molto più esperto di me, ne aveva parlato. Ho letto molti articoli che cercavano, con atteggiamento imparziale, di far emergere i punti salienti, alcuni che provavano a dimostrarne la validità, altri che la valutano un intervento insufficiente e  inefficace e altri ancora che, a scanso di equivoci, preferiscono aspettare qualche risultato, positivo o negativo che sia.
Ma , prima ancora di entrare nel merito della riforma, il mio incontro/scontro con il nuovo decreto del lavoro non poteva che suscitare in me una fortissima delusione e un profondo senso di smarrimento: per il nuovo governo, in pratica, io non esisto! Altro che miopia: qui si tratta di cecità totale!
Non solo non esisto, ma considerati i requisiti previsti per essere beneficiari degli incentivi stanziati dal decreto – circa  le possibilità di risultare idonea per un’assunzione a tempo indeterminato o anche per un qualsiasi altro contratto - sono catapultata, senza paracadute, nella fascia di lavoratori precari del tipo “se li conosci, li eviti”.
Donna, 33 anni, laureata con 110/110 e lode, master di II livello, esperienza nel settore pubblico e in quello privato con un curriculum dignitoso, “accompagnata”, in piena salute e con alto rischio di gravidanza: praticamente un abominio per qualsiasi datore di lavoro in cerca di manodopera a basso costo! Pussa via brutta bertuccia!
Ma l’Enrico Letta che ha sfornato questo decreto legge non è per caso lo stesso che, pochi mesi fa, alla presentazione del suo programma di governo, ha dichiarato che la mancanza di lavoro è «la grande tragedia di questi tempi» e che sarebbe stata «la prima priorità di questo governo»? Forse lo confondo con quello che ha detto di voler assolvere Angelino Alfano per lo scandalo dell’arresto della Shalabayeva, moglie del dissidente kazako Ablyazov, e della loro bambina!
Sul sito www.sbilanciamoci.info , ho letto un interessante articolo di Alessandro Sterlacchini, dal titolo “Decreto lavoro, miopia digoverno”, che vi consiglio vivamente di leggere non solo per la valutazione del decreto, che mi vede totalmente concorde, ma anche perché ci aiuta a farci un’idea del progetto e della mentalità che sta dietro alle soluzioni stabilite dal governo.

Dall’articolo:

<<In tutti i paesi avanzati le politiche pubbliche sono da tempo rivolte a incentivare gli investimenti delle imprese in ricerca, innovazione, conoscenza e capitale umano. Per il governo delle larghe intese invece le aziende italiane hanno bisogno di altro: lavoratori con basso livello di istruzione e macchine. Il governo Letta ha da poco varato il decreto lavoro preceduto dal decreto “del fare”. Oltre alla pochezza di risorse messe in campo, i due decreti condividono un altro più grave aspetto: quello di accentuare lo stato di arretratezza del nostro sistema economico. Con la scusa dell’emergenza, il governo rinuncia a interventi lungimiranti, incentivando invece le imprese ad assumere lavoratori che costano poco e acquistare macchinari. L’opposto di quello che dovrebbero fare le aziende di un paese avanzato nell’era dell’economia della conoscenza. L’aspetto sconfortante del decreto lavoro è che le agevolazioni per le assunzioni a tempo indeterminato riguardano i giovani sotto i 30 anni privi, addirittura, del diploma di scuola secondaria superiore. I laureati, infatti, le imprese italiane non li vogliono. D’altro canto, un diplomato costa di più di un giovane senza titolo di studio. L’obiettivo del governo è quindi quello di massimizzare i posti di lavoro con le poche risorse a disposizione. Poco importa che si tratti di mansioni a bassissima qualifica (siamo in emergenza, soprattutto nel Mezzogiorno). Poco importa che il messaggio inviato alle famiglie sia esiziale per il futuro del nostro paese (meno istruzione più opportunità di lavoro per i figli).>>


