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mercoledì 19 dicembre 2012

Curriculum vitae – Le storie e le ricette di Jul’s Kitchen


Anche se non è vero che a Natale diventano tutti più buoni, PrecariaMente vuole addolcire un po’ i toni con la storia di Giulia Scarpaleggia, una giovane blogger di 30 anni che ha saputo fare della sua passione culinaria un lavoro a tempo pieno. E brava Giulia!

Dal blog Jul’s Kitchen:

Benvenuti su Juls’ Kitchen, mi chiamo Giulia Scarpaleggia, ho 28 29 30 anni, sono una sognatrice, un’ottimista e una food blogger a tempo pieno. Sono quella che appare nei riflessi dei cucchiaini nelle foto di questo blog e ammetto di essere anche la responsabile per le fette che mancano in ogni torta. Vivo in Toscana, nella campagna tra Siena e Firenze, ho il sogno di un orto rigoglioso, in realtà mi accontento di un muretto con i vasini delle erbe aromatiche e di una pianta di rabarbaro che soffre il caldo. Al liceo ho studiato latino e greco per 5 anni ma mi sono innamorata dell’inglese. Volevo fare l’architetto e la guardia forestale, poi ho preso una laurea specialistica in Scienze della Comunicazione. Volevo essere come Melanie Griffith in Una donna in carriera, poi ho lavorato come impiegata e organizzatrice di eventi e ho capito di non essere tagliata per quel mondo. Ho letto riviste di cinema per anni conoscendo a memoria i cast di film più o meno famosi, ho aperto un fanclub di nuoto con la mia migliore amica che per 4 anni ci ha portate in giro per l’Italia – e non solo – a tifare con le facce dipinte con il tricolore. Ho frequentato un corso di inglese avanzato, un corso di grafica e un corso da wedding planner. E’ stato difficile trovare il mio posto nel mondo ma alla fine ho capito, ho trovato quello a cui ero destinata e che mi rende felice. Se guardo indietro c’è stata infatti una costante in tutto questo: la passione per la cucina, fin da quando ero piccolina. A febbraio 2009 ho aperto il mio blog per dare voce a questa passione e ho imparato a raccontarla con parole e fotografie. A gennaio 2012 ho trasformato la mia passione in un lavoro: adesso sono una freelance food writer (suona bene in Inglese!), collaboro con riviste e aziende per lo sviluppo di ricette, faccio corsi di cucina toscana per stranieri ed italiani. In altre parole cucino ogni giorno, fotografo quando la luce me lo permette, scrivo anche troppo e mangio con piacere. Mi diverto e godo di ogni singolo istante, rendendomi conto di quanto sia fortunata. 



domenica 25 novembre 2012

PrecariaMente presenta: Il curriculum collettivo di Diversamente Occupate


Per affinità elettiva, ci teniamo a farvi conoscere il blog di diversamente.occupate.blogspot.it, ovvero il diario di un gruppo di giovani donne che si confrontano con il difficile mondo del lavoro.

Ecco il loro curriculum collettivo:


Nomi: Teresa, Claudia, Antonella, Eleonora, Angela, Federica

Nate a: Da Roma in giù, pendolari e fuori sede.

Nate il: nella prima metà degli anni ’80, troppo tardi per vivere la politica degli anni ’70, troppo tardi per la contestazione, tardi per i partiti, i sindacati, i collettivi, in tempo per incontrare donne che fanno politica per le donne.

Stato civile: nubili e una sposanda

Studi: umanistici. Comunicazione, Filosofia, Dams. Tutte figlie della riforma del 3+2. Laureate in Filosofia politica, una in Teoria del cinema. Ciascuna ha studiato per il piacere di farlo, per curiosità, per passione; nessuna credeva nell’equazione studio=preparazione al lavoro: mentre altri spulciavano le guide all’università valutando i diversi sbocchi professionali, noi cercavamo di interpretare quali meravigliosi contenuti si celassero dietro i titoli dei moduli di didattica. Aspettative spesso disattese, il piacere maggiore è venuto da quello che non ci aspettavamo: per tutte il pensiero delle donne.

Competenze acquisite: disciplina, sindrome della formichina operosa, capacità di improvvisazione orale; gestione del tempo, strategie di sopravvivenza settimanale con 50 mila lire/ 50 euro nel portafogli; abilità nel destreggiarsi fra le trafile burocratiche, alta densità creativa nella riorganizzazione del presente, re-immaginazione del futuro, rielaborazione del passato; ottimizzazione dello spazio in valigia, fisica e metaforica; resistenza al nozionismo; capacità di sfuggire alle etichette e alle riduzioni ad uno, scoperta del valore del nomadismo dei saperi; non è davvero oro tutto quello che luccica.

