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sabato 18 maggio 2013

Se anche le parole diventano precarie – Terza e ultima parte – Precario: nome comune di persona

Dalla campagna elettorale per le ultime elezioni politiche ad oggi non so quante promesse e buoni propositi ho sentito spendere in merito alla disoccupazione e al lavoro precario da parte degli esponenti politici che, per lavoro appunto, dovrebbero risanare il nostro Paese. Quanti discorsi che, con sdegno e tono grave, ci ripetono fino alla nausea la percentuale di disoccupazione, l’impoverimento della società e il dilagare del lavoro precario! Un bombardamento di parole che collassa su se stesso e più che dare il senso dell’impegno per risolvere una situazione, offrono la sensazione che nessuno dei nostri rappresentanti politici abbia idea di quello che si può e si deve fare. Tutto ciò porta ad una conseguenza orribile e paradossale: a forza di blaterare e urlare in maniera sconsiderata concetti privi di un reale progetto di attuazione, c’è il rischio di banalizzare e rendere cliché quelli che sono invece tangibili problemi reali. Pensiamo, per esempio, proprio al termine precario, l’ho sentito associare a tutto di più: generazione precaria, scuola precaria, governo precario, relazioni precarie, matrimoni precari, vite precarie, maternità precaria, giustizia precaria … per un po’ abbiamo avuto anche una papa precario! “Precario” è diventato ormai un termine immediato, chiaro ed elastico per descrivere tout court tutto quello che non va come dovrebbe e, in un certo senso, per giustificarsi spiegando che il blob del precariato sta invadendo ogni livello della società e dell’esistenza per la degenerazione della crisi contemporanea. 

Il precariato, anziché essere considerato il risultato di scelte politiche ed economiche rivolte solo al tornaconto personale o di pochi privilegiati, di un sistema clientelare dove sussiste ancora la logica mafiosa della famiglia e dove le strategie di sviluppo sono un mero scambio di favori, viene propinato come la conseguenza fisiologica di una crisi descritta come una malefica entità sovrannaturale che arriva da Marte! E il precario diventa sempre più precario: naturalizzato come abitante della nuova Precarialand, non è più una situazione critica da risolvere, ma un nuovo stereotipo del mondo contemporaneo, perde consistenza e diventa una parola ad effetto per strappare un applauso in un talk show o per rendere credibile e convincente un programma elettorale. Non sono un concetto evanescente, vi assicuro che i precari esistono, non sono una fiaba messa in giro per spaventare i bambini poco diligenti: “Studia che altrimenti diventi precario e lo rimani per tutta la vita”. Precario è una parola importante, da utilizzare con il rispetto e la competenza che gli sono dovuti, non è uno slogan efficace per guadagnare consenso e non è nemmeno un palliativo per giustificare l’incompetenza e il disimpegno della politica. Quante volte lo sentiremo dire: “d’altra parte questo è un periodo di crisi, un periodo precario, non possiamo pensare di risolvere tutto in breve tempo”. Cari politici, basta parole, ora i fatti perché io sono una precaria e mi sono rotta:







 
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