Anche questa volta devo deludervi poiché - come si potrebbe erroneamente
dedurre dal titolo - non si tratta di uno sfizioso post culinario e, nonostante gli sforzi, non sono ancora
riuscita ad individuare quel mix di ingredienti, misti a talento e fortuna, che
può farci uscire dal tunnel del precariato con tanto di scattante avanzamento
di carriera!
“La ricetta giusta per la carriera” è un articolo, rimanendo
nell’ambito del lessico alimentare, per me alquanto nauseante, del settimanale
femminile D de La Repubblica che, suggerisce ai giovani di iscriversi ad una
scuola di cucina professionale per prepararsi alle professioni dell’altra
cucina. Anche se sono convinta che ben poche persone decidano di
intraprendere una scelta di studi e di vita come conseguenza di un articolo
letto su una rivista, credo che sia un po’ ipocrita e inverosimile scrivere
cose del tipo “puntare su una scuola (n.d.r. di cucina professionale)
accreditata è un buon investimento anti-crisi”. Non voglio certamente mettere
in dubbio le percentuali di assunzione di chi esce da una scuola di alta
cucina, vorrei solo puntualizzare che “quei 15 mila euro per 11 mesi di corso
(la tariffa standard per un scuola culinaria)” non sono un investimento sul
futuro dei figli che molti genitori, soprattutto nell’Italia di oggi, potranno
permettersi con molta facilità.
Dal curriculum vitae di una delle due chef citate
nell’articolo, Cristina Bowerman, deduco
che non si tratta proprio della figlia diligente e talentuosa di un pizzaiolo
di periferia: nata a Cerignola (FO), dopo la laurea in Giurisprudenza continua
gli studi forensi presso l'Università di San Francisco in California (USA),
dove ottiene il suo primo lavoro in cucina, in un noto breakfast place chiamato
Higher Grounds. Negli anni successivi continua a coltivare la passione culinaria
e, una volta trasferita ad Austin (Texas) , fonda la piccola compagnia The Two
Skinny Ladies e cucina a domicilio. Maturata la decisione di diventare una
professionista della cucina, si laurea in Arti Culinarie nel 2002 presso
l'Università di Austin con il programma della famosa scuola parigina Cordon
Bleu. Nel 2004, dopo svariate esperienze di rilievo e non negli Stati Uniti,
risalenti anche al periodo del corso di laurea, tra cui spicca quella per il
Driskill Grill, decide di ritornare in Italia per un'esperienza professionale,
scegliendo il Convivio Troiani, noto stellato romano.
Non discuto l’alta professionalità e la competenza della
Bowerman ma, onestamente, il suo percorso di formazione non è proprio alla
portata di tutti! Bowerman afferma
“superate lo svantaggio biologico puntando dritte all’alta cucina. Lì si pensa
di più e di fatica di meno rispetto ad una trattoria”. Cavolo … ecco dove ho
sbagliato! Ed io che quando frequentavo l’università trascorrevo le serate dei
fine settimana a fare la cameriera in un alquanto dozzinale ristorante-pizzeria
di provincia, percorrendo chilometri tra tavoli-sala-cucina-forno a legna e
facendo l'equilibrista tra i tavoli trasportando pizze dalla temperatura di 350
gradi Celsius! Il più impegnativo esercizio intellettuale era tenere in mente i
dodici diversi tipi di caffè che ti avevano ordinato al tavolo da dieci: basso,
macchiato freddo, macchiato caldo, lungo, al vetro, d'orzo, decaffeinato,
shakerato, decaffeinato alla nocciola, mocaccino, cappuccino, schiumato,
americano, macchiato in tazza grande, corretto al sassolino, alla sambuca, alla
grappa morbida o alla grappa secca! Non ho mai capito perché un
ristorante-pizzeria con una scelta di appena cinque primi e quindici pizze,
deve servire il caffè il cinquecento modi diversi: forse è una proposta della
Bowerman per aguzzare l’ingegno del povero cameriere che, sul concludersi della
serata, non vede l'ora di sbattere fuori i clienti e sparecchiare i tavoli!
L’articolo è accompagnato da un simpatico trafiletto
“Centomila futuri mestieri”, che elenca alcune nuove opportunità di lavoro
censite da Coldiretti: dall'agrigelataio al sommelier della frutta, dal birraio
a chilometri zero, all'assaggiatore di miele, dal personal trainer dell'orto al
food blogger. Mi chiedo se qualcuno avrà mai pensato al coach motivazionale per
galline? Mi ci vedrei veramente bene: look un po’ vintage alla Maria Rosa del
lievito Bertolini, salopette blu e foulard a fiori in testa, che, con cestino
di vimini sotto braccio, saltello nel
pollaio e canticchio filastrocche per esortare le mie gallinelle a farmi tanti
ovetti: “forza gallinelle, fatemi tanti bei ovetti che scaliamo le classifiche
di Forbes!”. Vedo già i titoli sui giornali: “Precaria della Pubblica Amministrazione
decide di cambiare vita e diventa milionaria curando l’autostima di un pollaio
di galline sull’orlo della crisi di nervi e inevitabilmente destinate al
brodo!”.
Alla fine, dopo tanti anni di co.co.co., non dovrei avere
troppa difficoltà!
A zampe unite, salta dal pollaio, appena le si apre la
porta. È una gallina qualunque, di abiti modesti, e non fa, no, uova d'oro.
Ubriaca di luce; muove qualche passo incerto nel cortile.
Vede, per primo, il mucchietto di cenere dove ha il vezzo di
ruzzare ogni mattina.
Vi si arrotola, vi si affonda e, sbattendo forte le ali,
gonfia le piume, si scuote di dosso le pulci della notte. Va a bere nella
scodella sbreccata riempita dall'ultimo acquazzone.
Non beve che acqua.
Beve a sorsetti, a collo teso, equilibrata sull'orlo del
piatto.
Poi, è il momento della cerca del cibo, qua è la. Tutto è
suo: le erbette sottili, gli insetti, tutti i semi dispersi.
Becca, becca, infaticabilmente. Solo, si arresta tratto
tratto.
Ben ritta, sotto il caschetto frigio,vivo l'occhio, il gozzo
in fuori; ascolta con un orecchio e con l'altro.
No, non c'è nulla di nuovo: e si rimette alla cerca.
Solleva alte le zampe rigide, come chi ha la gotta, divarica
le dita e le posa, cauta, senza rumore.
Si direbbe che cammina scalza.
di PrecariaMente