domenica 24 giugno 2012

Disoccupazione ordinaria con requisiti ridotti


Questo tipo di indennità spetta a coloro che, durante l’anno solare, abbiano patito uno o più momenti di disoccupazione. I requisiti essenziali per accedervi sono: aver lavorato almeno 78 giorni nell’anno, oltre ad un contributo utile versato prima del biennio precedente la domanda. Per il raggiungimento di tale periodo sono incluse anche le assenze dovute a malattia e maternità, non quelle imputabili a scelte del lavoratore dipendente come scioperi o congedi non retribuiti.

Che cosa spetta? Spetta un’indennità giornaliera per un numero di giornate generalmente pari a quelle di effettivo lavoro svolto nell’anno solare precedente a quello in cui si fa la domanda, fino ad un massimo di 180, comprese quelle eventualmente indennizzate con requisiti normali. La somma delle giornate retribuite e quelle di assunzione non può superare le 360. Per il periodo indennizzato spettano anche gli assegni al nucleo familiare. L’ indennità sarà pari al 35% della retribuzione di riferimento per i primi 120 giorni ed al 40% per i successivi 60.

La retribuzione di riferimento si ottiene dividendo l’importo complessivo delle retribuzioni percepite nell’anno di riferimento per il numero delle giornate effettivamente lavorate.
Si può presentare la domanda all’Inps rivolgendosi ai patronati, attraverso raccomandata o – da Gennaio 2012 – online.

Per saperne di più: LINK


Francesco C.

sabato 23 giugno 2012

Dammi il curriculum e ti dirò chi sei


Sul numero della rivista L’Espresso del 21 giugno 2012,  ho letto un articolo dal titolo Dammi il curriculum e ti dirò chi sei, in cui il giornalista Maurizio Maggi riporta, su suggerimento di esponenti di importanti aziende italiane, una serie di consigli su come redigere il proprio curriculum vitae di successo. 

Non posso farmelo sfuggire - penso! - spedisco curriculum a destra e a manca, quasi quotidianamente, senza ricevere due parole di risposta: stai a vedere che sto sbagliando tutto e che ora trovo la soluzione dei miei problemi di lavoratrice precaria!

“Meglio in formato elettronico e lungo al massimo due pagine”: fin qui ci siamo. Meglio evitare la foto o preferire un “sobrio primo piano”, pure qui!, tanto l’idea di mettere la mia fotografia non mi sfiora neanche lontanamente. Deve essere redatto in maniera semplice e con le notizie rilevanti che spiccano: anche in questo il mio curriculum vitae d’assalto  dovrebbe essere abbastanza soddisfacente.

Ma incomincio ad andare in crisi quando leggo che, secondo Paolo Citterio, il curriculum deve essere “sincero e propositivo”.  

Sincero? Ma se ogni volta che sto per spedire il curriculum ad una di quelle aziende che inseriscono sul loro sito l’opzione Lavora con noi, passo tre quarti d’ora a riflettere se indicare o no la laurea perché temo di venire scartata immediatamente! 

Propositivo? Nel senso che devo avanzare qualche suggerimento all’azienda? Sto caldeggiando la mia assunzione, più propositiva di così! Queste parole mi chiariscono il senso del termine propositivo:  “Un neolaureato deve farsi avanti, andare ai convegni o scrivere direttamente ai capi del personale, non avendo paura di sintetizzare in poche righe, accanto al cv, un proprio progetto per l’azienda in cui aspira lavorare”. 

A questo punto mi rendo conto che il mio curriculum vitae in formato europeo è decisamente demodé e alquanto banale, ma, allo stesso tempo, mi domando quanto - tutti quegli esperti di successo - si rendano veramente conto dell’odissea di chi, neolaureato o no, cerca lavoro.

L’articolo si conclude  con un accenno al cosiddetto Referral, un sistema di assunzione molto in voga nelle multinazionali Usa e che consiste in una raccomandazione di un dipendente interno, alla luce del sole, di un candidato. Inutile dilungarsi su quello che vorrebbe dire importare questo sistema nei paludosi e ben poco limpidi meccanismi di assunzione delle aziende italiane, dove, come conclude Maggi, “raccomandare con trasparenza è una chimera”.

Così, dopo aver appurato la mia incapacità di stendere un curriculum vitae interessante, mi raffido alla parole dell’infallibile Renato Zero:

Faccio in fretta un altro inventario…
Smonto la baracca e via!
Cambio zona, itinerario,
Il mio indirizzo è la follia!
C'è un infelice, ovunque vai…
Voglio allargare il giro dei clienti miei…
Io vendo desideri e speranze,
In confezione spray. 




Sara C.

