martedì 28 agosto 2012

Precari tedeschi e bugiardi italiani

In questi ultimi mesi l’opinione pubblica italiana è stata sobillata con cura dai mass media e da troppi politici nel vano tentativo di creare un capro espiatorio a cui addossare le colpe di un debito sovrano di circa duemila miliardi di euro: la Germania capitanata da Angela Merkel. Come se non bastasse aver dato della culona all’algida cancelliera, l’ultimo grido della stampa italiana intende farci credere che i precari tedeschi siano al pari di quelli italiani o, ancora peggio, che la più solida economia della zona euro, per sostenersi, propini la stessa cura ai suoi contribuenti: la nauseabonda flessibilità.

Capisco che sia più facile prendersela con la Germania, rea di frenare la BCE nell’acquisto del nostro debito – e quindi spalmarlo sull’Euro come fosse Nutella sul pane – attraverso i titoli di stato o nella creazione degli Euro Bond, invece che ammettere l’incapacità gestionale dei governi che si sono succeduti (c’è chi ne ha riso di gusto) negli ultimi decenni ma sarebbe quantomeno onesto sottolineare le differenze assieme alle affinità.

Da dove cominciare? Dagli stipendi. Un recente articolo de Il Fatto ha calcolato oltre mille euro di scarto tra un operaio tedesco ed uno italiano ma anche in Grecia ed a Cipro si guadagna meglio che in Italia.  Si legge ancora:

Vediamo un po’ più nel dettaglio il caso tedesco. Jurgen parte da una paga base di poco superiore a 3 mila euro e con alcune ore di straordinario notturno arriva a superare un compenso mensile lordo di 3. 700 euro. Le trattenute previdenziali e assicurative sfiorano i 700 euro, di cui 336 per la pensione e 267 euro di cassa malattia. Se si considera che l’imponibile ammonta a 3. 380 euro circa, i contributi pesano per il 20 per cento circa. Marta invece paga circa 170 euro per la pensione. Poi però ci sono circa 18 euro per il fondo previdenziale integrativo e altri 16 euro sono destinati all’assicurazione sanitaria supplementare. Alla fine questi contributi assorbono l’ 11 per cento di un imponibile pari a circa 1. 800 euro, contro il 20 per cento di Jurgen. Poi ci sono le tasse, che pesano sullo stipendio per meno del 10 per cento (9,89 per cento) nel caso dell’operaio Vw. Le ritenute fiscali della dipendente Fiat, al netto delle detrazioni, valgono invece il 13 per cento circa dell’imponibile. Morale: per Marta meno stipendio e più tasse. Peggio ancora: anche se le imposte sono maggiori, l’operaia italiana riceve servizi meno efficienti rispetto al collega di Wolfsburg.


Servizi. Il Welfare State tedesco è uno dei più funzionali del mondo, dal 2005 è in vigore l’ Hartz IV: una volta perso il posto di lavoro, il disoccupato può contare sul 70 per cento dell’ultimo stipendio per 18 mesi, o per due anni se si hanno almeno 58 anni d’età. Superato questo periodo lo stato tedesco oltre alla copertura dei costi dell’affitto e del riscaldamento, sostiene il contribuente con una base fissa di 359 euro a patto che si dimostri di essere alla ricerca di una nuova occupazione. Per agevolare la formazione del futuro professionista, assieme al sussidio di disoccupazione, è previsto il rimborso dei corsi  che intende frequentare per aumentare il bagaglio delle proprie competenze e per coloro che, da disoccupati, aprono partita Iva il sussidio è prorogato nei termini in modo da coprire parte delle spese d’impresa iniziali. Ancora, è garantito un assegno familiare di 215 euro per ogni figlio sino ai 6 anni, uno da 251 euro per un bambino dai 6 ai 14 anni e da 287 euro per figli dai 14 ai 18 anni.

Se assieme a queste notevoli differenze aggiungiamo il modello di concertazione della Volkswagen tra proprietà e sindacati capiamo come mai la disoccupazione giovanile tedesca sia al 7% contro il 31 % di quella italiana.

Davvero i precari italiani sono uguali a quelli tedeschi?

Francesco C.


La Merkel offrirà suggerimenti sui precari a Monti?

venerdì 17 agosto 2012

Altolà, o il lavoro o la vita!


Su La Repubblica del 14 agosto, la filosofa e scrittrice Michela Marzano, docente associato di Filosofia Morale presso l’Università di Parigi René Descartes, scrive: “Fino a quando si continuerà a contrapporre il diritto al lavoro al diritto alla sopravvivenza, e quindi il salario alla salute, non si troverà alcuna via d’uscita al problema dell’Ilva”.

