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venerdì 2 agosto 2013

I doveri di un precario. Lo ammetto: ho inviato la mia candidatura a IKEA!

Ci siamo, anche a Pisa sbarca l’inarrestabile colosso IKEA. Un nuovo mastodontico store di quasi 34.000 mq che, per prima cosa, più che ispirare all’acquisto di divani, cucine e librerie a basso costo, fa pensare a nuovi posti di lavoro.
So che suona decisamente snob ma io l’ho sempre odiata IKEA! Odio quell’odore di compensato misto a colla che aleggia nei negozi e che, dopo dieci minuti di entusiasmo all’idea di un colorato shopping a basso costo, mi penetra nel cervello e mi fa venire la nausea. Mi innervosisco a montare quelle cavolo di librerie Billy che tutti mi dicono essere un gioco da ragazzi e che per me vuole dire impazzire per una giornata intera per ritrovarmi con la casa piena di trucioli, viti dall’aspetto enigmatico e tavolette  di legno sfasate. E odio quei prelibati biscotti svedesi, concentrato di burro e zucchero, che tutti non possono fare a meno di comprare e per il mio intestino intollerante al glutine rappresentano una vera e propria bomba atomica!
Ma, da precaria, porto costantemente dentro di me quel maledetto senso del dovere per cui rinunciare a sfruttare un’opportunità lavorativa che possa prevedere un contratto a tempo indeterminato provocherebbe un senso di colpa decisamente più intollerante del glutine!
Metto da parte tutta la mia ritrosia e il mio snobismo, accedo alla sezione “Lavora con noi” del sito www.ikea.com dove si spiega subito che candidarsi a lavorare per IKEA è semplicissimo:

1: Usa il nostro motore di ricerca per trovare il lavoro adatto a te.2: Inviaci il tuo CV, contenente tutte le informazioni più rilevanti, con una lettera di accompagnamento.3: Ti invieremo una notifica quando riceveremo la tua domanda e ti terremo aggiornato.

E’ facilissimo? Che problema c’è?

Quindi: primo passo, capire qual è il lavoro più adatto a me. Leggo le parole di Magnus Anderson - ma vuoi mettere lavorare per uno che si chiama Magnus? -, store manager IKEA Pisa:

“Abbiamo bisogno di persone schiette ed oneste che, come noi, abbiano la passione per l’arredamento e per i clienti, e che ci aiutino a diventare leader nel vivere la casa cogliendo la sfida di creare un nuovo punto vendita. Vogliamo persone che amino lavorare in gruppo per un obiettivo comune, che non abbiano paura di assumersi responsabilità , anche sbagliando, e che non smettano mai di chiedersi il “perché” delle cose. Abbiamo bisogno del contributo di persone flessibili e disponibili a lavorare quando il nostro cliente ha bisogno di noi e che siano ambasciatori dei valori e della cultura IKEA.”
Schietta, onesta, a cui piace lavorare in gruppo, disposta ad assumermi le mie responsabilità: fino ci qui, ci sono! Che non smettano di chiedersi il “perché delle cose”: questo mi capita un milione di volte al giorno … soprattutto se penso a nomi dei mobili IKEA! Persone flessibili e disponibili: queste richieste mi rendono sempre terribilmente sospettosa e contrariata. ”Che siano ambasciatori dei valori e della cultura IKEA”. Della cultura IKEA? Ma cos è la cultura IKEA? Vabbè, preferisco glissare, almeno per questa volta, e non chiedermi perché, convincermi che sono proprio un ignorante e che è un problema mio se, nel 2013, ancora non conosco la cultura IKEA!

Per documentarmi leggo la sezione dedicata ai valori dell’azienda: Umiltà e forza di volontà; Leadership attraverso il buon esempio; Avere il coraggio di essere differenti; Collaborazione ed entusiasmo; Attenzione ai costi; Desiderio continuo di rinnovamento; Assumersi e delegare le responsabilità.
Allora, o vomito o la pianto di fare le manfrine e invio questo maledetto curriculum vitae!
Bene, faccio mia la frase “Incoraggiamo i collaboratori a sfruttare il proprio potenziale e a superare le aspettative. Bisogna anche essere capaci di imparare dai propri errori” e invio la mia candidatura. Ora non mi resta che aspettare la notifica e tutte le informazioni sul da farsi.