Esperienze lavorative: Ripetizioni a domicilio, Pr in discoteca, commessa, insegnante di pianoforte per bambini, operatrice call-center, dialogatrice, banconista pane e derivati, promotrice di vacanze studio, volantinatrice, animatrice per bambini, segretaria di seggio, bagnina, stagista, volontaria servizio civile, fotografa teatrale, cameriera, baby sitter, giornalista, impiegata, operatrice di sportello, sostituta di direttore in vacanza, assistente di filiale, istruttrice di nuoto, assistente di direzione, responsabile di sala, segretaria, barista, insegnante di italiano per stranieri, operatrice video, critica gastronomica, assistente bibliotecaria, correttrice di bozze, addetta stampa, borsista, sono sicure di aver fatto anche altro, ma non ricordano cosa.

Posizione lavorativa attuale: traduttrice, web editor, giornalista/redattrice/blogger, direttrice periodico on-line; dottoranda, laureanda.

Competenze acquisite: capacità di riconoscere il confine “potrebbe essere il mio lavoro/non lo farei neanche morta”, capacità di leggere tra le righe degli annunci di lavoro e delle domande sessiste dei selezionatori, abilità performativa nel convincere l’interlocutore che “questo lavoro è il sogno della mia vita”, capacità di reinventare un lavoro morto e sepolto, capacità di fare la domanda giusta nel momento giusto alla persona giusta, capacità di fare la domanda sbagliata alla persona sbagliata nel momento sbagliato (e divertirsi per questo), conoscenza dettagliata dei vicoli del centro storico di Roma, resistenza di camminata sulle lunghe distanze anche in condizioni climatiche avverse.

Esperienze non lavorative: tutte le attività che portiamo avanti insieme ad altre donne, non per soldi, non per carriera, ma per bisogno, desiderio e responsabilità politica.

Quel che fa la differenza: Riuscire ad acquisire entro domani le competenze che ho detto di avere ieri, una certa (ir)responsabilità nel riconoscere gli errori di mira ed aggiustare il tiro, destreggiarci tra le diverse dimensioni dell’esistenza, mettersi in discussione con un sorriso, essere radicalmente curiose.

Possiamo: portare a termine un lavoro costi quel che costi, gestire più attività lavorative contemporaneamente, dimenticare di avere un corpo da curare e ascoltare, entusiasmarci per progetti che non sono nostri. Possiamo...ma non vogliamo farlo.






martedì 6 novembre 2012

Università e Precariato


Emanato il decreto che fissa i criteri e i contingenti per l’assunzione del  personale universitario.

Sul sito del MIUR è stato pubblicato il Decreto Ministeriale 22 ottobre 2012 n. 297  "criteri e contingente assunzionale delle Università statali per l’anno 2012". 

Il Decreto, emanato in applicazione della Legge 240/2010 e delle norme  che si sono succedute nel tempo in materia di assunzioni di personale  universitario, determina il limite delle assunzioni di personale a tempo  indeterminato e di ricercatori a tempo determinato per gli anni 2014, 2015 e 2016. Il Decreto definisce, Ateneo per Ateneo, sulla base disposizioni legislative  fissate dal D.lgs 29 marzo 2012, n. 49 e della cosiddetta spending review, i punti  organico che possono essere utilizzati per l’anno corrente. Un punto organico  corrisponde ad euro 120.151 ed è il costo medio nazionale di un professore di I fascia. Ogni Ateneo statale è autorizzato ad utilizzare i Punti Organico nella misura in  cui si determini una differenza positiva tra la rispettiva attribuzione effettuata  dal decreto e la somma dei Punti Organico eventualmente  già utilizzati nell'anno in corso nel rispetto dei diversi regimi assunzionali  vigenti. Per saperne di più. consultare il sito dell’FLC CGIL a questo indirizzo:  



martedì 28 agosto 2012

Precari tedeschi e bugiardi italiani

In questi ultimi mesi l’opinione pubblica italiana è stata sobillata con cura dai mass media e da troppi politici nel vano tentativo di creare un capro espiatorio a cui addossare le colpe di un debito sovrano di circa duemila miliardi di euro: la Germania capitanata da Angela Merkel. Come se non bastasse aver dato della culona all’algida cancelliera, l’ultimo grido della stampa italiana intende farci credere che i precari tedeschi siano al pari di quelli italiani o, ancora peggio, che la più solida economia della zona euro, per sostenersi, propini la stessa cura ai suoi contribuenti: la nauseabonda flessibilità.

Capisco che sia più facile prendersela con la Germania, rea di frenare la BCE nell’acquisto del nostro debito – e quindi spalmarlo sull’Euro come fosse Nutella sul pane – attraverso i titoli di stato o nella creazione degli Euro Bond, invece che ammettere l’incapacità gestionale dei governi che si sono succeduti (c’è chi ne ha riso di gusto) negli ultimi decenni ma sarebbe quantomeno onesto sottolineare le differenze assieme alle affinità.