La vicenda dell’acciaieria Ilva di Taranto è ormai tristemente nota a tutti ed altrettanto nota è la capacità - ormai sancita come la più sfruttata e, ahimè, efficace forma di divulgazione delle informazioni da parte dei mezzi di comunicazione di massa italiani - di trasformare ogni evento tragico, scandaloso o eclatante della vita del nostro paese, dalla cronaca nera alla politica, in entertainment. Il procedimento è sempre lo stesso: esplode lo scoop e si definiscono i soggetti attori della vicenda, le parti pubbliche, a vario titolo e livello (politici, esperti, giornalisti eccetera), prendono la loro posizione: così la notizia iniziale, come un fiume in piena, gonfia ed esonda in ogni settore della comunicazione di massa fino a degenerare in un furioso, pirotecnico e confusionario battibecco collettivo che cresce, ma non si evolve, si allarga in una moltiplicazione polifonica di voci urlate e stonate, ma non riesce, e non si impegna, ad istaurare un dialogo razionale. Si arriva a quello che Michela Marzano, “filosoficamente” parlando, definisce il “falso dilemma”:

<< si assolutizzano i valori chiave in gioco (…) mostrando che l’uno si oppone inesorabilmente all’altro, e che l’unico modo per uscire dall’impasse è quello di sacrificarne uno dei due. E’ la tecnica argomentativa dell’aut-aut. Per concludere cinicamente che “terzium non datur”>>

E così sta accadendo per la vicenda dell’Ilva. Da una parte la disperazione, condivisibile, di chi rischia di perdere un lavoro - “Preferisco morire fra vent’anni di cancro, piuttosto che tra pochi mesi di fame” -  e dall’altra la risposta, legittima e razionale, di alcuni ambientalisti locali – “Preferisco morire subito di fame, piuttosto che vedere i miei figli deperire e ammalarsi”. Poi c’è il gip di Taranto, Patrizia Todisco, che ha deciso di bloccare i lavori in attesa della bonifica, il Presidente dei Verdi e Antonio Di Pietro che appoggiano i magistrati che difendono il diritto alla salute, i sostenitori dell’attività economica che intravedono, nelle posizioni precedenti, solo degli ulteriori vincoli allo sviluppo industriale del paese e il New York Times che definisce l’Italia un paese “antiquato e pittoresco”. In questa maniera si configura una situazione di contrapposizione, di “ricatto”, come la definisce Marzano, tra diritto del lavoro e diritto alla salute che non dà nessuna logica e giusta possibilità di scelta, poiché qualsiasi opzione avrebbe in sé conseguenze disumane e fisicamente, in senso letterale, annientatrici per una delle preziose parti i gioco.


Manifestazione operaia


Cito ancora la filosofa:

<<Eppure i progressi della tecnologia e l’esempio di molti altri paese europei mostrano che non c’è alcun bisogno di contrapporre salute e lavoro (…). Speriamo allora di uscire da questo “falso dilemma” e ritrovare la via della ragione, invece di cedere alle sirene della dialettica sofista. Non solo per salvare al tempo stesso il lavoro e la salute, ma anche per evitare che, in nome della salvaguardia dell’ambiente, sia proprio l’ambiente ad essere sacrificato. Chi può essere così ingenuo da pensare che un problema come quello del risanamento ambientale di zone già fortemente danneggiate possa essere preso in considerazione e risolto se l’Ilva cessa ogni attività? E’ solo un esempio. Che non deve far perdere di vista la necessità di portare avanti un’attività e una produzione sostenibile. Ma talvolta la filosofia del senso comune permette, molto più dell’idealismo, di non cadere nella trappola dei falsi dilemmi che, quasi sempre, finiscono in tragedia.>>
Oltre che a condividere totalmente le parole di Michela Marzano, sono dell’avviso che il pensiero del “non cadere nella trappola dei falsi dilemmi” fosse messo in pratica anche da chi, in questi ultimi tempi, ci governa e, magari, anche da chi, in vista di più o meno probabili elezioni politiche, si prepara per andarci a governare. Vorrei che, finalmente, chi è chiamato - perché eletto dal popolo o perché scelto a ricoprire un ruolo in qualità di tecnico - a gestire la cosa pubblica non si nascondesse più dietro all’onta della crisi e, a causa di ciò, proponesse soluzioni vergognose, inique e inconcludenti, come la Riforma del Lavoro del Ministro Fornero, ma, valutando la delicatezza delle parti in gioco, della gravità della situazione e coinvolgendo i diretti interessati, arrivasse a trovare soluzioni concrete per il miglioramento della situazione del paese.

Ma alle volte è troppo più comodo l’aut-aut.