Che dire: vi farò sapere!


domenica 28 aprile 2013

Audentes fortuna iuvat


Sono fortunata. E’ un aggettivo che, in questi ultimi tempi, mi sono sentita attribuire spesso. Sono fortunata perché , sebbene precaria, da qualche anno ho un lavoro. Sono fortunata perché, sebbene precaria, la mia banca mi ha concesso un mutuo con cui ho potuto acquistare un terratetto con un resede e un’entrata indipendente. Sono fortunata perché, sebbene ancora precaria, arrivo a fine mese senza il fiato dei creditori sul collo e mi posso permettere anche qualche vizio. Sono fortunata perché sono sana e le persone a cui voglio bene godono di piena salute. E potrei andare avanti ancora per molto tempo: sono fortunata perché nessun meteorite ha colpito il paese dove vivo. Sono fortunata perché mi piace il latte e, dato che non soffro di colite, ne posso bere quanto mi pare. Sono fortunata perché non ho la cellulite e non soffro di ritenzione idrica. Sono fortunata in amore. Sono fortunata perché non mi chiamo Candy Candy e non sono cresciuta in un orfanotrofio che, come se non bastasse, si chiama “Casa di Pony”.

E quando mi dicono che sono fortunata che faccio? Di solito abbozzo un sorrisetto, annuisco senza fiatare e cambio discorso perché sono stanca di spiegare quanto sia inopportuno, superficiale e sciocco parlare di fortuna e quanto, definirmi tale, dimostri una totale mancanza di rispetto verso quello che faccio, di etica del lavoro e di ignoranza rispetto ai veri problemi che ci impediscono di superare questo momento di stallo.
Avere e trovare un lavoro, anche in un periodo critico come questo, non deve essere mai e poi mai considerato una fortuna. Una fortuna è vincere al gratta e vinci, il lavoro invece è un diritto, è libertà, è la linfa vitale che alimenta il progresso culturale, civile e spirituale degli individui e, di conseguenza, della società. Pensare che avere un lavoro sia una fortuna è un’idea distorta e pericolosa che rappresenta una resa all’irrazionalità, al disimpegno, alla mollezza e che permette, a chi dovrebbe impegnarsi ad elaborare seri e proficui piani di assunzione, qualificazione e valorizzazione del personale, di approfittare della “crisi” abusando delle più svariate forme contrattuali per assumere in maniera arbitraria, sfruttare il personale che non è tutelato da forme contrattuali solide e a tempo indeterminato e far dilagare sempre di più il fenomeno del lavoro precario.

E poi, chi dice che sono fortunata, sa cosa ho fatto per avere questo invidiabile lavoro a tempo determinato? Il liceo scientifico, l’università , il master in comunicazione pubblica e politica, i lavoretti per arrotondare quando ero una studentessa e quelli a cui mi sono dedicata con serietà e impegno e da cui mi sarei aspettata qualcosa di più che un “arrivederci e grazie”. I contratti co.co.co. da 700 euro al mese e da nove ore di lavoro il giorno, senza ferie, malattia e non parliamo della maternità. I tirocini dove il massimo di stipendio che ti potevi aspettare era un contenuto rimborso spese. E dormire cinque ore a notte per partecipare all’ennesimo concorso, ottimizzando al massimo i tempi dedicati a tutte le altre attività della vita quotidiana, non tanto per vincerlo ma per entrare in graduatoria.

Vorrei dire che la prossima volta che qualcuno mi dirà che sono fortunata avrà di che pentirsene ma considerato che non voglio accanirmi con chi avrà la malaugurata sorte di scegliere un termine per me parecchio sfortunato, risponderò con le parole di un sommo poeta: la fortuna aiuta gli audaci.






domenica 21 aprile 2013

Il manuale del giovane precario – Riflessioni in pullman con l’FLC GCIL

Lo scorso 10 aprile ho partecipato al presidio organizzato dall’FLC CGIL di fronte al Miur. Tra gli incontri, gli interventi, le discussioni e i confronti a cui ho avuto modo di assistere e di prendere parte, durante il lungo tragitto in pullman Pisa/Roma e poi Roma/Pisa, ho avuto anche la preziosa occasione di rubare qualche oretta per sonnecchiare e pensare a ruota libera. Considerato il tema della giornata (il precariato, il lavoro, il futuro) è stato inevitabile fare un paragone fra la mia situazione lavorativa di un anno fa e quella odierna.
L’aprile scorso lavoravo in un dipartimento dell’Università di Pisa, avevo un contratto a tempo determinato in scadenza il 30 settembre e vivevo nell’amaramente disattesa speranza che, dopo più di sei anni di serio e valido impegno nel lavoro che svolgevo, il direttore ritenesse un dovere morale farmi un nuovo contratto.

