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venerdì 2 agosto 2013

I doveri di un precario. Lo ammetto: ho inviato la mia candidatura a IKEA!

Ci siamo, anche a Pisa sbarca l’inarrestabile colosso IKEA. Un nuovo mastodontico store di quasi 34.000 mq che, per prima cosa, più che ispirare all’acquisto di divani, cucine e librerie a basso costo, fa pensare a nuovi posti di lavoro.
So che suona decisamente snob ma io l’ho sempre odiata IKEA! Odio quell’odore di compensato misto a colla che aleggia nei negozi e che, dopo dieci minuti di entusiasmo all’idea di un colorato shopping a basso costo, mi penetra nel cervello e mi fa venire la nausea. Mi innervosisco a montare quelle cavolo di librerie Billy che tutti mi dicono essere un gioco da ragazzi e che per me vuole dire impazzire per una giornata intera per ritrovarmi con la casa piena di trucioli, viti dall’aspetto enigmatico e tavolette  di legno sfasate. E odio quei prelibati biscotti svedesi, concentrato di burro e zucchero, che tutti non possono fare a meno di comprare e per il mio intestino intollerante al glutine rappresentano una vera e propria bomba atomica!
Ma, da precaria, porto costantemente dentro di me quel maledetto senso del dovere per cui rinunciare a sfruttare un’opportunità lavorativa che possa prevedere un contratto a tempo indeterminato provocherebbe un senso di colpa decisamente più intollerante del glutine!
Metto da parte tutta la mia ritrosia e il mio snobismo, accedo alla sezione “Lavora con noi” del sito www.ikea.com dove si spiega subito che candidarsi a lavorare per IKEA è semplicissimo:

1: Usa il nostro motore di ricerca per trovare il lavoro adatto a te.2: Inviaci il tuo CV, contenente tutte le informazioni più rilevanti, con una lettera di accompagnamento.3: Ti invieremo una notifica quando riceveremo la tua domanda e ti terremo aggiornato.

E’ facilissimo? Che problema c’è?

Quindi: primo passo, capire qual è il lavoro più adatto a me. Leggo le parole di Magnus Anderson - ma vuoi mettere lavorare per uno che si chiama Magnus? -, store manager IKEA Pisa:

“Abbiamo bisogno di persone schiette ed oneste che, come noi, abbiano la passione per l’arredamento e per i clienti, e che ci aiutino a diventare leader nel vivere la casa cogliendo la sfida di creare un nuovo punto vendita. Vogliamo persone che amino lavorare in gruppo per un obiettivo comune, che non abbiano paura di assumersi responsabilità , anche sbagliando, e che non smettano mai di chiedersi il “perché” delle cose. Abbiamo bisogno del contributo di persone flessibili e disponibili a lavorare quando il nostro cliente ha bisogno di noi e che siano ambasciatori dei valori e della cultura IKEA.”
Schietta, onesta, a cui piace lavorare in gruppo, disposta ad assumermi le mie responsabilità: fino ci qui, ci sono! Che non smettano di chiedersi il “perché delle cose”: questo mi capita un milione di volte al giorno … soprattutto se penso a nomi dei mobili IKEA! Persone flessibili e disponibili: queste richieste mi rendono sempre terribilmente sospettosa e contrariata. ”Che siano ambasciatori dei valori e della cultura IKEA”. Della cultura IKEA? Ma cos è la cultura IKEA? Vabbè, preferisco glissare, almeno per questa volta, e non chiedermi perché, convincermi che sono proprio un ignorante e che è un problema mio se, nel 2013, ancora non conosco la cultura IKEA!

Per documentarmi leggo la sezione dedicata ai valori dell’azienda: Umiltà e forza di volontà; Leadership attraverso il buon esempio; Avere il coraggio di essere differenti; Collaborazione ed entusiasmo; Attenzione ai costi; Desiderio continuo di rinnovamento; Assumersi e delegare le responsabilità.
Allora, o vomito o la pianto di fare le manfrine e invio questo maledetto curriculum vitae!
Bene, faccio mia la frase “Incoraggiamo i collaboratori a sfruttare il proprio potenziale e a superare le aspettative. Bisogna anche essere capaci di imparare dai propri errori” e invio la mia candidatura. Ora non mi resta che aspettare la notifica e tutte le informazioni sul da farsi.


Che dire: vi farò sapere!


giovedì 11 luglio 2013

Aspettare stanca!

Lavorare stanca era il titolo di una raccolta di poesia di Cesare Pavese. Italo Calvino parlando del poeta lo definì "un ragazzo nel mondo degli adulti, senza mestiere nel mondo di chi lavora, senza donna nel mondo dell'amore e delle famiglie, senza armi nel mondo della lotte cruente e dei doveri civili": in un certo senso, un precario di altri tempi! Con la differenza che, per il precario, stancarsi lavorando, più che un sentimento di malessere fisico e psicologico, è un'aspirazione!
Ma se non si stancano a lavorare, i precari sono stanchi di molte altre cose: sono stanchi di doverlo cercare un lavoro, di dover firmare vergognosi contratti che prevedono molti doveri e pochi diritti, di dover sempre dimostrare di essere indispensabili e all'altezza del compito da svolgere. Sono stanchi di doversi sempre organizzare in previsione dell’approssimarsi di un periodo di disoccupazione, di doversi inventare in una nuova figura professionale e di dover organizzare il resto della propria vita secondo i nuovi e provvisori orari di lavoro. Sono stanchi di aggiornare il proprio curriculum vitae, di affrontare inutili colloqui al centro per l’impiego o surreali appuntamenti con gli impiegati allucinati delle agenzie interinali che, fra l’altro, sono quasi più precari dei lavoratori che cercano di collocare! I precari sono stanchi di sentire che la percentuale di disoccupazione ha raggiunto livelli mai visti e di leggere delle proposte del Governo per il rilancio dell’occupazione che qualche mese dopo si riveleranno del tutto inefficaci.
Io, per esempio, sono stanca di studiare per un concorso che avrei dovuto fare ieri ma che, pare a causa di un alto numero di domande di partecipazione, è stato rimandato, una settimana prima del suo svolgimento, al 10 ottobre! Anche se ora godo dei benefici di un sospirato fine settimana trascorso in spiaggia, anziché a sudare sui libri, l’idea di dover passare ancora dei mesi con il pensiero di dover affrontare l’ennesimo concorso pubblico, mi fa calare addosso un opprimente senso di spossatezza. Sono bloccata in attesa di una data che mi spaventa ma che non vedo l’ora che arrivi! Ecco quello che mi stanca di più: non è lavorare o studiare, è aspettare!
I precari sono stanchi di aspettare la data di concorso, l’inizio o la fine di un contratto, la pubblicazione di un bando, la decisione di una commissione sull’esito di una selezione, il momento giusto per comprarsi una casa, per fare un figlio, per comprare l’auto nuova con una finanziamento. 

I precari sono lavoratori/cittadini/adulti in stand-by: circuiti elettrici pronti a partire, stanchi di aspettare e ansiosi di riprendere in mano la propria vitaMa da precaria, con colleghi e amici precari, vi assicuro che per un precario che si strugge nell’attesa, ce sono tanti che non si rassegnano e che, nonostante tutto, senza illusioni o false speranze, pur non avendo ben chiaro dove e come lavoreranno domani, sanno bene quello che vogliono oggi e non hanno voglia di rinunciarci. E questa non è una minaccia ma una promessa: la premessa che ce la metteremo tutta e che non staremo ad aspettare Godot!




sabato 11 maggio 2013

Se anche le parole diventano precarie – Seconda parte - Il nipote, la carrozza e il rettore


Dopo la nomina del nuovo Presidente del Consiglio e la scelta dei nuovi ministri, il sito dell’Università di Pisa non poteva perdere l’occasione di rendersi partecipe e pubblicare, sul sito www.unipi.it, una news dal titolo Letta e Carrozza, risorse al servizio del Paese. L’Ateneo saluta con soddisfazione la nomina nel nuovo governo dei suoi laureati. Come ricorda l’articolo, il premier Enrico Letta e Maria Chiara Carrozza, Ministro dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, si sono laureati entrambi nell’ateneo pisano e, successivamente, specializzati alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Sono curiosa e leggo i curricula dei due nuovi componenti del governo.