Sara C.

domenica 12 agosto 2012

Come un paese rinuncia al proprio futuro. La “flessibilità immaginaria” italiana

Uno dei più celebri inganni della storia recente del nostro paese è rappresentato dall’introduzione della cosiddetta “flessibilità” nel mercato del lavoro. Presentata a più riprese come la panacea di tutti i mali, essa ha rivelato il suo vero volto ben prima dello scoppio della grande crisi che stiamo vivendo. Fin da subito è stato chiaro che quel “modello flessibile”, trapiantato su di un organismo non pronto per riceverlo, avrebbe finito per trasformarsi in qualcosa di ben diverso da quanto promesso dai suoi più ferventi sostenitori. Ma la metamorfosi quasi immediata del “sogno” della flessibilità nell’”incubo” della precarietà non è soltanto il risultato di un’ingenua fiducia riposta in un esperimento fallito. Infatti se è vero che, come una creatura evocata da maldestri stregoni, tale modello è sfuggito al controllo della politica e si è sviluppato autonomamente lungo un percorso opposto a quello per cui era stato introdotto, la malafede e l’indifferenza di molti attori economici hanno consentito e sostenuto tale deriva. La politica ha certamente colpe enormi; prima fra tutte quella di non aver preparato il terreno creando un sistema di tutele ad hoc per le nuove categorie di lavoratori che si andavano ad introdurre nella legislazione del lavoro. A distanza di un quindicennio dalla comparsa in Italia di forme di lavoro flessibili ancora non si è giunti a predisporre misure adeguate di sicurezza sociale a difesa di tali lavoratori, vittime di una delle più vergognose discriminazioni collettive nella storia della repubblica. Oltre a ciò gli interventi legislativi non hanno operato un’azione coerente con la logica alla base dell’introduzione della flessibilità. Infatti tale logica si basava sulla convinzione che le nuove forme contrattuali avrebbero dovuto favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro e un accesso nel mondo lavorativo più rapido per i giovani, consentendo alle imprese una maggiore libertà e incisività durante il processo selettivo per il reclutamento del personale. Ma l’inerzia della politica nel fissare regole precise in questa direzione ha consentito che tali nuovi contratti finissero di fatto per regolare non solo il momento, più o meno lungo, di reclutamento, formazione e inserimento del lavoratore in azienda ma persino il rapporto stesso di lavoro a lungo termine. In questo modo si è resa possibile la “bestialità” per la quale è conveniente regolare rapporti di lavoro di lungo periodo attraverso una serie infinita di contratti a tempo determinato. Ecco dunque che scopriamo il grande complice della politica e corresponsabile: il mondo imprenditoriale. Con un uso scellerato dei contratti atipici e a tempo determinato buona parte dei datori di lavoro ha contribuito con la politica a distruggere il vecchio mondo del lavoro senza costruirne uno nuovo. Invece di modernizzare e rendere più efficiente il sistema lavorativo italiano, tali interventi hanno finito per scardinalo sostituendo ad esso un mercato del lavoro selvaggio e irrazionale. Tale occasione perduta non solo ha avuto conseguenze nefaste per operai e impiegati ma ha assestato un colpo durissimo alla qualità delle performance delle imprese stesse. Infatti molti pseudo imprenditori hanno vanificato l’aspetto formativo alla base alcune tipologie contrattuali sfruttando per esempio contratti di apprendistato e formazione per mascherare semplici rapporti di dipendenza. In più tale sistema mortificante ha privato il paese e le proprie imprese di un numero enorme di competenze ed eccellenze costrette a prendere la via dell’estero. Queste conseguenze dimostrano nuovamente la malafede di un sistema sorto per affrontare le sfide della globalizzazione e di quel mantra che ha risuonato per buona parte degli anni Novanta e Duemila: “fare concorrenza alla Cina”. Ma rinunciando alla qualità di una forza lavoro preparata e specializzata, motivata dall’essere parte integrante di un progetto industriale coerente e a lungo termine, quale resistenza avrebbe mai potuto opporre il nostro paese? Ecco che la vera faccia della “flessibilità immaginaria” italiana ha preso la propria vera forma. Sotto il ricatto di una delocalizzazione selvaggia, essa ha coperto un’operazione di smantellamento dei diritti dei nuovi lavoratori che non ha comportato peraltro alcuna compensazione dal punto di vista occupazionale e salariale. In questo modo quelle stesse imprese che avevano già delocalizzato nei paesi emergenti gran parte dei cicli produttivi a manodopera scarsamente specializzata hanno potuto ottenere in Italia un abbassamento dei costi senza che ciò si traducesse in maggior qualità della produzione e tantomeno dell’occupazione. Le nuove generazioni di lavoratori sono divenute così, in un batter di ciglia, “precarie”, senza che coloro i quali avrebbero dovuto battersi per invertire la rotta, forse perché troppo occupati a garantire gli interessi di statali e pensionati, serbatoi enormi di consenso politico e tessere sindacali, si interessassero minimamente alla piega drammatica che stava prendendo la vita di tante persone.