Oggi, grazie alla mia tenacia e alla graduatoria di un concorso di due anni fa, ho un contratto a tempo determinato agli uffici centrali dell’Università di Pisa, continuo a lavorare seriamente e impegnandomi al massimo ma con un’enorme differenza: ho la consapevolezza che il mio impegno non implica obbligatoriamente un rinnovo del contratto, che gli elogi dei dirigenti, per quanto carichi di superlativi e termini appaganti, hanno la stessa consistenza, le serietà e la stucchevolezza dello zucchero filato alle fiere di paese e che per tanti colleghi vale il vecchio proverbio “lontano dagli occhi, lontano dal cuore”.

Ma , soprattutto, pensando all’ingenua fiducia che avevo, alle delusione e al senso di umiliazioni che ho subito, che mi stordivano e mi facevano venire le guance rosse come se fossero stati sonori schiaffi a mano aperta, ai sorrisetti e alle pantomime di circostanza in cui mi si raccontava senza pudore quanto stessero facendo il possibile per farmi riavere il mio posto di lavoro, rifletto su quanto tutte queste angherie abbiano rappresentato un’importante, come direbbe Cliff Robinson alla figlia Vanessa sulla celeberrima scalinata della loro casa di New York, lezione di vita.

Con i piedi ben saldi a terra e arricchita della mia nuova consapevolezza, ho imparato che devo avere più fiducia in me stessa e nelle mie capacità e che chi decide di farti un contratto (ovviamente per i non fortunati che non possono contare su parentele, raccomandazioni o gonne di tailleur conservate nel freezer!) non lo fa per generosità ma perché le tua conoscenze e la tue capacità hanno un valore. Che per tanti colleghi che non incontrerai più, ci saranno altre persone che diventeranno importanti e che, per quello che potranno, ti sosterranno e ti staranno vicine. Sdolcinata? Forse! Ma in certi casi sapere che c’è qualcuno che riconosce quanto vali e che comprende l’ingiustizia che hai subito è qualcosa di inestimabile e corroborante! Ed anche se ora mi sento un po’ come Beatrix Kiddo in procinto di partire verso la dimora del leggendario Hattori Hanzo per mettere in pratica un sanguinario progetto di vendetta, assopita sul pullman in ritorno da Roma e circondata da precari che, come me, tra picchi di entusiasmo e momenti di grande disorientamento, cercano di far valere il proprio diritto ad avere un lavoro e di essere trattati con rispetto, sono soddisfatta di essere delegata per il personale precario dell’Università di Pisa e di aver partecipato a questa giornata: spero fortemente che sia un punto di partenza per una nuova fase di crescita e conquiste, per me e per le persone che non si danno per vinte.

Ko Ni Chi Wa.

Una beatrix Kiddo precaria




martedì 18 dicembre 2012

Coordinamento Precari Unipi – Il Coordinamento scrive alle RSU dell’Università di Pisa


Siamo un gruppo di precari dell’Università di Pisa che hanno avvertito la necessità di riunirsi per comprendere meglio la situazione del precariato nell’Ateneo e, soprattutto, per rendere evidente, di fronte alla cecità degli organi che lo governano, la nostra presenza che, sebbene ingombrante, sembra di fatto inesistente: ne è un chiaro sintomo il non aver ancora proceduta all’elaborazione di un piano di programmazione triennale per il reclutamento del personale docente e tecnico-amministrativo.

In occasione della seduta del Consiglio di Amministrazione di novembre(1), durante la quale sono state approvate nuove assunzioni e nuovi bandi di concorso, abbiamo inviato al rappresentante del personale tecnico-amministrativo, un comunicato, firmato dal Coordinamento Precari Unipi, in cui dichiaravamo la nostra presenza e chiedevamo al Consiglio di esprimere, in maniera chiara, in che modo intendesse agire nei confronti dei lavori precari dell’Ateneo. Sebbene abbiamo avuto conferma il nostro comunicato fosse stato ricevuto correttamente e che fossero stati forniti i recapiti a cui fare riferimento , non abbiamo ricevuto nessuna risposta in proposito, nessuna richiesta di spiegazioni o di chiarimenti. Ammettiamo che la completa mancanza di considerazione ci ha molto rammaricati: se già è preoccupante e dannoso essere ignorati dalle alte cariche e dai dirigenti dell’Università di Pisa, ancora di più è essere ignorati da chi dovrebbe portare alla luce le gravi problematiche del personale tecnico-amministrativo.

Si potrebbe obbiettare che i rappresentanti del personale non sono stati eletti dal personale a tempo a tempo determinato, ma, come ben sanno i rappresentanti della Flc Cgil che si sono impegnati per estendere il diritto di voto anche al personale precario, il personale a tempo determinato non ha accesso al voto e, quando ce l’ha, i requisiti sono ristretti in maniera tale che ben pochi riescono a rientrare nelle liste elettorali.