Enrico Letta nasce a Pisa nel 1966. E’ figlio di Giorgio Letta professore di Calcolo delle probabilità all'Università di Pisa, socio dell'Accademia Nazionale dei Lincei e dell'Accademia Nazionale delle Scienze e nipote di Gianni Letta, uno dei principali collaboratori di Silvio Berlusconi. Trascorre parte dell'infanzia a Strasburgo dove frequenta la scuola dell'obbligo. Si laurea in Scienze politiche (indirizzo politico-internazionale) all'Università di Pisa. Consegue il perfezionamento (equivalente al dottorato di ricerca) in Diritto delle comunità europee presso la Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa. Beh, diciamocelo: il curriculum vitae del nuovo premier non è proprio quello di uno studente medio dell’Università di Pisa! Speriamo comunque che, anche se giunto appena venticinquenne alla presidenza dei Giovani del Partito Popolare europeo, un po’ di affezione per l’università gli sia rimasta nel cuore e che la parole Se ci saranno dei tagli su cultura, scuola e ricerca, mi dimetto, dichiarata nella puntata del programma Che Tempo che fa di domenica 5 maggio, non sia l’ennesimo sproloquio per strappare un applauso del pubblico in sala.

Maria Chiara Carrozza ha una storia decisamente più genuina (in cui, quanto meno, non appaiono zii lacchè di Silvio Berlusconi) e che ce la presenta come una studiosa di altissimo livello: Professore di Bioingegneria Industriale all’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa; ha conseguito il PhD in Ingegneria (1994) presso la Scuola Superiore Sant’Anna e si è laureata in Fisica (1990) presso l’Università di Pisa. E’ membro della “IEEE Society of Engineering in Medicine and Biology” (EMB), della “IEEE Society of Robotics and Automation” (R&A), del Gruppo Nazionale di Bioingegneria (GNB). Il punto debole si mostra quando ci addentriamo a conoscere la sua ascesa politica: pettegolezzi e malelingue sussurrano che Carrozza sia la compagna di Umberto Carpi, sottosegretario dell’Industria durante il governo D’Alema proprio quando l’ex-segretario PD Pierluigi Bersani era ministro. Il patologico nepotismo della politica italiana mi avvelena la mente, ma ripenso a Nilde Iotti, compagna di Palmiro Togliatti, e a Mirian Mafai, di Giancarlo Pajetta, che furono molto più che “mogli di” e, da precaria dell’università, alle volte in cui il neo Ministro ha espresso la propria volontà di impegnarsi in favore del sostegno della ricerca e del lavoro precario nella scuola e nell’università e che forse mi posso sbilanciare a darle un po’ di fiducia.

Chissà se il Rettore dell’Università di Pisa, Massimo Augello, laureato in Scienze Politiche all’Università di Pisa ,sotto sotto, non provi un po’ di stizza verso i due ex-compagni di università che, dai vertici del governo del Paese, si esibiscono in mirabolanti e impavide promesse di crescita dell’Italia. Le parole chiave sono lavoro, istruzione e innovazione: LINK

In ogni caso, sul fronte dell’autoesaltazione verbale anche il Rettore dell’Università di Pisa, non perde occasione per far parlare di sé e, in un articolo di sabato 20 aprile del quotidiano Il Tirreno, dichiara: “l’ateneo pisano ha deciso di investire in tutti gli ambiti strategici per il presente e il futuro. Stiamo varando un piano triennale di reclutamento e di assunzioni che prevede l’impegno di circa 10 milioni di euro, senza utilizzare la leva delle iscrizioni e grazie alla solidità del nostro bilancio”. Che importa se il piano triennale per il personale sia un obbligo introdotto dalla Legge 240/2010 (la famigerata Legge Gelmini); che, solo limitandoci ai precari del personale tecnico-amministrativo dell’ateneo, ne verranno assunti al massimo una quindicina nell’arco di un triennio e che, in questi primo semestre del 2013, sono stati stipulati nuovi contratti a tempo determinato con persone che non hanno mai lavorato nell’ateneo pisano: e se ciò, da una parte, vuol dire dare l’opportunità ad altri di lavorare, dall’altra significa alimentare il lavoro precario e le aspettative di chi si ritroverà a breve di nuovo disoccupato. Che importa tutto questo quando i quotidiani titolano un articolo con queste belle parole: “Il rettore: 10 milioni per le assunzioni”?



In conclusione, cari lavoratori precari e, in particolare (… per diretto coinvolgimento personale!), cari precari dell’Università di Pisa, state tranquilli che a voi pensa il vostro impavido Presidente del Consiglio, la scienziata, ricercatrice, docente, manager, mentore Maria Chiara Carrozza e il Rettore dell’Università di Pisa. Cari precari, siate tranquilli e fiduciosi, vedrete che ci sarà lavoro per tutti e in abbondanza e, soprattutto, non siate maldicenti e non pensate che siano tutte e solo parole! Parole, parole, parole. Parole, parole, parole. Parole, parole, parole, parole, parole soltanto parole, parole tra noi. Chiamami tormento dai:

domenica 5 maggio 2013

Se anche le parole diventano precarie – Prima parte


Tra gli ospiti della puntata del 30 aprile del programma televisivo Ballarò c’era Luciano Canfora, un filologo classico, storico e saggista, invitato ad esprimersi in merito ad alcune frasi, decisamente poco ortodosse, pronunciate da noti politici italiani:


Canfora afferma che il linguaggio della politica italiana è sempre più elusivo, inquietante e sta diventando sempre più violento e ingiurioso.

Aldilà degli insulti, che non sono nient’altro che un’ulteriore dimostrazione dell’inadeguatezza e ignoranza della classe politica italiana, la questione più grave che emerge dalle parole di Canfora è la mancanza di una corrispondenza, e di conseguenza di una coerenza, tra le parole e le cose: o, meglio, tra le promesse e il vero impegno. E la cosa peggiore è quanto questa morbosa incongruenza sia diventata un dato di fatto, una consapevolezza acquisita per cui sarebbe ingenuo scandalizzarsi.

Penso al primo discorso di Enrico Letta alla Camera dei Deputati, durante il quale ha presentato il suo programma di governo e alle sua dichiarazioni, in cui il neo Presidente del Consiglio afferma che la mancanza di lavoro è «la grande tragedia di questi tempi» e che sarà «la prima priorità di questo governo». Letta pensa anche a «forme di reddito minimo per le famiglie bisognose con figli piccoli»,  facilitare l’assunzione di giovani, possibili forme di part time per i lavoratori in attesa della pensione. Tra gli altri obiettivi, il rifinanziamento della cassa integrazione in deroga, il superamento del precariato anche nella pubblica amministrazione, la soluzione del problema degli esodati. Porte aperte al confronto con le forze sindacali: «I sindacati saranno protagonisti».  Gianni Pittella, vice presidente del Parlamento europeo, lo definisce un discorso programmatico intenso, rigoroso e vibrante, ricco di contenuti dalla connotazione fortemente europeista, che restituisce senso e dignità alla politica nel suo momento più difficile. E aggiunge: “Letta auspica un’Europa che non sia solo quella del rigore e della moneta, ma anche dell'equità, dello sviluppo e della giustizia sociale. Non usa mezzi termini nell'indicare l’unione politica e federale come un obiettivo imprescindibile”.