Ma il rovescio della medaglia ha fatto sì che la precarietà nel lavoro comportasse la precarizzazione dell’esistenza stessa di milioni di giovani. Quella stabilità che aveva consentito alle precedenti generazioni di costruire il proprio benessere e con esso la forza e la solidità del paese è venuta definitivamente meno. Ma la crisi che stiamo vivendo ha mostrato l’importanza vitale di quel sistema sociale ed economico. Pensioni, risparmi, case di proprietà, solidi rapporti familiari e sociali hanno rappresentato e rappresentano le uniche reali reti di sostegno per i cittadini italiani e per lo Stato stesso nel mezzo della tempesta devastante che ci ha investiti. Ma crediamo che le “generazioni precarie” saranno in grado di garantire alle prossime e al paese altrettanto solide basi capaci di far superare i momenti più difficili? Come potranno avere una pensione ragazzi che oggi sopravvivono grazie a quella dei genitori o peggio ancora, dei nonni? Chi potrà risparmiare e immettere così nuove risorse nel circuito del credito guadagnando meno di mille euro al mese? Come potranno le nuove generazioni creare nuove reti di sostegno familiare se avere un figlio è diventato un lusso che in troppi non possono permettersi? Quale contributo potranno conferire generazioni tanto impoverite alle necessità finanziarie del paese dalle quali dipendono i servizi essenziali?  Queste sono semplici domande che mettono in luce il rapporto tra la precarizzazione e il futuro del paese. Ecco perché non è più possibile andare avanti lungo questo insensato percorso. Certamente le difficoltà economiche oggi rendono ancor più difficile un’inversione di marcia in un momento in cui la disoccupazione gonfia le proprie fila e un mercato del lavoro da incubo crea di continuo nuove povertà facendo quasi dei precari una categoria “privilegiata” rispetto a un “sottoprecariato” che vive alla giornata. Ma proprio per questo è ancor più importante rilanciare il lavoro quale fattore fondante della vita di ogni persona. La flessibilità può rappresentare un’opportunità per l’ingresso nel mondo del lavoro e occasione per una efficiente selezione e formazione da parte delle imprese ma deve essere ricondotta alla funzione di “mezzo”. In troppi e per troppo tempo hanno sparato sentenze contro il posto fisso glorificando le magie della “flessibilità immaginaria” assurta a “fine” ultimo del lavoro. Personaggi politici, economisti e altri che non hanno mai cambiato lavoro nella propria vita hanno tentato per anni di convincere i giovani che in fondo non avere alcuna certezza sulla quale fondare la propria vita fosse una bella cosa. Con le tasche piene di stipendi sicuri quanto le loro pensioni, questi illusionisti, “condannati” per loro sfortuna a una vita “noiosa” fatta di sicurezza economica e sociale, hanno mascherato il fallimento della flessibilità, magari attribuendone parte della responsabilità alla pavidità di molti giovani troppo “bamboccioni”. La flessibilità/precarietà degli ultimi due decenni ha fallito miseramente e ha privato il paese di anticorpi preziosi contro le crisi. Il sacrificio di milioni di giovani non ha portato alcun risultato se non quello di costringere intere generazioni a mettere la propria esistenza in stand-by. Queste generazioni chiedono di poter finalmente vivere ciò che per chi li ha preceduti era semplice normalità; convivere o sposarsi, acquistare una casa o permettersi un affitto, mettere al mondo dei figli. Proprio nel mezzo della crisi è fondamentale ribadire che il lavoro fisso è una conquista e per ogni lavoratore deve esistere il diritto naturale a tendere ad esso. Ciò è importante perché oggi si imposti un nuovo modello di sviluppo fondato sulla centralità del lavoro che servirà una volta che la tempesta sarà passata e dovremo ricostruire sopra le macerie che si sarà lasciata alle spalle. Questo non significa tornare agli anni Settanta ma ammettere che tra le variabili dei cicli produttivi, quella della durata indeterminata dei contratti dei dipendenti non rappresenta un freno alla competitività ma semmai un incentivo a creare ricchezza e stimolare nuovi e più maturi consumi. Significa finirla col falso garantismo che impone di reintegrare chi è stato giustamente licenziato (magari perché sorpreso a rubare) e tutelare dal doveroso licenziamento assenteisti e truffatori ma garantire invece i diritti del lavoro per tutti, come ad esempio quello di ogni donna ad avere un figlio senza rischiare di perdere il posto, senza l’odiosa distinzione tra lavoratori di serie A e di serie C degli ultimi decenni. Significa intervenire su ciò che realmente rende l’Italia un’economia poco competitiva e poco appetita dagli investitori. Rendere la giustizia più rapida ed efficiente, eliminare il peso soffocante della burocrazia, della corruzione e delle organizzazioni mafiose, rilanciare le produzioni ad alta intensità di tecnologia attraverso un nuovo e poderoso impulso a ricerca e formazione sono cose più difficili che inventare nuove tipologie di contratti lavorativi ridicoli ma sarebbero di gran lunga più incisive e vincenti. In conclusione significa impegnarsi a restituire ciò di cui le ultime generazioni sono state private e che rappresenta il bene più prezioso per ogni paese: la fiducia nel futuro. Solo se restituirà ai propri giovani la speranza, cancellando dai loro cuori e dalle loro menti la paura immensa e innaturale alla quale li ha condannati negli ultimi decenni, il nostro paese potrà riprendere il proprio cammino verso un futuro migliore.      

