Mi ricordo, un paio di anni fa, Fausto Bertinotti, ospite
del programma televisivo Che tempo che fa, che, intervistato dal conduttore
Fabio Fazio, elencava con sussiego – e con tutto l’arsenale da intellettuale
dispiegato: dalla sua erre labiodentale, alla giacca di velluto con le toppe
sui gomiti – gli incarichi ricoperti dopo essersi dimesso dalla politica
istituzionalizzata – o stipendiata, scegliete pure il predicato che preferite –
che andavano da docente di diritto, a presidenze di vario genere. Ora, immaginando
che il compagno Fausto non possieda
l’altruistica vocazione del volontario, tutte queste funzioni saranno
parcellizzate e si cumuleranno col reddito prodotto dal vitalizio che spetta ai
politici di lungo – o anche brevissimo – corso, senza contare le indennità che
renderanno meno preoccupante la vecchiaia di un presidente della Camera.
La Fornerina, senz’altro Silvia Deaglio mi permetterà l’affettuoso vezzeggiativo, figlia dell’impetuosa Elsa – la immagino madre incostante: frignona mentre impartisce severe punizioni e impassibile mentre sentenzia che i diritti dei figli vadano conquistati – ha due lavori, proprio mentre in Europa si registra il più alto tasso di disoccupazione dell’ultimo decennio: docente all’Università di Torino e responsabile della ricerca presso la HuGeF, una fondazione attiva nel campo della genetica, genomica e proteomica umana. Il curriculum e le referenze parlano per lei, se non fosse che l’università è la stessa dove insegnano i genitori e la Human Genetics Foundation è stata creata dalla Compagnia di San Paolo quando Elsa ne era vicepresidente. E se non fosse che recentemente il precariato ha investito anche i Normalisti, nonostante il loro curriculum non sia da meno.
Un anno fa L’Espresso pubblicava il caso, davvero tutto italiano, di politici che percepivano indennità da due o più incarichi. Si contano una trentina, abbondante, di sindaci, dodici presidenti di provincia, quattro assessori e cinquantaquattro consiglieri comunali che continuano stare comodi pure sulle poltrone di deputato o senatore. O viceversa.
Il primo esempio ci racconta di un individuo della schiatta sempre più esclusiva, grazie ad Elsa, dei pensionati d’oro che non riesce ad abbandonarsi all’idea di lasciare ai giovani maggiore spazio magari limitandosi, in disparte, a concretizzare il proverbio dar consigli è proprietà dei vecchi, i fatti sono dei giovani. La seconda riesce, col proprio esempio, a contraddire lo zio Mario intorno ai concetti di equità e monotonia. Il terzo capoverso ci parla di una casta tesa ad accumulare piuttosto che amministrare. L’Italia è dunque un paese per vecchi – che oscilla inquietantemente tra baronismo e gerontofilia; vi ricordate la fotografia che ritraeva Monti ed il primo ministro finlandese? -, per raccomandati e nel quale la distribuzione della ricchezza è profondamente squilibrata.
Eppure, parafrasando le parole di Shylock ne Il mercante di Venezia di Shakespeare
verrebbe da chiedersi se tutti gli uomini siano eguali o se solo ad alcuni sia
dato sacrificarsi maturando pensioni bassissime e rendendo più competitiva la
nazione, agli occhi degli investitori, con il precariato sempiterno, per
risolvere questo momento di crisi.
Francesco C.
Ma un ebreo non ha occhi? Un ebreo non ha mani, organi, misure, sensi, affetti, passioni, non mangia lo stesso cibo, non viene ferito con le stesse armi, non è soggetto agli stessi disastri, non guarisce allo stesso modo, non sente caldo o freddo nelle stesse estati e inverni allo stesso modo di un cristiano? Se ci ferite noi non sanguiniamo? Se ci solleticate, noi non ridiamo? Se ci avvelenate noi non moriamo?