Pensiamo che in questo critico periodo di crisi del mercato del lavoro e alla luce delle riforme stanno modificando profondamente l’assetto organizzativo e gestionale delle università, di fronte ad una riorganizzazione delle strutture dipartimentali che rischia di diventare un espediente per procedere a facili assunzioni ed eliminare i precari “scomodi”, i rappresentanti delle RSU debbano considerare prioritario il problema del precariato nell’Università di Pisa, impegnandosi per evitare il dilagare delle situazioni di precarietà, il proliferare delle graduatorie e di concorsi ad personam.

In merito ai bandi di concorso approvati nella seduta del Consiglio di Amministrazione del 26 novembre scorso, chiediamo alle RSU di impegnarsi affinché le selezioni abbiamo dei requisiti che permettano un’ampia partecipazione e che siano considerati titoli valutabili le esperienze e i contratti  (non solo a tempo determinato, ma anche altre forme di collaborazione molto in auge nell’università come  le co.co.co.) maturati nell’ambito dell’Università di Pisa.

Come Coordinamento Precari Unipi offriamo la totale collaborazione e chiediamo un incontro, possibilmente entro la fine di dicembre, con il gruppo di lavoro sul precariato delle RSU per discutere delle tematiche comuni su cui lavorare e sull’interazione fra il nostro Coordinamento, le vostre rappresentanza sindacali e gli organi dell’ateneo.

Certi della vostra attenzione,

Coordinamento Precari Unipi

(1) Nella seduta del 26 novembre 2012, il Consiglio di amministrazione, ha deliberato quando segue:

E’ approvata la programmazione di personale tecnico-amministrativo di cui alle premesse, e in particolare  il Direttore Amministrativo è autorizzato:
1)       alla sottoscrizione di n. 9 contratti a tempo indeterminato, e precisamente:
n . 2 unità di categoria D, Area tecnica, tecnico-scientifica ed elaborazione dati per le esigenze dell’Area Edilizia e dell’Ufficio Sicurezza e ambiente;
n. 4 unità di categoria C, Area tecnica, tecnico-scientifica ed elaborazione dati per le esigenze della Direzione informatica telecomunicazione e fonia – ICT;
n. 2 unità di categoria D, Area tecnica, tecnico-scientifica ed elaborazione dati per le esigenze dell’Ufficio Stampa e comunicazione;
n. 1 unità di categoria D,  Area tecnica, tecnico-scientifica ed elaborazione dati per le esigenze della Direzione informatica telecomunicazione e fonia – ICT;
la cui spesa complessiva ammonta a  € 230.873,31 del bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2013, che sarà approvato con successiva delibera.

2)      all’emanazione di n. 5 bandi per la copertura di posti di personale tecnico-amministrativo a tempo indeterminato, e precisamente:                                                                                                                                                      

n. 1 unità di categoria C, Area tecnica, tecnico-scientifica ed elaborazione dati per le esigenze del Sistema Informatico Dipartimentale;
n. 1 unità di categoria C, Area tecnica, tecnico-scientifica ed elaborazione dati per le esigenze della Direzione informatica telecomunicazione e fonia – ICT;
n. 1 unità di categoria C, Area amministrativa per le esigenze della Direzione Ricerca e Internazionalizzazione;
n. 1 unità di categoria D, Area Amministrativa-gestionale per le esigenze della Direzione Ricerca e Internazionalizzazione;
n. 1 unità di categoria C, Area tecnica, tecnico scientifica ed elaborazione dati per le esigenze rappresentate dal Sistema Museale di Ateneo;

3)      all’emanazione di un bando per l’assunzione di un dirigente a tempo indeterminato per le esigenze della Direzione informatica telecomunicazione e fonia – ICT.

Resta inteso che sia l’attivazione dei contratti a tempo indeterminato per le assunzioni di personale tecnico amministrativo sia l’emanazione dei bandi a tempo indeterminato disposte ai punti precedenti sono subordinate all’esito delle procedure previste dal decreto legislativo 165/2001.