Parole, parole, parole. Termini di valore inestimabile e frasi solenni: mancanza di lavoro come “grande tragedia” e “prima priorità”. Reddito minimo. Facilitare le assunzioni dei giovani. Rifinanziamento della cassa integrazione in deroga. Superamento del precariato anche nella pubblica amministrazione. Risoluzione del problema degli esodati. Equità, sviluppo e giustizia sociale. Parole, parole, parole. Ma ora le soluzioni sembrano lontane e si fa fatica ad immaginare da dove saranno reperite le risorse necessarie per mantenere gli impegni di un’agenda immane e carica di buoni propositi come quella del nuovo premier. E meno male che Letta parla anche di sobrietà: «Bisogna recuperare decenza e sobrietà» dice «Nessuno può sentirsi assolto dall’accusa di aver contaminato la politica con gesti, parole, opere e omissioni». Ma l’ego di Letta non è ancora soddisfatto e deve andare a scomodare anche la biblica storia del giovane Davide che sconfigge Golia: «Come Davide dobbiamo spogliarci della spada e dell’armatura che abbiamo indossato finora e che ci ha appesantito. Come Davide noi dal torrente delle idee abbiamo scelto i nostri ciottoli: sono le nostre proposte di programma. La fionda l’abbiamo in mano: insieme governo e Parlamento». 
Non capisco se ho davanti un folle kamikaze sprezzante del pericolo o un megalomane che vuole godere all’ennesima potenza dei suoi quindici minuti di notorietà giocando a fare l’onnipotente. Penso che, per avere i miei quindici minuti di speranza, dovrei dirmi che è ancora presto per giudicare il governo e che sarebbe meglio valutare i fatti . Già i fatti … e qui, come in uno snervante gioco dell’oca, si torna al punto di partenza e al fatto, questo sì, che dopo questi ultimi mesi di insolvente e ridondante campagna elettorale siamo veramente esausti di ascoltare parole parole e parole che non si concretizzano mai.
Speriamo che, anche questa volta, il “giovane” talentuoso e competente Enrico Letta non si riveli l’ennesimo Mago di Oz: un inetto che ha truffato tutto il popolo.

E non dimentichiamoci mai la lezione di Nanni Moretti in Palombella Rossa: le parole sono importanti!





sabato 23 febbraio 2013

Elezioni politiche 2013. Le scelte di un precario.


Lo ammetto. Manca meno di una settimana alle elezioni politiche ed io non ho la più pallida idea di cosa votare.  Non voglio declinare la solita solfa dell’italiano deluso dalla politica, che non ha più fiducia nelle istituzioni e nel sistema dei partiti. La mia indecisione è il risultato di una quanto mai più che consapevole pigrizia mentale, di un’ insofferenza o,  direi quasi, nausea, verso i cliché e i teatrini televisivi pre-elettorali ma anche di un atto di buon gusto, dato il mio non voler assistere ad una delle più brutte campagne elettorali  che si siano viste negli ultimi vent’anni: un chiassoso battibecco di insulti, allusioni sessuali e scene da soap opera capaci di inghiottire gli inconsistenti programmi elettorali.

Nonostante tutto,  dal mio stomaco, una vocina petulante mi ripete insistentemente che votare è un diritto e un dovere, che gli ignavi vanno all’inferno e che esprimere la propria posizione è una responsabilità civile e quindi decido, con un intervento last minute, che sceglierò a chi dare il mio voto leggendo direttamente i programmi elettorali da un preciso punto di vista: quello del  precario che, pur consapevole della tragica situazione del mondo del lavoro, spera in qualche vincente strategia di governo o che in uno strano avvicendarsi di fortunati eventi,  queste elezioni portino un cambiamento positivo.

E la mia full immersion ha inizio.

Da Italia. Bene comune al Popolo delle Libertà. Dal Movimento 5 Stelle a Scelta civica. Monti per l’Italia. Da Rivoluzione civile a Fare per fermare il declino.

Leggo frasi nobili e profonde : “ La nostra visione assume il lavoro come parametro di tutte le politiche. Cuore del nostro progetto è la dignità del lavoratore da rimettere al centro della democrazia, in Italia e in Europa”. Obiettivi ambiziosi e vitali: “Un sistema di welfare che dia sicurezza a tutti, indipendentemente dal tipo di lavoro”, “Vogliamo creare occupazione attraverso investimenti in ricerca e sviluppo, politiche industriali che innovino l’apparato produttivo e la riconversione ecologica dell’economia”.  Promesse di risoluzione di gravi problemi civili e sociali: “Risoluzione della questione esodati”, “Vogliamo introdurre un reddito minimo per le disoccupate e i disoccupati”. Termini altisonanti che esprimono concetti di inestimabile valore: democrazia, dignità, welfare, sicurezza, flessibilità, occupazione.

Parole, parole, parole che, forse, se pronunciassi a voce alta e scandita, tenendo in mano una bacchetta e indossando un cappello a punta potrebbero anche far accadere qualcosa ma, concretamente, la ferita della Riforma Fornero, approvata alla Camera con 393 voti favorevoli ed ora rinnegata in qualche modo anche dai partiti che l’avevano votata in Parlamento è ancora aperta. Parole, parole, parole che propongono soluzioni vincenti ma che non chiariscono le cifre, i dati e che non descrivono  quali saranno le risorse che potranno permettere di attuare soluzioni  costruttive e risolutive in materia di occupazione, welfare e pensioni.

Beata ignoranza… Ma perché invece di intristirmi con i programmi politici, di farmi invadere dalla rabbia e dall’amarezza di essere incapace di dare un voto che, quanto meno, ritenga importante e utile, non mi sono rilassata aggiornandomi  sui nuovi tagli di capelli per la prossima primavera-estate?

Vabbè, non voglio darmi per vinta e, da qui a domenica, leggendo e rileggendo, magari ad alta voce, i programmi elettorali vedrò se avranno il prodigioso potere di darmi il coraggio necessario a fare una scelta.

Speriamo di non trasformare qualcuno in ranocchio!







giovedì 17 gennaio 2013

Coordinamento Precari Unipi - Assemblea del personale precario tecnico-amministrativo


Venerdì 18 gennaio 2013, dalle 11,30 alle 13,30, presso l'AULA V1 del "Polo Fibonacci", Largo Pontecordo n. 2 si svolgerà un'assemblea del personale precario tecnico-
amministrativo dell'Università di Pisa con il seguente ordine del giorno:


- Presentazione Coordinamento Precari Tecnici-Amministrativi
- Relazione situazione del precariato all’Università di Pisa in base ai dati raccolti con i questionari e richiesta di incontro con il Rettore
- Proposta accordo RSU – OOSS su riduzione tempi, sospensione tra un contratto e l’altro


Le ore di assemblea rientrano nel monte ore individuale a disposizione di ogni dipendente (12 ore annue) e la partecipazione non deve in alcun modo essere autorizzata.

Coordinamento Precari Tecnici-Amministrativi Unipi



domenica 30 dicembre 2012

Il manuale del giovane precario - Buoni propositi per l’anno che verrà


Si avvicina la fine dell’anno e svanita la minaccia della fine del mondo che, se non altro, avrebbe portato via tutti i problemi e i pensieri che ci tengono svegli, è tempo di fare un po’ di ordine nelle nostre vite di lavoratori precari e di disoccupati alla costante ricerca di qualcosa da fare.