Alessio Manfroni - laureato in Politiche e Relazioni Internazionali, precario e blogger    




venerdì 10 agosto 2012

Errore di ridondanza ciclico


Mi ricordo, un paio di anni fa, Fausto Bertinotti, ospite del programma televisivo Che tempo che fa, che, intervistato dal conduttore Fabio Fazio, elencava con sussiego – e con tutto l’arsenale da intellettuale dispiegato: dalla sua erre labiodentale, alla giacca di velluto con le toppe sui gomiti – gli incarichi ricoperti dopo essersi dimesso dalla politica istituzionalizzata – o stipendiata, scegliete pure il predicato che preferite – che andavano da docente di diritto, a presidenze di vario genere. Ora, immaginando che il compagno Fausto non possieda  l’altruistica vocazione del volontario, tutte queste funzioni saranno parcellizzate e si cumuleranno col reddito prodotto dal vitalizio che spetta ai politici di lungo – o anche brevissimo – corso, senza contare le indennità che renderanno meno preoccupante la vecchiaia di un presidente della Camera.

La Fornerina, senz’altro Silvia Deaglio mi permetterà l’affettuoso vezzeggiativo, figlia dell’impetuosa Elsa – la immagino madre incostante: frignona mentre impartisce severe punizioni e impassibile mentre sentenzia che i diritti dei figli vadano conquistati – ha due lavori, proprio mentre in Europa si registra il più alto tasso di disoccupazione dell’ultimo decennio: docente all’Università di Torino e responsabile della ricerca presso la HuGeF, una fondazione attiva nel campo della genetica, genomica e proteomica umana. Il curriculum e le referenze parlano per lei, se non fosse che l’università è la stessa dove insegnano i genitori e la Human Genetics Foundation è stata creata dalla Compagnia di San Paolo quando Elsa ne era vicepresidente. 
E se non fosse che recentemente il precariato ha investito anche i Normalisti, nonostante il loro curriculum non sia da meno.


Un anno fa L’Espresso pubblicava il caso, davvero tutto italiano, di politici che percepivano indennità da due o più incarichi. Si contano una trentina, abbondante, di sindaci, dodici presidenti di provincia, quattro assessori e cinquantaquattro consiglieri comunali che continuano stare comodi pure sulle poltrone di deputato o senatore. O viceversa.

Il primo esempio ci racconta di un individuo della schiatta sempre più esclusiva, grazie ad Elsa, dei pensionati d’oro che non riesce ad abbandonarsi all’idea di lasciare ai giovani maggiore spazio magari limitandosi, in disparte, a concretizzare il proverbio dar consigli è proprietà dei vecchi, i fatti sono dei giovani. La seconda riesce, col proprio esempio, a contraddire lo zio Mario intorno ai concetti di equità e monotonia. Il terzo capoverso ci parla di una casta tesa ad accumulare piuttosto che amministrare. L’Italia è dunque un paese per vecchi – che oscilla inquietantemente tra baronismo e gerontofilia; vi ricordate la fotografia che ritraeva Monti ed il primo ministro finlandese? -, per raccomandati e nel quale la distribuzione della ricchezza è profondamente squilibrata


Monti e suo nipote? No, è un collega



Eppure, parafrasando le parole di Shylock  ne Il mercante di Venezia di Shakespeare verrebbe da chiedersi se tutti gli uomini siano eguali o se solo ad alcuni sia dato sacrificarsi maturando pensioni bassissime e rendendo più competitiva la nazione, agli occhi degli investitori, con il precariato sempiterno, per risolvere questo momento di crisi.


Francesco C.

Ma un ebreo non ha occhi? Un ebreo non ha mani, organi, misure, sensi, affetti, passioni, non mangia lo stesso cibo, non viene ferito con le stesse armi, non è soggetto agli stessi disastri, non guarisce allo stesso modo, non sente caldo o freddo nelle stesse estati e inverni allo stesso modo di un cristiano? Se ci ferite noi non sanguiniamo? Se ci solleticate, noi non ridiamo? Se ci avvelenate noi non moriamo?



