Il contrario del gioco non è ciò che è serio, bensì ciò che è reale.
Sigmund Freud
Mi piace giocare ed in particolare interpretare, o vedere
interpretati, personaggi di fantasia. I miei sono più famosi di me e sono
nominati da Padova a Roma, da Torino a Bari, siano essi appassionati di magia
nera o combattenti burberi ma dal cuore buono. In ogni comunità in cui risiedo
stabilmente sono uno dei creatori di gioco e sono apprezzato per le idee e il
senso di giustizia.
Direi che anche la vita reale, oltre quella virtuale, è
stata spesso all’insegna dell’interpretazione e i ruoli in cui mi sono prestato
senza forse averne le physique sono: consulente per le risorse umane,
bibliotecario, educatore non professionale, cameriere, commerciante, operatore
fiscale. Posso dire di aver ottenuto risultati apprezzabili – ma non
all’altezza dei miei personaggi di fantasia! – anche in quasi tutti questi
casi.
Che sia tutto nato quando da piccolo rendevo concrete nella
mia mente le battaglie campali tra i seguaci di He-man e di Skeletor? Oppure,
far parte di un’associazione teatrale mi ha ispirato?
Ho fatto parte
dell’AtTieSse Associazione Teatro e Spettacolo per circa un decennio e mi sono
divertito nell’educare alla socializzazione, all’espressività e alla
solidarietà, attraverso la pratica teatrale, diversi ragazzini dai sette ai
diciotto anni, sia all’interno della sede dell’associazione, sia in scuole
medie inferiori e superiori. In effetti, mi sarebbe piaciuto insegnare ma ho
sempre pensato che, anche pure realizzando questo sogno modestissimo, avrei
dovuto pagare lo scotto di una vita da precario (ah ah ah ah ah!) e quindi non
ci ho mai provato. Anche per pigrizia.
Mi sono laureato in lettere ed ho particolarmente apprezzato
soprattutto quegli esami con tassonomie specializzate come le due filologie,
romanza ed italiana, e linguistica generale. La mia tesi mi ha fatto discutere
un romanzo degli anni Cinquanta, non particolarmente significativo, che ho
tentato di interpretare, oltre alla sua letteralità, ricorrendo alle teorie
ermeneutiche che più mi hanno affascinato: dalla rilettura freudiana di
Orlando, al formalismo storico di Moretti, dal marxismo di Jameson, al
cronotopo bachtiniano.
Chi dice che le parole sono improduttive, dovrebbe
guardare all’industria di J. K. Rowling, ai soldi spesi dalle aziende per
proporre un marchio od un prodotto attraverso massicce campagne di
comunicazione, alle fortune e sfortune che spettano ai politici che scelgono
frasi più o meno opportune, al web e a quel mondo virtuale fatto proprio di
parole.
Sono un appassionato di nuove tecnologie - pur non
possedendo completamente il loro linguaggio - e della rete, perché credo che
sia il luogo che più di ogni altro ispira una meritocrazia a partire da una
base di pari opportunità e - pur sognando ormai poco, fuori dal gioco - mi
piacerebbe poter condividere delle idee che si situino a metà tra la parola e
la virtualità.
Francesco C.