Vorrei che l’elenco dei buoni propositi per il 2013 consistesse in tre semplici, chiari e concisi punti:
1. impegnarmi a trovare un lavoro con un contratto a tempo indeterminato
2. non essere pigra e non perdere tempo
3. non perdermi d’animo ed evitare gli sbalzi d’umore.

D’altra parte, da tre mesi a questa parte, ovvero dalla scadenza del mio ultimo contratto a tempo determinato, ho imparato tre lezioni semplici, chiare e concise:
1. seppur seguendo alla lettera i consigli che aiutano a trovare lavoro, attualmente, mi sento di poter dire che è praticamente impossibile trovare un impiego, dignitoso o meno,  con un contratto a tempo indeterminato.
2. detesto la pigrizia e ancora di più perdere tempo. Ma la cosiddetta “crisi” non tiene conto  dell’impegno, della perseveranza e della determinazione delle persone che hanno voglia di combinare qualcosa di costruttivo per sé e per gli altri e, inesorabilmente, va avanti arricchendo la disonestà, l’egoismo e la corruzione che l’hanno generata e chi non partecipa a questo festino tra sciacalli si ritrova immobilizzato e impotente.
3. non è facile non perdersi d’animo, arrabbiarsi ed evitare gli sbalzi d’umore ma se c’è qualcosa di utile ed importante in cui impegnarsi è proprio mantenere il controllo di se stessi, essere lucidi e non crogiolarsi in un fin troppo facile vittimismo. Anche se le previsioni per una ripresa economica e un aumento dell’occupazione per il 2013 sono disastrose, darsi per vinti è il peggior male possibile. Non voglio dare lezioni di vita a nessuno: non ho né le capacità né il ruolo.  Piuttosto rifletto a voce alta, riorganizzo i miei pensieri e faccio i miei piani per il futuro.  Se ormai sono consapevole che mettercela tutta non servirà a trovare un lavoro, chiudersi in se stessi e dirsi che impegnarsi non serve a niente è solo un comportamento che ci fa del male e che aiuta chi agisce in maniera disonesta a raggiungere più facilmente i propri interessi.
Chi oggi è senza lavoro e vive in una condizione di precariato lavorativo e, di conseguenza, sociale non è un incapace, ma rappresenta, suo malgrado, il risultato di scelte politiche ed economiche rivolte solo al tornaconto personale o di pochi privilegiati, di un sistema clientelare dove sussiste ancora la logica mafiosa della famiglia e dove le strategie di sviluppo sono un mero scambio di favori. E per superare tutto questo non bisogna isolarsi, considerarsi perdenti e pensare di cavarsela con qualche scappatoia: servirebbe solo a peggiorare le cose e a diventare complici. Non bisogna considerarsi vittime ma individui responsabili e dotati di capacità da far valere per la propria crescita personale e da condividere con gli altri, è così che possiamo cambiare le cose. Mi rendo conto che possono sembrare parole utopiche e fuori luogo ma la situazione è talmente caduta in basso, che per ottenere dei risultati bisogna puntare in alto, essere ambiziosi ed avanzare le proprie pretese.

Per questo motivo, uno dei mie buoni propositi per l’anno che verrà sarò quello di impegnarmi ad essere parte del cambiamento, sia partecipando a nuove iniziative che stanno nascendo (come la campagna Io Voglio Restare), sia imparando a conoscere e collaborare alle attività di sindacati e realtà associative che da tempo si occupano di lavoro e diritti (per esempio la campagna della Cgil Ricostruiamo l'Italia). Il Manuale del giovane precario, senza rinunciare a mettersi in prima linea nella sperimentazione dei consigli, più o meno ortodossi, per cercare un lavoro, diventerà, o almeno si proporrà di farlo, un aiuto per conoscere ed entrare in contatto con chi si impegna, in maniera diretta, per essere artefice di un cambiamento reale.

Consapevole che il cammino sarà lungo e certamente non sarà semplice, ma considerato che ci stiamo avvicinando alla spumeggiante e festaiola serata di capodanno, vi lascio con un classico di S. Silvestro

martedì 18 dicembre 2012

Coordinamento Precari Unipi – Il Coordinamento scrive alle RSU dell’Università di Pisa


Siamo un gruppo di precari dell’Università di Pisa che hanno avvertito la necessità di riunirsi per comprendere meglio la situazione del precariato nell’Ateneo e, soprattutto, per rendere evidente, di fronte alla cecità degli organi che lo governano, la nostra presenza che, sebbene ingombrante, sembra di fatto inesistente: ne è un chiaro sintomo il non aver ancora proceduta all’elaborazione di un piano di programmazione triennale per il reclutamento del personale docente e tecnico-amministrativo.

In occasione della seduta del Consiglio di Amministrazione di novembre(1), durante la quale sono state approvate nuove assunzioni e nuovi bandi di concorso, abbiamo inviato al rappresentante del personale tecnico-amministrativo, un comunicato, firmato dal Coordinamento Precari Unipi, in cui dichiaravamo la nostra presenza e chiedevamo al Consiglio di esprimere, in maniera chiara, in che modo intendesse agire nei confronti dei lavori precari dell’Ateneo. Sebbene abbiamo avuto conferma il nostro comunicato fosse stato ricevuto correttamente e che fossero stati forniti i recapiti a cui fare riferimento , non abbiamo ricevuto nessuna risposta in proposito, nessuna richiesta di spiegazioni o di chiarimenti. Ammettiamo che la completa mancanza di considerazione ci ha molto rammaricati: se già è preoccupante e dannoso essere ignorati dalle alte cariche e dai dirigenti dell’Università di Pisa, ancora di più è essere ignorati da chi dovrebbe portare alla luce le gravi problematiche del personale tecnico-amministrativo.

Si potrebbe obbiettare che i rappresentanti del personale non sono stati eletti dal personale a tempo a tempo determinato, ma, come ben sanno i rappresentanti della Flc Cgil che si sono impegnati per estendere il diritto di voto anche al personale precario, il personale a tempo determinato non ha accesso al voto e, quando ce l’ha, i requisiti sono ristretti in maniera tale che ben pochi riescono a rientrare nelle liste elettorali.

Pensiamo che in questo critico periodo di crisi del mercato del lavoro e alla luce delle riforme stanno modificando profondamente l’assetto organizzativo e gestionale delle università, di fronte ad una riorganizzazione delle strutture dipartimentali che rischia di diventare un espediente per procedere a facili assunzioni ed eliminare i precari “scomodi”, i rappresentanti delle RSU debbano considerare prioritario il problema del precariato nell’Università di Pisa, impegnandosi per evitare il dilagare delle situazioni di precarietà, il proliferare delle graduatorie e di concorsi ad personam.

In merito ai bandi di concorso approvati nella seduta del Consiglio di Amministrazione del 26 novembre scorso, chiediamo alle RSU di impegnarsi affinché le selezioni abbiamo dei requisiti che permettano un’ampia partecipazione e che siano considerati titoli valutabili le esperienze e i contratti  (non solo a tempo determinato, ma anche altre forme di collaborazione molto in auge nell’università come  le co.co.co.) maturati nell’ambito dell’Università di Pisa.

Come Coordinamento Precari Unipi offriamo la totale collaborazione e chiediamo un incontro, possibilmente entro la fine di dicembre, con il gruppo di lavoro sul precariato delle RSU per discutere delle tematiche comuni su cui lavorare e sull’interazione fra il nostro Coordinamento, le vostre rappresentanza sindacali e gli organi dell’ateneo.