Assicurazione Casalinghe

Secondo quanto previsto dalla legge n. 493 del 1999, per chi ha un età compresa tra i 18 e 65 anni e svolge attività di casalinga/o non occasionalmente,  si è obbligati ad attivare l’assicurazione contro gli infortuni domestici. E’ escluso chi svolge un’attività che comporti l’iscrizione a forme obbligatorie di previdenza sociale.

Per assicurarsi contro gli infortuni domestici è necessario pagare il premio di € 12,91 utilizzando un bollettino postale intestato ad I.N.A.I.L. ASSICURAZIONE INFORTUNI DOMESTICI P.LE G. PASTORE, 6 – 00144 ROMA  sul  C/C n. 30621049. Chi ha un reddito proprio inferiore ad € 4.648,11 annui e appartiene ad un nucleo familiare il cui reddito complessivo è inferiore a € 9.296,22, ha diritto all’assicurazione gratuita che si ottiene con una semplice autocertificazione. Il relativo modulo è disponibile presso le Sedi dell’INAIL, delle Assicurazioni delle Casalinghe e dei Patronati e anche sul sito www.inail.it.

In caso di mancato o ritardato pagamento del premio, l’Istituto richiederà una sanzione graduata in relazione al periodo di ritardo. La misura massima della sanzione è pari all’importo del premio (€ 12,91).

L’assicurato ha diritto ad una rendita mensile esentasse corrisposta per tutta la vita, proporzionale all’invalidità subita.

Per ulteriori informazioni si può consultare questo link o telefonare al numero verde 803164 o recarsi presso le Sedi INAIL, delle Associazioni delle Casalinghe e dei Patronati.



martedì 7 agosto 2012

Giustizia per sei precari del Comune di Pisa


Il Tribunale ha condannato il Comune di Pisa al rimborso di altre centomila euro a sei precari che - dal 2000 al 2008 - hanno lavorato all’interno dell’amministrazione comunale con contratti co.co.co. o contratti fiduciari.

I sei lavoratori, che non avevano potuto partecipare alla procedura di stabilizzazione del 2007 - in quanto, secondo il Comune di Pisa, assunti su chiamata nominativa da parte del gruppo politico per cui avrebbero svolto mansioni di assistenza consiliare - hanno dimostrato che in realtà svolgevano compiti di informazione, comunicazione e supporto all’attività istituzionale del Consiglio Comunale e dei consiglieri che non prevedono un rapporto fiduciario. In sostanza, è stato rilevato che i sei co.co.co. si comportassero obbedendo ai doveri ed ai diritti espressi da un contratto di lavoro subordinato. E, dunque, lo scarto tra le due tipologie di contratto verrà versata dal Comune di Pisa in forma di risarcimento.

Uno spettro si aggira per la pubblica amministrazione, lo spettro dei co.co.co.

venerdì 3 agosto 2012

Vigili del Fuoco e precariato


Ci chiamano Discontinui o Volontari ma siamo Vigili del Fuoco a tutti gli effetti. Lavoriamo fino ad un massimo di 160 giorni l’anno sopperendo alle carenze di organico nel Corpo e siamo preziosi in caso di gravi calamità.
Mi chiamo Francesco Simonini vivo a Pisa ed ho iniziato questa professione subito dopo essermi diplomato nel 2000 all’età di 18 anni. Ho iniziato per caso, perché mi stavo informando dove potevo svolgere il servizio militare dato che rientravo in quella fascia di ragazzi che hanno dovuto obbligatoriamente svolgere il servizio di leva.
Adesso ho 30 anni, circa 1100 giorni di servizio molti dei quali svolti nel comando di Pisa ma sono stato anche impiegato più volte nelle calamità come nel terremoto dell’Aquila. Il mio stato di servizio vanta diversi elogi per il lavoro svolto ma ultimamente l’Italia è diventata una nazione dove i meriti contano ben poco.
Basti pensare alla graduatoria di stabilizzazione di cui faccio parte, graduatoria misteriosamente interrotta. Infatti con la legge del 27 dicembre 2006, n. 296, recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007), all’articolo 1, comma 526, si prevedeva l’avviamento anche per il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco la stabilizzazione dei rapporti di lavoro del personale Discontinuo/Volontario, in possesso dei requisiti per la stabilizzazione. Requisiti da possedere entro il quinquennio di stabilizzazione deciso dalla legge 296/2006 e cioè almeno tre anni di iscrizione all’albo del personale Discontinuo/Volontario ed aver effettuato non meno di centoventi giorni di servizio. Quinquennio che partiva dalla data del 01/01/2002 al 01/01/2007. Questa graduatoria, recentemente prorogata fino al 31/12/2014 è formata da 6080 discontinui, 3240 sono stati convocati dall’ Amministrazione Centrale ad espletare i criteri di selezione e di questi sono circa 2000 quelli in regola con i requisiti di idoneità richiesti e regolarmente assunti. Da sottolineare  che il primo in graduatoria risulta avere  gli stessi diritti dell’ultimo, le differenze sono da ritrovare esclusivamente dall’anzianità di servizio e dai giorni di servizio effettuati.