Resta altresì inteso che entro il 31 dicembre 2012 si procederà alle assunzioni a tempo indeterminato di personale già autorizzate con delibera del Consiglio di Amministrazione del 13 settembre 2012, e precisamente:
n. 1 collaboratore ed esperto linguistico di lingua spagnola per le esigenze del Centro Linguistico;
n. 1 unità cat. B3, Area servizi generali e tecnici per le esigenze della Direzione informatica telecomunicazione e fonia – ICT, in particolare di fonia;
n. 1 unità cat. C, Area tecnica, tecnico-scientifica ed elaborazione dati per le esigenze della Direzione informatica telecomunicazione e fonia – ICT, in particolare di fonia;
n. 2 unità cat. D, Area tecnica, tecnico-scientifica ed elaborazione dati per le esigenze della Direzione informatica telecomunicazione e fonia – ICT, in particolare informatiche;
n. 1 unità cat. D, Area tecnica, tecnico-scientifica ed elaborazione dati per le esigenze dell’Ufficio Stampa e comunicazione;
n. 1 unità cat. D Area tecnica, tecnico-scientifica ed elaborazione dati per le esigenze della dell’Ufficio Sicurezza e ambiente;
n. 1 unità cat. D Area tecnica, tecnico-scientifica ed elaborazione dati per le esigenze della Direzione Edilizia;
n. 4 unità cat. EP Area amministrativa-gestionale, per le esigenze delle strutture universitarie onde completare l’assetto organizzativo in attuazione della riforma statutaria.

A ciò va aggiunto che, con delibera n. 264 del 31 ottobre 2012, in CdA ha deciso che, per gli anni 2012, 2013 e 2014 l’Università di Pisa non eserciterà la facoltà di risoluzione dei rapporti di lavoro prevista dall’art. 72, comma 11, della legge n. 133 del 2008.

venerdì 23 novembre 2012

Job Meeting or Job Smashing? - PrecariaMente al Job Meeting di Pisa


Martedì 20 novembre, al Palazzo dei Congressi di Pisa si è svolta la XII edizione di Job Meeting PISA, con la collaborazione dell’Ateneo pisano.
Ma cos’è Job Meeting? Job Meeting è un  evento organizzato nelle principali città universitarie italiane in cui, così recita il sito, laureati e laureandi di tutte le aree disciplinari possono incontrare aziende italiane e internazionali presso gli stand appositamente allestiti e nel corso di workshop di approfondimento. Durante la giornata, inoltre, è possibile per tutti i visitatori usufruire gratuitamente di servizi di orientamento e consulenza professionale e informarsi su qualificate opportunità di formazione superiore.

Visti i presupposti, PrecariaMente ha deciso di andare a scuriosare: ma, nonostante tutta la buona volontà profusa per evitare di essere i soliti guastafeste, le belle premesse sono state ben presto disilluse.

Gli stand dell’area espositiva: una galleria degli orrori che va da scuole di alta formazione post laurea dalle rette improponibili - soprattutto in questo periodo di crisi in cui le famiglie fanno già una grande fatica a mantenere i figli di all’università - ad agenzie, gruppi bancari ed assicurativi che, con la remota possibilità di un contratto o, addirittura, di un’appagante carriera, abbindolano con proposte di stage o tirocini freschi neo-laureati speranzosi di trovare lavoro.

I Workshop, o i “Career Lab” inseriti nel programma - ad esclusione dell’incontro con Fabio Rocchi, Vice Presidente del Gruppo Giovani Imprenditori Confartigianato Pisa, che quanto meno è riuscito ad interessare il pubblico raccontando la propria esperienze lavorativa in bilico fra una laurea in letteratura moderna e l’autoformazione nel mondo del webmarketing - sono stati una serie di informazioni superficiali sull’imprenditoria e discorsi inconcludenti su come scrivere il proprio curriculum vitae e sullo sviluppo personale. I relatori sono stati invece ben chiari nella pubblicizzazione del Master in “Comunicazione, Impresa, Banche ed Assicurazioni” di Eraclito 2000, dove insegnano ben tre delle relatrici dei Career Lab.
In ogni caso devo ammettere che frasi del tipo “ognuno di noi è un piccolo seme”, “lavorare sul fraseggio interiore” pronunciate da Diana Pardini, Direttrice di Eraclito 2000 e del Centro Bancari BPS e SCS e propinate al pubblico di neo-laureati assetati di imparare a scrivere un CV vincente e di precari, come me - talmente incredulo per la banalità sparate dall’oratrice - sono state talmente sconcertanti da togliere il fiato a chiunque intendesse intervenire.