Certi della vostra attenzione,

Coordinamento Precari Unipi

(1) Nella seduta del 26 novembre 2012, il Consiglio di amministrazione, ha deliberato quando segue:

E’ approvata la programmazione di personale tecnico-amministrativo di cui alle premesse, e in particolare  il Direttore Amministrativo è autorizzato:
1)       alla sottoscrizione di n. 9 contratti a tempo indeterminato, e precisamente:
n . 2 unità di categoria D, Area tecnica, tecnico-scientifica ed elaborazione dati per le esigenze dell’Area Edilizia e dell’Ufficio Sicurezza e ambiente;
n. 4 unità di categoria C, Area tecnica, tecnico-scientifica ed elaborazione dati per le esigenze della Direzione informatica telecomunicazione e fonia – ICT;
n. 2 unità di categoria D, Area tecnica, tecnico-scientifica ed elaborazione dati per le esigenze dell’Ufficio Stampa e comunicazione;
n. 1 unità di categoria D,  Area tecnica, tecnico-scientifica ed elaborazione dati per le esigenze della Direzione informatica telecomunicazione e fonia – ICT;
la cui spesa complessiva ammonta a  € 230.873,31 del bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2013, che sarà approvato con successiva delibera.

2)      all’emanazione di n. 5 bandi per la copertura di posti di personale tecnico-amministrativo a tempo indeterminato, e precisamente:                                                                                                                                                      

n. 1 unità di categoria C, Area tecnica, tecnico-scientifica ed elaborazione dati per le esigenze del Sistema Informatico Dipartimentale;
n. 1 unità di categoria C, Area tecnica, tecnico-scientifica ed elaborazione dati per le esigenze della Direzione informatica telecomunicazione e fonia – ICT;
n. 1 unità di categoria C, Area amministrativa per le esigenze della Direzione Ricerca e Internazionalizzazione;
n. 1 unità di categoria D, Area Amministrativa-gestionale per le esigenze della Direzione Ricerca e Internazionalizzazione;
n. 1 unità di categoria C, Area tecnica, tecnico scientifica ed elaborazione dati per le esigenze rappresentate dal Sistema Museale di Ateneo;

3)      all’emanazione di un bando per l’assunzione di un dirigente a tempo indeterminato per le esigenze della Direzione informatica telecomunicazione e fonia – ICT.

Resta inteso che sia l’attivazione dei contratti a tempo indeterminato per le assunzioni di personale tecnico amministrativo sia l’emanazione dei bandi a tempo indeterminato disposte ai punti precedenti sono subordinate all’esito delle procedure previste dal decreto legislativo 165/2001.

Resta altresì inteso che entro il 31 dicembre 2012 si procederà alle assunzioni a tempo indeterminato di personale già autorizzate con delibera del Consiglio di Amministrazione del 13 settembre 2012, e precisamente:
n. 1 collaboratore ed esperto linguistico di lingua spagnola per le esigenze del Centro Linguistico;
n. 1 unità cat. B3, Area servizi generali e tecnici per le esigenze della Direzione informatica telecomunicazione e fonia – ICT, in particolare di fonia;
n. 1 unità cat. C, Area tecnica, tecnico-scientifica ed elaborazione dati per le esigenze della Direzione informatica telecomunicazione e fonia – ICT, in particolare di fonia;
n. 2 unità cat. D, Area tecnica, tecnico-scientifica ed elaborazione dati per le esigenze della Direzione informatica telecomunicazione e fonia – ICT, in particolare informatiche;
n. 1 unità cat. D, Area tecnica, tecnico-scientifica ed elaborazione dati per le esigenze dell’Ufficio Stampa e comunicazione;
n. 1 unità cat. D Area tecnica, tecnico-scientifica ed elaborazione dati per le esigenze della dell’Ufficio Sicurezza e ambiente;
n. 1 unità cat. D Area tecnica, tecnico-scientifica ed elaborazione dati per le esigenze della Direzione Edilizia;
n. 4 unità cat. EP Area amministrativa-gestionale, per le esigenze delle strutture universitarie onde completare l’assetto organizzativo in attuazione della riforma statutaria.

A ciò va aggiunto che, con delibera n. 264 del 31 ottobre 2012, in CdA ha deciso che, per gli anni 2012, 2013 e 2014 l’Università di Pisa non eserciterà la facoltà di risoluzione dei rapporti di lavoro prevista dall’art. 72, comma 11, della legge n. 133 del 2008.

Coordinamento Precari Unipi - L'UE bacchetta l'Italia per l'abuso dei contratti precari


La Commissione Europea ha avviato una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia contro l’abuso dei contratti a tempo determinato. Tale procedura si è resa necessaria a seguito delle numerosissime vertenze avviate in tutta Italia anche dalla FLC CGIL contro la reiterazione dei contratti a tempo determinato, fattispecie questa, che si presenta in modo frequentissimo nei comparti della conoscenza in specie tra il personale della scuola dove docenti e personale Ata vengono assunti ad ogni inizio anno e licenziati al termine delle lezioni.

Continua a leggere sul sito del Flc Cgil:  http://www.flcgil.it/attualita/estero/precari-la-ue-avvia-una-procedura-di-infrazione-contro-l-italia.flc

martedì 13 novembre 2012

Il manuale del giovane precario - L’insostenibile leggerezza del curriculum vitae


Proprio quando finalmente decido di buttarmi, leggiadra e senza paura, nella danza della ricerca di un’occupazione tra i siti dedicati alla ricerca o all’offerta di lavoro on-line, su miojob.repubblica.it leggo che dal mercato degli annunci di lavoro sul web arrivano pochissimi riscontri positivi e che a settembre le ricerche di personale su Internet sono state inferiori al due per cento rispetto allo stesso mese dello scorso anno.
Ormai, però, mi sono lanciata e decido di portare avanti il mio piano d’azione contro il precariato ed inizio a creami un account su alcuni dei siti dedicati al lavoro.

Dove aver consultato svariati forum e andando un po’ a simpatia, decido di iscrivermi a: miojob.repubblica.it del quotidiano La Repubblica; trovalavoro.it del Corriere della sera; www.monster.it; www.cliclavoro.gov.it il portale per il lavoro del Ministero del Lavoro e delle Politiche del Lavoro; www.borsalavoro.toscana.it della Regione Toscana; www.infojobs.it; www.lavoro.org.

La maggior parte dei siti prevedono la compilazione di un profilo, che in alcuni casi può essere collegato a quello di Facebook, e la pubblicazione di un curriculum vitae ricercabile dalle aziende. Niente di particolarmente complicato: bisogna parlare di sé, della propria formazione e delle precedenti esperienze lavorative. E allora perché non riesco a concludere la compilazione di un profilo come si rispetti o, almeno, come spiegano le cortesi e puntuali indicazioni fornite dagli espertoni dei vari siti? Sarà quel pulsantino, in fondo a destra della pagina, con indicato “carica il tuo CV” e quella miriade di informazioni, consigli e dritte ammiccanti che circondano la pagina e che, promulgando una competenza e un’affidabilità che a me mette solo ansia, cercano di inculcarci nella testa l’importanza fatale di quello che scriviamo?