In conclusione, cosa ne penso della riforma sul lavoro del governo delle larghe intese? Per una lavoratrice precaria iscritta all’FLC, Federazione Lavoratori della Conoscenza della CGIL, rendersi conto che, come dice Sterlacchini, mentre in tutti i paesi avanzati le politiche pubbliche sono da tempo rivolte a incentivare gli investimenti delle imprese in ricerca, innovazione, conoscenza e capitale umano, in Italia si punta su lavoratori con basso livello di istruzione e macchinari è un’enorme delusione. L’esatto contrario di quello che dovrebbe essere. Ma, d’altra parte, io che ne so: non esito! E se per il governo la mia situazione non esiste e non è un problema, allora è proprio il momento di rimboccarsi le maniche!





lunedì 15 luglio 2013

La riconciliazione di un precario: una proroga e una frittata

Questa mattina, in ufficio, mi è stata recapitata dal custode una raccomandata a mano personale: il mio contratto, che sarebbe dovuto scadere fra una decina di giorni, è stato prorogato fino al 31 dicembre. Niente di eccezionale, una proroga di poco più di cinque mesi, che però ha contribuito notevolmente a calmare quello strisciante senso di inquietudine che, inevitabilmente, ti coglie quando incominci a riflettere sul fatto che il tuo contratto terminerà prima degli yogurt senza conservanti che hai nel frigo!
“In relazione al rapporto di lavoro istaurato con la Sig.ra Vispa Teresa, assunta a tempo determinato a decorrere dal 21/01/2013 fino al 21/07/2013, informo che, a seguito del permanere delle esigenze che ne hanno reso necessario il reclutamento, tale rapporto di lavoro è prorogato fino al 31/12/2013”.
Tutto qui: ma queste poche parole, frutto probabilmente di un meccanico e svagato copia incolla, nella mia testa suonano più rilassanti ed emozionanti del notturno in do diesis minore di Chopin! No, non abbiate paura, non sto manifestando i primi fastidiosi sintomi della sindrome di Pollyanna, è solo che stasera è una bellissima serata di luglio, ho in frigo una fresca bottiglia di vino bianco che intendo gustare in tranquillità ed ho bisogno di riconciliarmi un po’ con me stessa. La questione cruciale della scadenza del contratto non è stata risolta, è stato piuttosto “prorogata”, ma stasera ho deciso di prendere una giornata libera e di prorogare anche i problemi e le ansie! Dove eravamo rimasti? Una bellissima giornata di luglio, una bottiglia di vino bianco … e con il vino? Una frittatina veloce e profumata. Devo rassicurarvi ancora una volta: no ho intenzione di accattivarmi la simpatia dei miei affezionati e numerosi (?) lettori cavalcando l’onda di successo dei blog di ricette … per cui, fra l’altro, non avrei neppure le competenza! Lo ripeto questo non è un post culinario ma un esercizio di riconciliazione con me stessa! La ricetta è di una semplicità disarmante, praticamente intuitiva, e gli ingredienti sono il minimo indispensabile: quattro uova, parmigiano, sale, un filo di olio di oliva e qualche aroma del mio “orto” (n.d.r. trattasi di un’aiuola a semicerchio di, più o meno, un metro di diametro!). Non sono capace di cuocerla nella padella e così risolvo alla mia inettitudine ai fornelli cucinandola al forno: come ho già detto, stasera niente complicazioni e, se si può, niente ustioni con l’olio bollente! Accendo il forno a 200°. Prendo un zuppiera di vetro e, una dopo l’altra, spacco le quattro uova (ricetta per due!)… mi piace farlo lentamente, rompendo il guscio con un sordo schiocco lungo il bordo della zuppiera e facendolo scivolare dentro con un tuffo calmo e solenne. Mi piace la sensazione fresca e appiccicosa dell’albume sulle dita e il giallo perfetto e luminoso dei tuorli che rimangono interi. Poi, tutto rigorosamente ad occhio e secondo il gusto personale, verso il sale, il parmigiano grattugiato e mescolo tutto insieme, dall’alto verso il basso, senza esagerare … quanto basta per far amalgamare le chiare ai rossi. Prendo una teglia antiaderente di forma circolare e, lentamente, ci faccio scivolare tutto il composto: piano piano, a rallentatore, per godere del contrasto tra la cremosità gialla delle uova che, morbidosamente, si allarga sul fondo nero della teglia. 