E l’Università di Pisa? Capeggiava la galleria degli orrori con ben tre stand: l’Ufficio Ricerca e Relazioni Internazionali, l’Ufficio Master e l’Ufficio Placement struttura promossa dall’Ateneo che dovrebbe facilitare l’inserimento professionale dei giovani laureati. Ma di che inserimento professionale si tratta? Di stage, tirocini ed altre forme di lavoro atipico ben distanti da un’occupazione stabile e solo capaci di far precipitare i giovani nella spirale del lavoro precario e di un futuro all’insegna dell’ignoto.
In questo contesto l’Università di Pisa assume un ruolo sintomatico della situazione di crisi e degrado in cui ci troviamo: un’università con tasse sempre più alte e sempre meno servizi, sempre meno rivolta all’accrescimento e alla valorizzazione della persona, ma sempre più alla mercé di enti privati.

Citando ancora una volta la Dott.ssa Pardini, chiudo con una frase che vi farà riflettere e che forse riassume il vero senso della giornata “tutti facciamo marketing”.





martedì 13 novembre 2012

Il manuale del giovane precario - L’insostenibile leggerezza del curriculum vitae


Proprio quando finalmente decido di buttarmi, leggiadra e senza paura, nella danza della ricerca di un’occupazione tra i siti dedicati alla ricerca o all’offerta di lavoro on-line, su miojob.repubblica.it leggo che dal mercato degli annunci di lavoro sul web arrivano pochissimi riscontri positivi e che a settembre le ricerche di personale su Internet sono state inferiori al due per cento rispetto allo stesso mese dello scorso anno.
Ormai, però, mi sono lanciata e decido di portare avanti il mio piano d’azione contro il precariato ed inizio a creami un account su alcuni dei siti dedicati al lavoro.

Dove aver consultato svariati forum e andando un po’ a simpatia, decido di iscrivermi a: miojob.repubblica.it del quotidiano La Repubblica; trovalavoro.it del Corriere della sera; www.monster.it; www.cliclavoro.gov.it il portale per il lavoro del Ministero del Lavoro e delle Politiche del Lavoro; www.borsalavoro.toscana.it della Regione Toscana; www.infojobs.it; www.lavoro.org.

La maggior parte dei siti prevedono la compilazione di un profilo, che in alcuni casi può essere collegato a quello di Facebook, e la pubblicazione di un curriculum vitae ricercabile dalle aziende. Niente di particolarmente complicato: bisogna parlare di sé, della propria formazione e delle precedenti esperienze lavorative. E allora perché non riesco a concludere la compilazione di un profilo come si rispetti o, almeno, come spiegano le cortesi e puntuali indicazioni fornite dagli espertoni dei vari siti? Sarà quel pulsantino, in fondo a destra della pagina, con indicato “carica il tuo CV” e quella miriade di informazioni, consigli e dritte ammiccanti che circondano la pagina e che, promulgando una competenza e un’affidabilità che a me mette solo ansia, cercano di inculcarci nella testa l’importanza fatale di quello che scriviamo?

Tanto per fare qualche esempio, Monster.it insegna: “Tutto comincia dal Curriculum Vitae: la ricerca di un lavoro, la speranza di essere chiamati per un colloquio. (…). Il CV risponde alla domanda: - Perché l’azienda dovrebbe investire il suo tempo e il suo denaro su di me?-“. “La presentazione del proprio Curriculum Vitae è la prima impressione, quella su cui puntare tutto: dimostrare di essere candidati ideali è difficile, ma non impossibile”. “La parola chiave è differenziazione. Ma come uscire dalla massa di CV che arrivano numerosi ogni giorno nelle caselle di posta elettronica o sulle scrivanie di selezionatori e responsabili delle risorse umane?”. Dal motore di ricerca dal Corriere della Sera: “Per scrivere un buon curriculum, cioè che possa davvero interessare chi lo legge, non bisogna commettere l’errore (davvero comune) di descrivere una storia piatta e generica, validi per tutte le occasioni. (…) E’ bene ricordare che la propria storia professionale non ha un valore assoluto, ma di volta in volta quello che il nostro interlocutore le attribuisce, rispetto alle specifiche esigenze di copertura del determinato ruolo”. Invece sul sito della Regione Toscana, che parla addirittura di “arte di scrivere il CV”, leggo: “un CV non deve essere scritto pensando ad un lavoro in particolare ma deve potere essere utilizzato in diverse circostanze. Così sarò possibile concorrere per 10 differenti lavori in un solo giorno poiché andrà compilata solo la lettera di accompagnamento che dovrà essere di poche sintetiche righe.”

Invece di chiarirmi le idee, questi consigli fanno scaturire in me un fiume di domande dal tono decisamente polemico e tendenzioso: ma perché devo dimostrare di essere un “candidato ideale”? Uscire dalla massa? Ma di che massa stiamo parlando? Della moltitudine di precari e disoccupati risultato di scelte politiche condivise che scaricano il peso della crisi sulle classi medio-basse e che continuano a ripeterci che dobbiamo adattarci e accettare i sacrifici? Concorrere per 10 differenti lavori in un solo giorno? E’ vero che ormai trovare un lavoro è come vincere la lotteria, ma allora che dobbiamo fare: comprare più biglietti per aumentare le probabilità?