Tanto per fare qualche esempio, Monster.it insegna: “Tutto comincia dal Curriculum Vitae: la ricerca di un lavoro, la speranza di essere chiamati per un colloquio. (…). Il CV risponde alla domanda: - Perché l’azienda dovrebbe investire il suo tempo e il suo denaro su di me?-“. “La presentazione del proprio Curriculum Vitae è la prima impressione, quella su cui puntare tutto: dimostrare di essere candidati ideali è difficile, ma non impossibile”. “La parola chiave è differenziazione. Ma come uscire dalla massa di CV che arrivano numerosi ogni giorno nelle caselle di posta elettronica o sulle scrivanie di selezionatori e responsabili delle risorse umane?”. Dal motore di ricerca dal Corriere della Sera: “Per scrivere un buon curriculum, cioè che possa davvero interessare chi lo legge, non bisogna commettere l’errore (davvero comune) di descrivere una storia piatta e generica, validi per tutte le occasioni. (…) E’ bene ricordare che la propria storia professionale non ha un valore assoluto, ma di volta in volta quello che il nostro interlocutore le attribuisce, rispetto alle specifiche esigenze di copertura del determinato ruolo”. Invece sul sito della Regione Toscana, che parla addirittura di “arte di scrivere il CV”, leggo: “un CV non deve essere scritto pensando ad un lavoro in particolare ma deve potere essere utilizzato in diverse circostanze. Così sarò possibile concorrere per 10 differenti lavori in un solo giorno poiché andrà compilata solo la lettera di accompagnamento che dovrà essere di poche sintetiche righe.”

Invece di chiarirmi le idee, questi consigli fanno scaturire in me un fiume di domande dal tono decisamente polemico e tendenzioso: ma perché devo dimostrare di essere un “candidato ideale”? Uscire dalla massa? Ma di che massa stiamo parlando? Della moltitudine di precari e disoccupati risultato di scelte politiche condivise che scaricano il peso della crisi sulle classi medio-basse e che continuano a ripeterci che dobbiamo adattarci e accettare i sacrifici? Concorrere per 10 differenti lavori in un solo giorno? E’ vero che ormai trovare un lavoro è come vincere la lotteria, ma allora che dobbiamo fare: comprare più biglietti per aumentare le probabilità?

In un post di qualche mese fa, dopo aver letto un articolo de L’Espresso dal titolo Dammi il tuo curriculum e ti dirò chi sei, avevo già raccontato le mie perplessità nei confronti dei suggerimenti che, come formule magiche, vogliono far credere di avere la chiave per uscire dallo stallo della disoccupazione, della precarietà e avevo concluso con la considerazione che non sarei stata capace di scrivere un curriculum vitae interessante. Oggi mi rivaluto e mi dico che forse la mia incapacità di redigere un CV che mi soddisfi è il riflesso di un rifiuto a scendere a patti con un sistema di reclutamento che trovo arbitrario e frivolo. Non credo che sperare di trovare un lavoro sbattendo le proprie capacità e competenze sulle vetrine dei siti che si occupano di lavoro possa offrire dei risultati concreti e soddisfacenti. Per esperienza diretta e per la situazione che sto vivendo in questo periodo, penso che un passo fondamentale per una riforma del lavoro rivolta a diminuire il precariato e la disoccupazione, sia quello di creare dei veri e proprio momenti di incontro tra richiesta e offerta di lavoro, valorizzando in toto l’esperienza e la formazione dei candidati, dando la possibilità, anche a chi a colpo d’occhio non sembra il candidato ideale, di dimostrare le proprie capacità di apprendimento e di interazione. Non si tratta di buttare là degli slogan per far prediligere un detersivo a un altro fra la miriade di prodotti che troviamo su uno scaffale del supermercato: si tratta di esistenze, carriere ed anni di impegno nello studio che hanno diritto ad una vita dignitosa.




giovedì 11 ottobre 2012

Il manuale del giovane precario - L’indennità di disoccupazione ordinaria



Alla conclusione dell’ennesimo contratto a termine, il primo passo che il giovane, o anche meno giovane, precario deve fare è, ovviamente, quello di chiedere la disoccupazione: nel mio caso, impiegata amministrativa in un ente pubblico per un periodo superiore a sei mesi, si tratta di indennità ordinaria di disoccupazione.
La domanda deve essere presentata, entro 68 giorni dalla data di cessazione del rapporto, direttamente all’Inps competente a seconda del luogo in cui si risiede oppure on-line attraverso il sito dell’Inps.

A CHI SPETTA. L’indennità di disoccupazione spetta a tutti i lavoratori subordinati, senza distinzione di qualifica, compresi i lavoratori a domicili e gli stranieri extracomunitari
Il lavoratore per avere il diritto all’indennità deve essere in possesso dei seguenti requisiti:
- almeno 52 settimane di contribuzione nei due anni che precedono la data di cessazione del rapporto di lavoro;
- almeno 2 anni di assicurazione per la disoccupazione involontaria, vale a dire almeno un contributo settimanale versato prima del bienni precedente la domanda;
- dichiarazione, effettuata presso il Centro per l’Impiego competente, di disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa.
QUANTO SPETTA. Per l’indennità di disoccupazione ordinaria spetta:
- per i primi 6 mesi, il 60% dello stipendio percepito nei tre mesi precedenti la fine del rapporto di lavoro;
- per il settimo mese, il 50% dello stipendio percepito nei tre mesi precedenti la fine del rapporto di lavoro;
- per i mesi successivi, il 40% dello stipendio percepito nei tre mesi precedenti la fine del rapporto di lavoro.
PER QUANTO TEMPO. Dal 1° gennaio 2008, l’indennità di disoccupazione viene corrisposta per un periodo di 8 mesi.


La prima cosa da fare è iscriversi al Centro per l’Impiego della vostra città. Iscriversi è molto semplice: è sufficiente recarsi agli uffici competenti con un documento d’identità. Qualcuno mi ha detto che ha dovuto portare anche una copia del contratto di lavoro: a me non è servito, l’addetto del Centro per l’Impiego a consultato il data-base delle Comunicazioni Obbligatorie ed ha potuto verificare tutti i mie dati. E’, comunque, meglio essere previdenti e portare con sé anche una copia del contratto.
Al Centro per l’Impiego, oltre ad una copia della dichiarazione dello stato di disoccupazione, vi prenoteranno anche un appuntamento per un colloquio di orientamento, che solitamente è due mesi dopo l’iscrizione al Centro per l’Impiego. Sebbene nutra parecchi dubbi sull’utilità del colloquio per la ricerca di una nuova occupazione, il colloquio è fondamentale per continuare a percepire l’indennità di disoccupazione.

Dopo l’iscrizione al Centro per l’Impiego è possibile procedere alla richiesta dell’indennità di disoccupazione.
Io ho scelto la procedura on-line: è un sistema abbastanza veloce e, almeno per quanto mi riguarda, efficace.
Per la procedura on-line è necessario accedere al sito dell’Inps e chiedere il rilascio di un PIN. Nella form per il rilascio del PIN, sono richiesti una serie di recapiti personali (indirizzo di domicilio, numero di telefono, indirizzo e-mail, etc…) a cui verranno inviati i dati per attivarlo e per accedere al modulo per la richiesta d’indennità di disoccupazione.

Per la richiesta d’indennità di disoccupazione, è richiesta l’attivazione di un ulteriore PIN, detto “PIN DISPOSITIVO”, che garantisce maggiore sicurezza nella gestione dei vostri dati: tra i dati per la richiesta dell’indennità, vanno inserite anche le indicazioni per il pagamento e quindi anche il codice IBAN. Per chiedere il PIN DISPOSITIVO è sufficiente accedere al sito dell’Inps e cliccare sull’opzione “converti PIN”. Alla conclusione della procedura dovrete stampare e firmare un documento che potrete consegnare direttamente agli sportelli  dell’Inps, inviarlo via fax e spedirlo per e-mail in formato pdf. Io ho ricevuto un sms, al numero di cellulare che ho inserito nella domanda d’indennità di disoccupazione, in cui era indicato il numero di fax a cui inviare la richiesta di attivazione di PIN DISPOSITIVO, così ho scelto di spedire tutto via fax al recapito che mi era stato indicato.