Il più è fatto: non resta che mettere la teglia nel forno, ormai caldo, e attendere poco più di un quarto d’ora! Mentre la frittata cuoce, il forno emana un profumino ghiotto e accogliente che mi dà buonumore e serenità . Divago pensando ad una bellissima scena di uno dei mie film preferiti, Una giornata particolare di Ettore Scola , dove Marcello Mastroianni e Sofia Loren, vivono un tragico e tenero momento di empatia fisica ed emotiva che ha inizio proprio con la condivisione di una frittata preparata da Mastroianni: 





 Ed ecco che finalmente la mia frittata è pronta, il sole è tramontato e la tavola apparecchiata per due: una perfetta serata tranquilla per riconciliarsi con se stessi. Domani pensiamo a tutto il resto, ma stasera niente deve turbare questa bellissima quiete. Stasera deve andare così e, tanto per rimanere sulla linea della citazione cinematografica: domani è un altro giorno!





giovedì 11 luglio 2013

Aspettare stanca!

Lavorare stanca era il titolo di una raccolta di poesia di Cesare Pavese. Italo Calvino parlando del poeta lo definì "un ragazzo nel mondo degli adulti, senza mestiere nel mondo di chi lavora, senza donna nel mondo dell'amore e delle famiglie, senza armi nel mondo della lotte cruente e dei doveri civili": in un certo senso, un precario di altri tempi! Con la differenza che, per il precario, stancarsi lavorando, più che un sentimento di malessere fisico e psicologico, è un'aspirazione!
Ma se non si stancano a lavorare, i precari sono stanchi di molte altre cose: sono stanchi di doverlo cercare un lavoro, di dover firmare vergognosi contratti che prevedono molti doveri e pochi diritti, di dover sempre dimostrare di essere indispensabili e all'altezza del compito da svolgere. Sono stanchi di doversi sempre organizzare in previsione dell’approssimarsi di un periodo di disoccupazione, di doversi inventare in una nuova figura professionale e di dover organizzare il resto della propria vita secondo i nuovi e provvisori orari di lavoro. Sono stanchi di aggiornare il proprio curriculum vitae, di affrontare inutili colloqui al centro per l’impiego o surreali appuntamenti con gli impiegati allucinati delle agenzie interinali che, fra l’altro, sono quasi più precari dei lavoratori che cercano di collocare! I precari sono stanchi di sentire che la percentuale di disoccupazione ha raggiunto livelli mai visti e di leggere delle proposte del Governo per il rilancio dell’occupazione che qualche mese dopo si riveleranno del tutto inefficaci.
Io, per esempio, sono stanca di studiare per un concorso che avrei dovuto fare ieri ma che, pare a causa di un alto numero di domande di partecipazione, è stato rimandato, una settimana prima del suo svolgimento, al 10 ottobre! Anche se ora godo dei benefici di un sospirato fine settimana trascorso in spiaggia, anziché a sudare sui libri, l’idea di dover passare ancora dei mesi con il pensiero di dover affrontare l’ennesimo concorso pubblico, mi fa calare addosso un opprimente senso di spossatezza. Sono bloccata in attesa di una data che mi spaventa ma che non vedo l’ora che arrivi! Ecco quello che mi stanca di più: non è lavorare o studiare, è aspettare!
I precari sono stanchi di aspettare la data di concorso, l’inizio o la fine di un contratto, la pubblicazione di un bando, la decisione di una commissione sull’esito di una selezione, il momento giusto per comprarsi una casa, per fare un figlio, per comprare l’auto nuova con una finanziamento. 

