Proprio quando finalmente decido di buttarmi, leggiadra e senza paura,
nella danza della ricerca di un’occupazione tra i siti dedicati alla ricerca o
all’offerta di lavoro on-line, su miojob.repubblica.it
leggo che dal mercato degli annunci di lavoro sul web arrivano
pochissimi riscontri positivi e che a settembre le ricerche di personale su
Internet sono state inferiori al due per cento rispetto allo stesso mese dello
scorso anno.
Ormai, però, mi sono lanciata e decido di portare avanti il mio piano d’azione
contro il precariato ed inizio a creami un account su alcuni dei siti dedicati
al lavoro.
Dove aver consultato svariati forum e andando un po’ a simpatia,
decido di iscrivermi a: miojob.repubblica.it
del quotidiano La Repubblica; trovalavoro.it
del Corriere della sera; www.monster.it;
www.cliclavoro.gov.it il portale
per il lavoro del Ministero del Lavoro e delle Politiche del Lavoro; www.borsalavoro.toscana.it della
Regione Toscana; www.infojobs.it; www.lavoro.org.
La maggior parte dei siti prevedono la compilazione di un profilo, che
in alcuni casi può essere collegato a quello di Facebook, e la pubblicazione di
un curriculum vitae ricercabile dalle aziende. Niente di particolarmente
complicato: bisogna parlare di sé, della propria formazione e delle precedenti
esperienze lavorative. E allora perché non riesco a concludere la compilazione
di un profilo come si rispetti o, almeno, come spiegano le cortesi e puntuali
indicazioni fornite dagli espertoni dei vari siti? Sarà quel pulsantino, in
fondo a destra della pagina, con indicato “carica il tuo CV” e quella miriade
di informazioni, consigli e dritte ammiccanti che circondano la pagina e che,
promulgando una competenza e un’affidabilità che a me mette solo ansia, cercano
di inculcarci nella testa l’importanza fatale di quello che scriviamo?
Tanto per fare qualche esempio, Monster.it insegna: “Tutto comincia dal
Curriculum Vitae: la ricerca di un lavoro, la speranza di essere chiamati per
un colloquio. (…). Il CV risponde alla domanda: - Perché l’azienda dovrebbe
investire il suo tempo e il suo denaro su di me?-“. “La presentazione del
proprio Curriculum Vitae è la prima impressione, quella su cui puntare tutto:
dimostrare di essere candidati ideali è difficile, ma non impossibile”. “La
parola chiave è differenziazione. Ma come uscire dalla massa di CV che arrivano
numerosi ogni giorno nelle caselle di posta elettronica o sulle scrivanie di
selezionatori e responsabili delle risorse umane?”. Dal motore di ricerca dal
Corriere della Sera: “Per scrivere un buon curriculum, cioè che possa davvero
interessare chi lo legge, non bisogna commettere l’errore (davvero comune) di
descrivere una storia piatta e generica, validi per tutte le occasioni. (…) E’
bene ricordare che la propria storia professionale non ha un valore assoluto,
ma di volta in volta quello che il nostro interlocutore le attribuisce,
rispetto alle specifiche esigenze di copertura del determinato ruolo”. Invece
sul sito della Regione Toscana, che parla addirittura di “arte di scrivere il
CV”, leggo: “un CV non deve essere scritto pensando ad un lavoro in particolare
ma deve potere essere utilizzato in diverse circostanze. Così sarò possibile
concorrere per 10 differenti lavori in un solo giorno poiché andrà compilata
solo la lettera di accompagnamento che dovrà essere di poche sintetiche righe.”
Invece di chiarirmi le idee, questi consigli fanno scaturire in me un
fiume di domande dal tono decisamente polemico e tendenzioso: ma perché devo
dimostrare di essere un “candidato ideale”? Uscire dalla massa? Ma di che massa
stiamo parlando? Della moltitudine di precari e disoccupati risultato di scelte
politiche condivise che scaricano il peso della crisi sulle classi medio-basse
e che continuano a ripeterci che dobbiamo adattarci e accettare i sacrifici?
Concorrere per 10 differenti lavori in un solo giorno? E’ vero che ormai
trovare un lavoro è come vincere la lotteria, ma allora che dobbiamo fare:
comprare più biglietti per aumentare le probabilità?
In un post
di qualche mese fa, dopo aver letto un articolo de L’Espresso dal titolo Dammi
il tuo curriculum e ti dirò chi sei, avevo già raccontato le mie perplessità
nei confronti dei suggerimenti che, come formule magiche, vogliono far credere
di avere la chiave per uscire dallo stallo della disoccupazione, della
precarietà e avevo concluso con la considerazione che non sarei stata capace di
scrivere un curriculum vitae interessante. Oggi mi rivaluto e mi dico che forse
la mia incapacità di redigere un CV che mi soddisfi è il riflesso di un rifiuto
a scendere a patti con un sistema di reclutamento che trovo arbitrario e
frivolo. Non credo che sperare di trovare un lavoro sbattendo le proprie
capacità e competenze sulle vetrine dei siti che si occupano di lavoro possa
offrire dei risultati concreti e soddisfacenti. Per esperienza diretta e per la
situazione che sto vivendo in questo periodo, penso che un passo fondamentale
per una riforma del lavoro rivolta a diminuire il precariato e la disoccupazione,
sia quello di creare dei veri e proprio momenti di incontro tra richiesta e
offerta di lavoro, valorizzando in toto l’esperienza e la formazione dei
candidati, dando la possibilità, anche a chi a colpo d’occhio non sembra il
candidato ideale, di dimostrare le proprie capacità di apprendimento e di
interazione. Non si tratta di buttare là degli slogan per far prediligere un
detersivo a un altro fra la miriade di prodotti che troviamo su uno scaffale
del supermercato: si tratta di esistenze, carriere ed anni di impegno nello
studio che hanno diritto ad una vita dignitosa.