In un post di qualche mese fa, dopo aver letto un articolo de L’Espresso dal titolo Dammi il tuo curriculum e ti dirò chi sei, avevo già raccontato le mie perplessità nei confronti dei suggerimenti che, come formule magiche, vogliono far credere di avere la chiave per uscire dallo stallo della disoccupazione, della precarietà e avevo concluso con la considerazione che non sarei stata capace di scrivere un curriculum vitae interessante. Oggi mi rivaluto e mi dico che forse la mia incapacità di redigere un CV che mi soddisfi è il riflesso di un rifiuto a scendere a patti con un sistema di reclutamento che trovo arbitrario e frivolo. Non credo che sperare di trovare un lavoro sbattendo le proprie capacità e competenze sulle vetrine dei siti che si occupano di lavoro possa offrire dei risultati concreti e soddisfacenti. Per esperienza diretta e per la situazione che sto vivendo in questo periodo, penso che un passo fondamentale per una riforma del lavoro rivolta a diminuire il precariato e la disoccupazione, sia quello di creare dei veri e proprio momenti di incontro tra richiesta e offerta di lavoro, valorizzando in toto l’esperienza e la formazione dei candidati, dando la possibilità, anche a chi a colpo d’occhio non sembra il candidato ideale, di dimostrare le proprie capacità di apprendimento e di interazione. Non si tratta di buttare là degli slogan per far prediligere un detersivo a un altro fra la miriade di prodotti che troviamo su uno scaffale del supermercato: si tratta di esistenze, carriere ed anni di impegno nello studio che hanno diritto ad una vita dignitosa.




martedì 31 luglio 2012

La ricerca di un nuovo lavoro


Ovvero, Le mirabolanti avventure della Baronessa di Munchhausen

La data di scadenza del mio contratto di avvicina e, come se fino ad ora non lo avessi fatto, è tempo di darsi da fare: di guardarsi attorno, rinunciando un poco alla pompa che apparterrebbe alla noblesse oblige.
Ebbene, ho deciso che inizierò una ricerca a tappeto sul territorio pisano per capire, in prima persona, cosa offre il mondo di oggi ad una precaria, non più troppo giovane, ma laureata e qualificata.

Ho deciso di chiamare queste mie catàbasi che - per vostra gioia e brama di conoscenza - condividerò, Le avventure della Baronessa di Munchhausen, in onore del Barone di Munchhausen dei racconti di Rudolf Erich Raspe che, da bambina, adoravo.

Orbene, popolo di precari, vi vado a raccontare la prima avventura dell’indomita, risoluta e, ovviamente, bella... - scopro con orrore che il maschilismo aristocratico mi ha privata del femminile di rampollo - ereditaria di Munchhausen che, senza contratto e senza macchia, si batte contro il lutulento e irriducibile golem del precariato.


Da Le avventure della Baronessa di Munchhausen, PrecariaMente presenta:

I corsi professionalizzanti della Provincia di Pisa

Tra gli innumerevoli pregi della Baronessa di Munchhausen c’è sicuramente l’umiltà: nonostante il suo curriculum vitae possa vantare un lungo e pedante elenco di esperienze formative, lauree e conferimenti di qualifiche professionalizzanti, lei non pensa mai di sapere troppo - a guisa di Socrate - ed è così che decide di partecipare alla selezione della Provincia di Pisa per un corso di formazione in Gestione ed amministrazione del personale, realizzato attraverso il partenariato tra il COPERNICO scarl e il Cescot Toscana Nord

Il bando dice:

“Il progetto è volto a sostenere l’innalzamento dei livelli di qualificazione e professionalità mediante una strategia di apprendimento permanente dì finalizzato all’inserimento lavorativo, volto ad ampliare, anche attraverso incentivi, l’accesso e la permanenza degli individui nei percorsi di apprendimento lungo l’arco di tutta la vita”.

Ora, se state leggendo pubblicamente quest'operetta assisi entro un salotto sofisticato ma mondano, il vostro tono dovrebbe emulare - per accrescere di pathos le parole seguenti - quello della voce narrante di Fantozzi. E così la baronessa decide di partecipare. 

La scadenza del bando è il 26 giugno, la selezione per l’ammissione il 24 luglio.
La selezione prevede, prima di tutto, un test a risposta multipla per la verifica delle competenze informatiche, dopo il quale verrà stilata una graduatoria di cui solo i primi 50 candidati accederanno al colloquio orale.