Precariamente - Little Miss Public Competition



Qualche mese fa diversi quotidiani hanno pubblicato articoli che proclamavano sfacciatamente come, in molti concorsi per l’assunzione di personale, si presentino troppo spesso candidati impreparati e poco motivati. Allora giù con articoli e opinioni per ribadire quanto i giovani siano svogliati, sfigati e bamboccioni.

Ora, eviterò la sequela indecorosa delle risposte sincere che vorrei offrire ai redattori e mi limiterò a parlare di me stessa - e non è perché sia particolarmente egocentrica - ma perché circa il prepararsi per affrontare un concorso pubblico ho, ormai, la mia discreta dose di esperienza.

Fin da quando frequentavo l’università, sono sempre stata una di quelle studentesse che non avrebbero mai sostenuto un esame se prima non avevano passato in rassegna ogni centimetro quadro dei libri in programma. Poi, dato che non volevo assolutamente dare l’idea di essere una di quelle che imparano la lezione a pappagallo, per fare mia la materia di studio, trascorrevo giornate a indottrinare la pianta sul davanzale della finestra. Se poi la materia mi appassionava, mi lasciavo anche andare a qualche lettura consigliata o scovata nella bibliografia di qualche testo d'esame. Ho mantenuto le stesse buone intenzioni anche per prepararmi ai concorsi: cerco di digerire gli statuti e i regolamenti - che non puoi far altro che ripetere all’infinito - mi documento sulla professione che potrei essere chiamata a svolgere e sulle attività dell’ente che bandisce la selezione pubblica. 

Sono andata avanti così, sicura che lo studio e l’impegno avrebbero prima o poi dato i loro frutti, finché, dopo essermi scontrata con uno, due, infiniti concorsi in cui al massimo riuscivo a piazzarmi esima in graduatoria, non ho sconsolatamente realizzato che l’impegno o lo studio incidono sul risultato di un concorso, sì e no, per una percentuale decisamente insufficiente se la tua aspirazione è quella di raggiungere almeno lo scalino più basso del podio.

Ripenso ad uno dei concorsi che ho fatto, circa un anno fa: io, immobile e stordita,  con le dispense tra le mani, le matite da scolaretta e la cioccolata fondente per i cali di pressione, catturata in una fitta rete tessuta con sorrisini ammiccanti scambiati, evidentemente, tra vecchie conoscenze, rapporti di convenienza ed accordi diplomatici che vanificano tutti i miei sforzi e neutralizzano le mie aspettative.

Mi sento come Olive che si esibisce per conquistare il titolo di Little Miss Sunshine a Redondo Beach: sulle note di Superfreak di Rick James; mi aggiro, ingenua, impacciata e fuori luogo, tra gruppetti di candidati che, dall’aspetto deciso e debordanti autostima,  sembrano tutti più preparati e intraprendenti di me!

Nonostante non abbandoni il mio patologico approccio da studentessa diligente tendente al secchione, sono decisamente molto meno ingenua di quando frequentavo l’università e sono stanca, emotivamente e mentalmente, di farmi prendere in giro partecipando a concorsi in cui solo io non conosco il nome del vincitore. Ed è per questo che dico che non è il caso di allibire se i candidati si presentano ai concorsi impreparati e poco, o per niente, motivati:  di fronte all’impossibilità di contare sulle proprie capacità e sui propri sforzi, l’unica risorsa rimane quella di tentare la sorte e di provare un concorso come si compra un Gratta e vinci al tabacchino.

Ed io, come Olive, con l’animo pieno di dubbi e di insicurezze, ma forte della mia integrità e della consapevolezza di avere di fronte delle persone che credono in me, vado avanti e mi esibisco fino alla fine.




Sara C.

Curricula!



Questa sezione del blog ha una doppia finalità. 

La prima è quella di pubblicare il proprio vero curriculum vitae, quello che rispecchia le proprie capacità e competenze e non quello che abbiamo dovuto rendere congeniale alle svilenti richieste degli annunci delle offerte di lavoro. Nel curriculum vitae potranno essere elencate le capacità, le competenze, la formazione, gli hobbies e qualsiasi altra informazione che possa far capire meglio chi siamo, cosa ci piace e cosa vorremmo fare. 

L’altra finalità è quella di parlare di quello che vorremmo fare “da grandi”, dare libero sfogo ai propri sogni più sconsiderati, ai desideri più imprudenti e reconditi, alle passioni che - per l'eccessiva domanda di razionalità - abbiamo dovuto mettere da parte. 
Chissà, magari parlandone inizieremo davvero a dedicarci a ciò che ci interessa davvero.

Inviateci i vostri curriculum, proponete le vostre capacità: assieme possiamo creare una rete di conoscenze e collaborazioni!