I precari sono lavoratori/cittadini/adulti in stand-by: circuiti elettrici pronti a partire, stanchi di aspettare e ansiosi di riprendere in mano la propria vitaMa da precaria, con colleghi e amici precari, vi assicuro che per un precario che si strugge nell’attesa, ce sono tanti che non si rassegnano e che, nonostante tutto, senza illusioni o false speranze, pur non avendo ben chiaro dove e come lavoreranno domani, sanno bene quello che vogliono oggi e non hanno voglia di rinunciarci. E questa non è una minaccia ma una promessa: la premessa che ce la metteremo tutta e che non staremo ad aspettare Godot!




sabato 18 maggio 2013

Il manuale del giovane precario – Consigli (più o meni seri) e tre canzoni per affrontare un concorso

Avvertenza. Prima di leggere il post clicca qui: LINK

Uno dei “passatempi” più impegnativi per chi è disoccupato o per chi non ha un lavoro a tempo determinato, è sicuramente la consultazione svogliata di gazzette, albi e siti che pubblica i bandi di concorso annunciati dagli anti pubblici e qualche volta può capitare di imbattersi in qualche bando che, con lo scetticismo del caso, ci convince ad avere un po’ di fiducia in noi stessi e a partecipare.

1. Se non siete tra i fortunati per cui i requisiti del bando coincidono in maniera impertinente con il proprio curriculum vitae, accertatevi di essere in possesso dei requisiti di partecipazione, leggendo con attenzione quali sono quelli fondamentali e i titoli che invece vi daranno punteggio.

2. Leggere con attenzione le indicazioni per la redazione della domanda e i termini di presentazione, facendo particolare attenzione alla data di scadenza e alle modalità di invio: in molti casi non fa fede il timbro postale e rischiate che la vostra domanda di partecipazione arrivi in ritardo! Attenzione anche alla dicitura da indicare sulla busta: può essere richiesto di indicare l’oggetto del bando e il numero di protocollo.

3. Leggere sul bando il numero e la tipologia delle prove di valutazione e le principali materie su cui sarete valutati. Evitando di immergersi a capofitto in farraginosi manuali di contabilità, diritto, informatica, o di qualsiasi cosa tratti il concorso, consultate con attenzione il sito, i regolamenti e le attività dell’ente che bandisce il concorso: molto spesso i concorsi trattano argomenti che riguardano strettamente la propria regolamentazione interna e le proprie attività istituzionali.

4. Fatevi un calendario in cui indicare i giorni da dedicare allo studio, ma anche i momenti per fare delle pause: magari non lo seguirete con rigidità, ma vi aiuterà a procedere con ordine e a non andare fuori di testa e a dedicarvi dei momenti di svago senza sentirvi inconcludenti. Magari agitandovi in uno sballo spudoratamente senza senso, ma di immediato effetto, con 99 Luftballons:


5. Controllare la dispensa e verificate che abbondi di golosità che vi piacciono: lo so che non è un consiglio molto salutare, ma in certi periodi la gola va appagata. Ecco le mia scorte: cerali di riso soffiato al cioccolato, barattolini di gelato, nutella. E perché no, anche qualche buona bottiglia di vino rosso, da consumare, ovviamente, non tanto per allietare i pomeriggi di studio, ma, piuttosto, per farvi dormire tranquilli senza l’incubo di essere di fronte alla commissione in pigiama e ciabatte!

6. Fate una lista di tutto c’ho che farete quando tutte le prove del concorso saranno finite e a cui ora, spinti dal un incontrollato senso di responsabilità, non riuscite a fare: a me aiuta ad andare oltre e a non pensare che sto trascorrendo giugno a studiare un regolamento sull’amministrazione, la finanza e la contabilità dell’Università di Pisa. Attenzione, non devono essere cose del tipo: sbrinare il freezer, togliere la muffa dall’angolo della cucina o controllare le bollette. Ma piuttosto: andare in bicicletta fino a Lucca e fare la siesta sulle mura; farmi un gelato nocciola, fiordilatte e cioccolato fondente alla nuova gelateria senza glutine; riguardare tutti i miei film preferiti della nouvelle vague e dormire fino a che non impresso sul materasso la forma del mio corpo!

Domani si incomincia a studiare, ma ora, prendetevela comoda:






 
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