La baronessa si accomoda nell’aula dove verrà effettuato il colloquio: è curiosa e si guarda intorno, squadra le persone dalla testa i piedi e - quale Michele Apicella del film Bianca di Nanni Moretti - cerca di capire, dalla maglietta, dalla minigonna o dalle scarpe, che idea vorrebbero dare di loro ai selezionatori. E che cosa penseranno, i popolani, della baronessa?

La baronessa supera brillantemente l’elementare - quasi un’offesa alla sua nobile intelligenza - test di informatica ed ora non le resta che attendere le 16 per il colloquio. Nella sala d’aspetto sbircia le pubblicità delle altre offerte formative: fabbro, collaboratrice domestica, corso in tassidermia.  Perdincibacco, tassidermia?
Il colloquio è un tripudio di complimenti per la cultura, le esperienze pregresse e gli studi della baronessa: addirittura, l’ardito psicologo del lavoro, si lascia sfuggire un complimento per gli occhi sorridenti ed espressivi della giovane pulzella che ormai si vede nel gruppo dei 12 che saranno ammessi al corso di formazione. Addirittura, un altro ceffo si permette di dirle che il dialogo è, invero, alla pari e - dicendolo quasi costernato - vorrebbe evitarle l'esperienza di un corso da passare spalla a spalla con undici plebei.

E invece, ahimè, che delusione scoprire che la tanto grandemente lodata preparazione della baronessa di Munchhausen, orgoglio e punto forte delle sue avventure contro la lotta al precariato, è stato proprio ciò che l’ha tradita: esclusa perché troppo qualificata! Oltre all’oltraggio anche l’umiliazione pubblica: esima!

Vabbè, dov’è che ci si iscrive per la tassidermia?


La Baronessa



sabato 23 giugno 2012

Perché nasce PrecariaMente


Siamo due precari che preferiscono non definirsi lavoratori poiché - oltre a considerare il fatto che definirsi tali richieda una presunzione e una fiducia nel futuro decisamente sproporzionate - quella del precariato non è una condizione che riguarda solo il rapporto di lavoro ma è uno stato che investe, allargandosi a macchia d’olio, anche il rapporto con la realtà sociale, con se stessi e, in alcuni casi, può limitare anche la sfera degli affetti. La conseguenza estrema di tutto ciò vuole il precario incastrato in una situazione di immobilità lavorativa, sociale e mentale che, almeno allo stato attuale delle cose, sembra non mostrare vie d’uscita.

Siamo due, ma possiamo essere contemporaneamente: impiegati, camerieri, baby-sitter, bibliotecari, insegnanti privati, venditori, portieri, addetti alle risorse umane, addetti al servizio di posta interna, educatori, sceneggiatori, etc.! Già, perché la suddetta immobilità corrisponde, paradossalmente, ad una forma, sempre meno considerata patologica e sempre più istituzionalizzata con il termine di flessibilità, di schizofrenia  lavorativa e pubblica per cui il precario è costretto, di fronte alla mancanza di lavoro, ad accettare qualsiasi proposta gli passi davanti, a qualsiasi condizione e prezzo.

Troppo tragico? No, il climax melodrammatico raggiunge l’acme della sua fatalità con quest’ultima disperata considerazione dal retrogusto esistenzialista - eccovi serviti: come se non bastasse, l’incertezza di un impiego duraturo, l’impossibilità progettare il futuro e la necessità di accettare quasi tutto, conduce ad una spersonalizzazione e ad una perdita delle proprie competenze che sviliscono e rendono precarie anche le nostre originali peculiarità.

La volontà di intraprendere l’avventura di PrecariaMente nasce prima di tutto dalla necessità di ritrovarci, di capire, nonostante il precariato, chi siamo e cosa vogliamo, perché dietro alla condizione di precari ci sono  storie, passioni che meritano e che hanno diritto di essere espresse, persone che meritano di realizzare ciò che è più affine alle loro capacità e alle loro conoscenze. 


PrecariaMente si offre come una piattaforma in cui ognuno può raccontare la propria esperienza di lavoratore precario, ma anche parlare delle proprie aspirazioni, di quello che vuol fare da grande o pubblicare il proprio vero curriculum vitae, quello che rispecchia le proprie capacità e competenze e non quello che abbiamo dovuto rendere congeniale alle svilenti richieste degli annunci delle offerte di lavoro.


Scrivete a: precariamentepisa@hotmail.it

Sara C. e Francesco C.

 
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