Per pubblicare il vostro contributo sul blog, inviare una mail a: precariamentepisa@hotmail.it

La sindrome di Lulù


Ed anche questo contratto a tempo determinato si avvia alla sua conclusione e, almeno per ora, non esiste nessuna possibilità di proroga o di rinnovo. Il contratto scadrà il 30 settembre e - sebbene qualcuno insista a dirmi che manca ancora un bel po’ di tempo - faccio fatica ad essere fiduciosa e passo in rassegna tutto quello che ho sulla scrivania per non lasciare niente di mio: la tazza portapenne, le casse, il barattolo con le conchiglie che funge da fermacarte, l’ombrello di scorta per i cambiamenti di tempo repentini e lo spazzolino da denti.
Provo un po’ di nausea mista a rabbia per tutto l’impegno che ho profuso fino ad ora e che se ne va via col vento fastidioso che soffia oggi; un po’ di ansia per le rate del mutuo e un senso di spossatezza al pensiero di dover rimettermi in cerca di qualcosa da fare. 


In questo turbinio di pensieri malsani, fa capolino però una piacevole, quanto incosciente, sensazione che, sul momento, mi sorprende. Una strana eccitazione che mi cammina lungo la schiena e mi fa provare un forte senso di liberazione; mi prende la frenesia di infilare la tazza e il barattolo con le conchiglie nella borsa e le casse sotto braccio e arrivederci e grazie! 
Ed ecco che, quando sto per spegnere il pc, l’impulso di pazzia - o di cruda lucidità? - si squaglia come un cremino al sole sul marrone anonimo della mia scrivania.

Ho deciso di chiamare questa sensazione la sindrome di Lulù.


Lulù, protagonista de La classe operaia va in paradiso, è un operaio milanese con l’ulcera, campione del cottimo, odiato dai compagni e amato dal padrone, che - a seguito di un incidente - perde prima un dito della mano e poi il lavoro, passando così da ultracottimista a ultracontestatore.
Alla pazzia che sembra, inizialmente, ammorbare il protagonista, sottoposto a certi meccanismi alienanti del sistema di produzione fordista, segue un estatico senso di liberazione proprio in virtù del licenziamento patito e l’epifania di come la società – fondata su di uno sterile consumismo di massa – non sia in grado di rendere nobilitante l’esperienza del lavoro.

E’ questa la vita? – si chiede Lulù ad uno dei tanti consigli di fabbrica.




Sara C.

Perché nasce PrecariaMente


Siamo due precari che preferiscono non definirsi lavoratori poiché - oltre a considerare il fatto che definirsi tali richieda una presunzione e una fiducia nel futuro decisamente sproporzionate - quella del precariato non è una condizione che riguarda solo il rapporto di lavoro ma è uno stato che investe, allargandosi a macchia d’olio, anche il rapporto con la realtà sociale, con se stessi e, in alcuni casi, può limitare anche la sfera degli affetti. La conseguenza estrema di tutto ciò vuole il precario incastrato in una situazione di immobilità lavorativa, sociale e mentale che, almeno allo stato attuale delle cose, sembra non mostrare vie d’uscita.

Siamo due, ma possiamo essere contemporaneamente: impiegati, camerieri, baby-sitter, bibliotecari, insegnanti privati, venditori, portieri, addetti alle risorse umane, addetti al servizio di posta interna, educatori, sceneggiatori, etc.! Già, perché la suddetta immobilità corrisponde, paradossalmente, ad una forma, sempre meno considerata patologica e sempre più istituzionalizzata con il termine di flessibilità, di schizofrenia  lavorativa e pubblica per cui il precario è costretto, di fronte alla mancanza di lavoro, ad accettare qualsiasi proposta gli passi davanti, a qualsiasi condizione e prezzo.

Troppo tragico? No, il climax melodrammatico raggiunge l’acme della sua fatalità con quest’ultima disperata considerazione dal retrogusto esistenzialista - eccovi serviti: come se non bastasse, l’incertezza di un impiego duraturo, l’impossibilità progettare il futuro e la necessità di accettare quasi tutto, conduce ad una spersonalizzazione e ad una perdita delle proprie competenze che sviliscono e rendono precarie anche le nostre originali peculiarità.

La volontà di intraprendere l’avventura di PrecariaMente nasce prima di tutto dalla necessità di ritrovarci, di capire, nonostante il precariato, chi siamo e cosa vogliamo, perché dietro alla condizione di precari ci sono  storie, passioni che meritano e che hanno diritto di essere espresse, persone che meritano di realizzare ciò che è più affine alle loro capacità e alle loro conoscenze. 


PrecariaMente si offre come una piattaforma in cui ognuno può raccontare la propria esperienza di lavoratore precario, ma anche parlare delle proprie aspirazioni, di quello che vuol fare da grande o pubblicare il proprio vero curriculum vitae, quello che rispecchia le proprie capacità e competenze e non quello che abbiamo dovuto rendere congeniale alle svilenti richieste degli annunci delle offerte di lavoro.


Scrivete a: precariamentepisa@hotmail.it

Sara C. e Francesco C.

 
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