Nel corso del 2008  è stato emanato un nuovo concorso pubblico per 814 posti nella qualifica di Vigile del Fuoco aperto a tutti per modo di dire visto che il 45%  dei posti messi a concorso risultava essere  riservato al personale proveniente  delle forze armate, un 20% al personale civile del CNVVF e solo un 25% al quel personale che quotidianamente vive nelle caserme e garantisce il soccorso alla popolazione unitamente alla componente permanente. Attualmente l’Amministrazione  Centrale dei Vigili del Fuoco sta assumendo solo da quel concorso, ignorando completamente il personale già formato inserito in graduatoria di stabilizzazione.

Per porre fine a tutti i soprusi che il personale Discontinuo/Volontario del Corpo sia esso collocato in graduatoria di stabilizzazione o in nessuna di esse, e per  far valere i nostri diritti è nata una Federazione denominata FNC VVF, Federazione della quale il sottoscritto è  Coordinatore nazionale.
La FNC Vigili del Fuoco  nasce con il fine di promuovere progetti di riforma condivisi , conformi ai criteri di efficacia ed efficienza, in attuazione dei principi di buon andamento e risultato della P.A.
svolgendo azione di stimolo e sensibilizzazione per tutta la componente politica, istituzioni ed OO.SS. di categoria.
Cosi, dopo varie riunioni grazie anche al prezioso supporto del sindacalista Pisano della UIL Mario Gaddini, il 27 gennaio 2011 sono stato eletto ad unanimità portavoce FNC per il comando di Pisa. Mario Gaddini è stato promotore di un ricorso per noi discontinui presso il Tar del Lazio atto a riconoscere i diritti dei colleghi Discontinui. Fondamentale per il proseguimento del nostro percorso  è la collaborazione con un ex sindacalista CGIL e CR dei Vigili del Fuoco oggi in quiescenza Antonio Dell’Omodarme.
Per avere un po’ di visibilità e abbiamo manifestato e manifestato, a Roma davanti Montecitorio, ad Arcore davanti a casa dell’ ex Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi il quale il 4 aprile 2011 ci ha anche consentito di varcare i cancelli della Sua villa per ascoltare le nostre istanze e farsi portavoce per trovare una seria soluzione ma ad oggi nulla!, in varie trasmissioni televisive e sul web sfruttando “nel bene” i vari social network. La FNCVVF ha tra mille difficoltà  anche un sito internet, www.fncvvf.it . Lo stesso risulta essere  molto seguito sia nella parte della Home Page dove inseriamo tutti le notizie degli incontri svolti e delle notizie che ci pervengono e di una parte Forum  dove tutti gli utenti registrati possono intervenire per uno scambio di opinioni o per cercare delle semplici risposte ai loro quesiti.

Io stesso gestisco una pagina Facebook dei  VVF precari di Pisa raccogliendo, in poco più di un anno,  2400 adesioni e dove ogni giorno precari ma anche genitori preoccupati per il destino dei propri figli vengono a porre  domande sul futuro dei loro ragazzi. Cosi siamo  cresciuti vertiginosamente ed alle nostre iniziative aderiscono precari da tutta Italia  grazie al lavoro costante della FNC e del suo Presidente Matteo Zoppi che con il suo operato ha saputo far espandere quella che oggi è una Federazione e che solo fino a pochi anni fa era invece un comitato provinciale. Alle nostre manifestazioni ci siamo sempre distinti per il nostro comportamento corretto e pacifico, fino a quando la politica finalmente non ha iniziato ad ascoltare le nostre istanze.
Il 17 Giugno 2011, incontro l’on. Walter Veltroni e gli consegno una lettera con scritto tutte le problematiche inerenti alla nostra situazione. Dopo qualche giorno mi richiama e mi pone in contatto con il giovane Luca Di Bartolomei responsabile del nuovo forum della sicurezza. Secondo Veltroni ci sono i presupposti per provare a far qualcosa.
Il 1 marzo 2010 vengo convocato a Montecitorio al forum della sicurezza del PD come rappresentate Nazionale dei precari dei vigili del fuoco. Visibilmente emozionato Illustro davanti ai ministri e vertici del corpo un progetto di riforma del corpo nazionale a nome dalla FNC. Per la prima volta i vigili del fuoco vengono rappresentati da un precario. La riforma viene pienamente condivisa dal Partito Democratico e il Pd prende come impegno politico di risolvere la situazione e Ettore Rosato ne ha la delega.