Ho inviato tutta la documentazione che mi è stata richiesta nel messaggio sul cellulare ieri pomeriggio e stamani ho ricevuto una mail che mi informava che il mio PIN DISPOSITIVO è stata attivato.

Con l’attivazione del PIN DISPOSITVO ho concluso la procedura e, almeno secondo quanto indicato sul sito dell’Inps, devo attendere che la mia richiesta venga elaborata.

Ora non mi resta che attendere il pagamento! A quel punto, bevuta virtuale per tutti!

martedì 28 agosto 2012

Precari tedeschi e bugiardi italiani

In questi ultimi mesi l’opinione pubblica italiana è stata sobillata con cura dai mass media e da troppi politici nel vano tentativo di creare un capro espiatorio a cui addossare le colpe di un debito sovrano di circa duemila miliardi di euro: la Germania capitanata da Angela Merkel. Come se non bastasse aver dato della culona all’algida cancelliera, l’ultimo grido della stampa italiana intende farci credere che i precari tedeschi siano al pari di quelli italiani o, ancora peggio, che la più solida economia della zona euro, per sostenersi, propini la stessa cura ai suoi contribuenti: la nauseabonda flessibilità.

Capisco che sia più facile prendersela con la Germania, rea di frenare la BCE nell’acquisto del nostro debito – e quindi spalmarlo sull’Euro come fosse Nutella sul pane – attraverso i titoli di stato o nella creazione degli Euro Bond, invece che ammettere l’incapacità gestionale dei governi che si sono succeduti (c’è chi ne ha riso di gusto) negli ultimi decenni ma sarebbe quantomeno onesto sottolineare le differenze assieme alle affinità.

Da dove cominciare? Dagli stipendi. Un recente articolo de Il Fatto ha calcolato oltre mille euro di scarto tra un operaio tedesco ed uno italiano ma anche in Grecia ed a Cipro si guadagna meglio che in Italia.  Si legge ancora:

Vediamo un po’ più nel dettaglio il caso tedesco. Jurgen parte da una paga base di poco superiore a 3 mila euro e con alcune ore di straordinario notturno arriva a superare un compenso mensile lordo di 3. 700 euro. Le trattenute previdenziali e assicurative sfiorano i 700 euro, di cui 336 per la pensione e 267 euro di cassa malattia. Se si considera che l’imponibile ammonta a 3. 380 euro circa, i contributi pesano per il 20 per cento circa. Marta invece paga circa 170 euro per la pensione. Poi però ci sono circa 18 euro per il fondo previdenziale integrativo e altri 16 euro sono destinati all’assicurazione sanitaria supplementare. Alla fine questi contributi assorbono l’ 11 per cento di un imponibile pari a circa 1. 800 euro, contro il 20 per cento di Jurgen. Poi ci sono le tasse, che pesano sullo stipendio per meno del 10 per cento (9,89 per cento) nel caso dell’operaio Vw. Le ritenute fiscali della dipendente Fiat, al netto delle detrazioni, valgono invece il 13 per cento circa dell’imponibile. Morale: per Marta meno stipendio e più tasse. Peggio ancora: anche se le imposte sono maggiori, l’operaia italiana riceve servizi meno efficienti rispetto al collega di Wolfsburg.


Servizi. Il Welfare State tedesco è uno dei più funzionali del mondo, dal 2005 è in vigore l’ Hartz IV: una volta perso il posto di lavoro, il disoccupato può contare sul 70 per cento dell’ultimo stipendio per 18 mesi, o per due anni se si hanno almeno 58 anni d’età. Superato questo periodo lo stato tedesco oltre alla copertura dei costi dell’affitto e del riscaldamento, sostiene il contribuente con una base fissa di 359 euro a patto che si dimostri di essere alla ricerca di una nuova occupazione. Per agevolare la formazione del futuro professionista, assieme al sussidio di disoccupazione, è previsto il rimborso dei corsi  che intende frequentare per aumentare il bagaglio delle proprie competenze e per coloro che, da disoccupati, aprono partita Iva il sussidio è prorogato nei termini in modo da coprire parte delle spese d’impresa iniziali. Ancora, è garantito un assegno familiare di 215 euro per ogni figlio sino ai 6 anni, uno da 251 euro per un bambino dai 6 ai 14 anni e da 287 euro per figli dai 14 ai 18 anni.

Se assieme a queste notevoli differenze aggiungiamo il modello di concertazione della Volkswagen tra proprietà e sindacati capiamo come mai la disoccupazione giovanile tedesca sia al 7% contro il 31 % di quella italiana.

Davvero i precari italiani sono uguali a quelli tedeschi?

Francesco C.


La Merkel offrirà suggerimenti sui precari a Monti?

domenica 12 agosto 2012

Come un paese rinuncia al proprio futuro. La “flessibilità immaginaria” italiana

Uno dei più celebri inganni della storia recente del nostro paese è rappresentato dall’introduzione della cosiddetta “flessibilità” nel mercato del lavoro. Presentata a più riprese come la panacea di tutti i mali, essa ha rivelato il suo vero volto ben prima dello scoppio della grande crisi che stiamo vivendo. Fin da subito è stato chiaro che quel “modello flessibile”, trapiantato su di un organismo non pronto per riceverlo, avrebbe finito per trasformarsi in qualcosa di ben diverso da quanto promesso dai suoi più ferventi sostenitori. Ma la metamorfosi quasi immediata del “sogno” della flessibilità nell’”incubo” della precarietà non è soltanto il risultato di un’ingenua fiducia riposta in un esperimento fallito. Infatti se è vero che, come una creatura evocata da maldestri stregoni, tale modello è sfuggito al controllo della politica e si è sviluppato autonomamente lungo un percorso opposto a quello per cui era stato introdotto, la malafede e l’indifferenza di molti attori economici hanno consentito e sostenuto tale deriva. La politica ha certamente colpe enormi; prima fra tutte quella di non aver preparato il terreno creando un sistema di tutele ad hoc per le nuove categorie di lavoratori che si andavano ad introdurre nella legislazione del lavoro. A distanza di un quindicennio dalla comparsa in Italia di forme di lavoro flessibili ancora non si è giunti a predisporre misure adeguate di sicurezza sociale a difesa di tali lavoratori, vittime di una delle più vergognose discriminazioni collettive nella storia della repubblica. Oltre a ciò gli interventi legislativi non hanno operato un’azione coerente con la logica alla base dell’introduzione della flessibilità. Infatti tale logica si basava sulla convinzione che le nuove forme contrattuali avrebbero dovuto favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro e un accesso nel mondo lavorativo più rapido per i giovani, consentendo alle imprese una maggiore libertà e incisività durante il processo selettivo per il reclutamento del personale. Ma l’inerzia della politica nel fissare regole precise in questa direzione ha consentito che tali nuovi contratti finissero di fatto per regolare non solo il momento, più o meno lungo, di reclutamento, formazione e inserimento del lavoratore in azienda ma persino il rapporto stesso di lavoro a lungo termine. In questo modo si è resa possibile la “bestialità” per la quale è conveniente regolare rapporti di lavoro di lungo periodo attraverso una serie infinita di contratti a tempo determinato. Ecco dunque che scopriamo il grande complice della politica e corresponsabile: il mondo imprenditoriale. Con un uso scellerato dei contratti atipici e a tempo determinato buona parte dei datori di lavoro ha contribuito con la politica a distruggere il vecchio mondo del lavoro senza costruirne uno nuovo. Invece di modernizzare e rendere più efficiente il sistema lavorativo italiano, tali interventi hanno finito per scardinalo sostituendo ad esso un mercato del lavoro selvaggio e irrazionale. Tale occasione perduta non solo ha avuto conseguenze nefaste per operai e impiegati ma ha assestato un colpo durissimo alla qualità delle performance delle imprese stesse. Infatti molti pseudo imprenditori hanno vanificato l’aspetto formativo alla base alcune tipologie contrattuali sfruttando per esempio contratti di apprendistato e formazione per mascherare semplici rapporti di dipendenza. In più tale sistema mortificante ha privato il paese e le proprie imprese di un numero enorme di competenze ed eccellenze costrette a prendere la via dell’estero. Queste conseguenze dimostrano nuovamente la malafede di un sistema sorto per affrontare le sfide della globalizzazione e di quel mantra che ha risuonato per buona parte degli anni Novanta e Duemila: “fare concorrenza alla Cina”. Ma rinunciando alla qualità di una forza lavoro preparata e specializzata, motivata dall’essere parte integrante di un progetto industriale coerente e a lungo termine, quale resistenza avrebbe mai potuto opporre il nostro paese? Ecco che la vera faccia della “flessibilità immaginaria” italiana ha preso la propria vera forma. Sotto il ricatto di una delocalizzazione selvaggia, essa ha coperto un’operazione di smantellamento dei diritti dei nuovi lavoratori che non ha comportato peraltro alcuna compensazione dal punto di vista occupazionale e salariale. In questo modo quelle stesse imprese che avevano già delocalizzato nei paesi emergenti gran parte dei cicli produttivi a manodopera scarsamente specializzata hanno potuto ottenere in Italia un abbassamento dei costi senza che ciò si traducesse in maggior qualità della produzione e tantomeno dell’occupazione. Le nuove generazioni di lavoratori sono divenute così, in un batter di ciglia, “precarie”, senza che coloro i quali avrebbero dovuto battersi per invertire la rotta, forse perché troppo occupati a garantire gli interessi di statali e pensionati, serbatoi enormi di consenso politico e tessere sindacali, si interessassero minimamente alla piega drammatica che stava prendendo la vita di tante persone.