Con il cambio di governo i nostri rapporti con i vertici del Ministero  dell'Interno sono diventati sempre più costanti e nel recente mille proroghe è passato un emendamento in nostro favore che proroga la nostra stabilizzazione. Questo è stato frutto dell’insistenza dell’On Ettore Rosato che ha sempre creduto nel ruolo svolto all’interno del CNVVF dei Vigili Discontinui . Anche se rimane un gran risultato la sola proroga non è sufficiente a consentire nuovamente il proseguo della graduatoria vista ad oggi la mancanza dei finanziamenti.
Per combattere questa forma di precariato la FNC si è convenzionata con A.L.Vi.P. (associazione lavoratori vittime del precariato) che ha provveduto a presentare dei ricorsi contro l’amministrazione. Le prime sentenze sono andate tutte in nostro favore dando ai lavoratori in prima istanza un risarcimento pari a 15 mensilità, ma visto che l’Italia è una nazione di furbetti ha ben pensato di esserlo anche lo Stato che  per non perdere si è divertito a modificare in suo favore  le leggi, inventandosi  un articolo della legge stabilità 2011 emanata lo scorso novembre dove sancisce che i richiami in servizio del personale Discontinuo/Volontario del Corpo non costituiscono rapporto di impiego con l’Amministrazione. Loro cambiano le leggi e noi cambiamo i ricorsi. Lo so, può sembrare una battaglia persa, perché noi siamo precari, siamo l’ultima ruota del carro come si dice a Pisa. Ci battiamo per i nostri diritti, contro lo Stato che invece ci dovrebbe tutelare.

Recentemente è stato  vinto anche un ricorso riguardante il pagamento del  TFR, perché sembrerà strano ma anche su questo lo Stato “Amministrazione Vigili del Fuoco” faceva e fa il furbetto. Ricorso che sia in prima istanza ed in appello ha dato ragione al collega ricorrente.

Un'organizzazione che alcuni esperti hanno definito straordinaria e messa in piedi a costo zero. Molti di questi ragazzi li ho conosciuti personalmente, altri non li ho nemmeno mai visti e lavorano a questo progetto da più tempo di me. Siamo un gruppo di persone che agisce in squadra coordinati da una struttura gerarchica, ognuno di noi ha un ruolo, un grado, un compito. Facciamo tutto questo perché amiamo il nostro lavoro, amiamo il paese dove viviamo, quindi ci sembrava giusto fare un ultimo tentativo per cercare di salvare la situazione di migliaia e migliaia di giovani lavoratori. Finora il mio cammino non è stato affatto semplice, ho incontrato persone senza scrupoli, e nonostante tutto abbiamo sempre cercato di istaurarci un dialogo, un rapporto. Ma per fortuna al mondo ci sono anche persone perbene, come la senatrice Franca Biondelli, l’On. Paolo Fontanelli che mi segue a Pisa, l’On. Marianna Madia che si è interessata alle nostre problematiche e da subito l’abbiamo sentita vicina in quanto nostra coetanea e pronta a salvare la nostra generazione.

Francesco Simonini - Coordinatore FNC VVF

RSU Pisa informa

Care/i colleghe/i,

mi pare opportuno informavi di quanto emerso nell'ultima riunione con la parte pubblica, svolta il 27 luglio. Fra i vari argomenti trattati, abbiamo posto la questione dei tempi
determinati e degli esternalizzati.

Sugli appalti di esternalizzazione, il Direttore amministrativo ha confermato che non dovrebbero esserci riduzioni né per i servizi di portierato né per quelli svolti nell'ambito bibliotecario.
Sui tempi determinati il discorso è più lungo e complesso.
In un primo tempo, la parte pubblica si è trincerata dietro il discorso che i tempi determinati lavorano su singoli progetti di ricerca e sono assunti per svolgere attività a questi legate.

Quindi finito il progetto, finito il contratto.

Abbiamo fatto presente che non è possibile affrontare in questi termini il discorso. Sappiamo tutti che molti colleghi lavorano da anni (decenni!) all'Università è che il progetto è solamente l'escamotage per garantire loro di continuare a lavorare.
Per questo è necessario evitare il moltiplicarsi delle graduatorie, garantire un pesante riconoscimento del servizio svolto negli anni, dare certezze in materia di reclutamento.

Pare che alcune esigenze siano condivise anche dalla parte pubblica.

Staremo a vedere.

Buone ferie

Simone Kovatz - RSU Università di Pisa

 
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