Ma il rovescio della medaglia ha fatto sì che la precarietà nel lavoro comportasse la precarizzazione dell’esistenza stessa di milioni di giovani. Quella stabilità che aveva consentito alle precedenti generazioni di costruire il proprio benessere e con esso la forza e la solidità del paese è venuta definitivamente meno. Ma la crisi che stiamo vivendo ha mostrato l’importanza vitale di quel sistema sociale ed economico. Pensioni, risparmi, case di proprietà, solidi rapporti familiari e sociali hanno rappresentato e rappresentano le uniche reali reti di sostegno per i cittadini italiani e per lo Stato stesso nel mezzo della tempesta devastante che ci ha investiti. Ma crediamo che le “generazioni precarie” saranno in grado di garantire alle prossime e al paese altrettanto solide basi capaci di far superare i momenti più difficili? Come potranno avere una pensione ragazzi che oggi sopravvivono grazie a quella dei genitori o peggio ancora, dei nonni? Chi potrà risparmiare e immettere così nuove risorse nel circuito del credito guadagnando meno di mille euro al mese? Come potranno le nuove generazioni creare nuove reti di sostegno familiare se avere un figlio è diventato un lusso che in troppi non possono permettersi? Quale contributo potranno conferire generazioni tanto impoverite alle necessità finanziarie del paese dalle quali dipendono i servizi essenziali?  Queste sono semplici domande che mettono in luce il rapporto tra la precarizzazione e il futuro del paese. Ecco perché non è più possibile andare avanti lungo questo insensato percorso. Certamente le difficoltà economiche oggi rendono ancor più difficile un’inversione di marcia in un momento in cui la disoccupazione gonfia le proprie fila e un mercato del lavoro da incubo crea di continuo nuove povertà facendo quasi dei precari una categoria “privilegiata” rispetto a un “sottoprecariato” che vive alla giornata. Ma proprio per questo è ancor più importante rilanciare il lavoro quale fattore fondante della vita di ogni persona. La flessibilità può rappresentare un’opportunità per l’ingresso nel mondo del lavoro e occasione per una efficiente selezione e formazione da parte delle imprese ma deve essere ricondotta alla funzione di “mezzo”. In troppi e per troppo tempo hanno sparato sentenze contro il posto fisso glorificando le magie della “flessibilità immaginaria” assurta a “fine” ultimo del lavoro. Personaggi politici, economisti e altri che non hanno mai cambiato lavoro nella propria vita hanno tentato per anni di convincere i giovani che in fondo non avere alcuna certezza sulla quale fondare la propria vita fosse una bella cosa. Con le tasche piene di stipendi sicuri quanto le loro pensioni, questi illusionisti, “condannati” per loro sfortuna a una vita “noiosa” fatta di sicurezza economica e sociale, hanno mascherato il fallimento della flessibilità, magari attribuendone parte della responsabilità alla pavidità di molti giovani troppo “bamboccioni”. La flessibilità/precarietà degli ultimi due decenni ha fallito miseramente e ha privato il paese di anticorpi preziosi contro le crisi. Il sacrificio di milioni di giovani non ha portato alcun risultato se non quello di costringere intere generazioni a mettere la propria esistenza in stand-by. Queste generazioni chiedono di poter finalmente vivere ciò che per chi li ha preceduti era semplice normalità; convivere o sposarsi, acquistare una casa o permettersi un affitto, mettere al mondo dei figli. Proprio nel mezzo della crisi è fondamentale ribadire che il lavoro fisso è una conquista e per ogni lavoratore deve esistere il diritto naturale a tendere ad esso. Ciò è importante perché oggi si imposti un nuovo modello di sviluppo fondato sulla centralità del lavoro che servirà una volta che la tempesta sarà passata e dovremo ricostruire sopra le macerie che si sarà lasciata alle spalle. Questo non significa tornare agli anni Settanta ma ammettere che tra le variabili dei cicli produttivi, quella della durata indeterminata dei contratti dei dipendenti non rappresenta un freno alla competitività ma semmai un incentivo a creare ricchezza e stimolare nuovi e più maturi consumi. Significa finirla col falso garantismo che impone di reintegrare chi è stato giustamente licenziato (magari perché sorpreso a rubare) e tutelare dal doveroso licenziamento assenteisti e truffatori ma garantire invece i diritti del lavoro per tutti, come ad esempio quello di ogni donna ad avere un figlio senza rischiare di perdere il posto, senza l’odiosa distinzione tra lavoratori di serie A e di serie C degli ultimi decenni. Significa intervenire su ciò che realmente rende l’Italia un’economia poco competitiva e poco appetita dagli investitori. Rendere la giustizia più rapida ed efficiente, eliminare il peso soffocante della burocrazia, della corruzione e delle organizzazioni mafiose, rilanciare le produzioni ad alta intensità di tecnologia attraverso un nuovo e poderoso impulso a ricerca e formazione sono cose più difficili che inventare nuove tipologie di contratti lavorativi ridicoli ma sarebbero di gran lunga più incisive e vincenti. In conclusione significa impegnarsi a restituire ciò di cui le ultime generazioni sono state private e che rappresenta il bene più prezioso per ogni paese: la fiducia nel futuro. Solo se restituirà ai propri giovani la speranza, cancellando dai loro cuori e dalle loro menti la paura immensa e innaturale alla quale li ha condannati negli ultimi decenni, il nostro paese potrà riprendere il proprio cammino verso un futuro migliore.      

Alessio Manfroni - laureato in Politiche e Relazioni Internazionali, precario e blogger    




 
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