Da dove cominciare? Dagli stipendi. Un recente articolo de Il Fatto ha calcolato oltre mille euro di scarto tra un operaio tedesco ed uno italiano ma anche in Grecia ed a Cipro si guadagna meglio che in Italia.  Si legge ancora:

Vediamo un po’ più nel dettaglio il caso tedesco. Jurgen parte da una paga base di poco superiore a 3 mila euro e con alcune ore di straordinario notturno arriva a superare un compenso mensile lordo di 3. 700 euro. Le trattenute previdenziali e assicurative sfiorano i 700 euro, di cui 336 per la pensione e 267 euro di cassa malattia. Se si considera che l’imponibile ammonta a 3. 380 euro circa, i contributi pesano per il 20 per cento circa. Marta invece paga circa 170 euro per la pensione. Poi però ci sono circa 18 euro per il fondo previdenziale integrativo e altri 16 euro sono destinati all’assicurazione sanitaria supplementare. Alla fine questi contributi assorbono l’ 11 per cento di un imponibile pari a circa 1. 800 euro, contro il 20 per cento di Jurgen. Poi ci sono le tasse, che pesano sullo stipendio per meno del 10 per cento (9,89 per cento) nel caso dell’operaio Vw. Le ritenute fiscali della dipendente Fiat, al netto delle detrazioni, valgono invece il 13 per cento circa dell’imponibile. Morale: per Marta meno stipendio e più tasse. Peggio ancora: anche se le imposte sono maggiori, l’operaia italiana riceve servizi meno efficienti rispetto al collega di Wolfsburg.


Servizi. Il Welfare State tedesco è uno dei più funzionali del mondo, dal 2005 è in vigore l’ Hartz IV: una volta perso il posto di lavoro, il disoccupato può contare sul 70 per cento dell’ultimo stipendio per 18 mesi, o per due anni se si hanno almeno 58 anni d’età. Superato questo periodo lo stato tedesco oltre alla copertura dei costi dell’affitto e del riscaldamento, sostiene il contribuente con una base fissa di 359 euro a patto che si dimostri di essere alla ricerca di una nuova occupazione. Per agevolare la formazione del futuro professionista, assieme al sussidio di disoccupazione, è previsto il rimborso dei corsi  che intende frequentare per aumentare il bagaglio delle proprie competenze e per coloro che, da disoccupati, aprono partita Iva il sussidio è prorogato nei termini in modo da coprire parte delle spese d’impresa iniziali. Ancora, è garantito un assegno familiare di 215 euro per ogni figlio sino ai 6 anni, uno da 251 euro per un bambino dai 6 ai 14 anni e da 287 euro per figli dai 14 ai 18 anni.

Se assieme a queste notevoli differenze aggiungiamo il modello di concertazione della Volkswagen tra proprietà e sindacati capiamo come mai la disoccupazione giovanile tedesca sia al 7% contro il 31 % di quella italiana.

Davvero i precari italiani sono uguali a quelli tedeschi?

Francesco C.


La Merkel offrirà suggerimenti sui precari a Monti?

domenica 12 agosto 2012

Come un paese rinuncia al proprio futuro. La “flessibilità immaginaria” italiana

Uno dei più celebri inganni della storia recente del nostro paese è rappresentato dall’introduzione della cosiddetta “flessibilità” nel mercato del lavoro. Presentata a più riprese come la panacea di tutti i mali, essa ha rivelato il suo vero volto ben prima dello scoppio della grande crisi che stiamo vivendo. Fin da subito è stato chiaro che quel “modello flessibile”, trapiantato su di un organismo non pronto per riceverlo, avrebbe finito per trasformarsi in qualcosa di ben diverso da quanto promesso dai suoi più ferventi sostenitori. Ma la metamorfosi quasi immediata del “sogno” della flessibilità nell’”incubo” della precarietà non è soltanto il risultato di un’ingenua fiducia riposta in un esperimento fallito. Infatti se è vero che, come una creatura evocata da maldestri stregoni, tale modello è sfuggito al controllo della politica e si è sviluppato autonomamente lungo un percorso opposto a quello per cui era stato introdotto, la malafede e l’indifferenza di molti attori economici hanno consentito e sostenuto tale deriva. La politica ha certamente colpe enormi; prima fra tutte quella di non aver preparato il terreno creando un sistema di tutele ad hoc per le nuove categorie di lavoratori che si andavano ad introdurre nella legislazione del lavoro. A distanza di un quindicennio dalla comparsa in Italia di forme di lavoro flessibili ancora non si è giunti a predisporre misure adeguate di sicurezza sociale a difesa di tali lavoratori, vittime di una delle più vergognose discriminazioni collettive nella storia della repubblica. Oltre a ciò gli interventi legislativi non hanno operato un’azione coerente con la logica alla base dell’introduzione della flessibilità. Infatti tale logica si basava sulla convinzione che le nuove forme contrattuali avrebbero dovuto favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro e un accesso nel mondo lavorativo più rapido per i giovani, consentendo alle imprese una maggiore libertà e incisività durante il processo selettivo per il reclutamento del personale. Ma l’inerzia della politica nel fissare regole precise in questa direzione ha consentito che tali nuovi contratti finissero di fatto per regolare non solo il momento, più o meno lungo, di reclutamento, formazione e inserimento del lavoratore in azienda ma persino il rapporto stesso di lavoro a lungo termine. In questo modo si è resa possibile la “bestialità” per la quale è conveniente regolare rapporti di lavoro di lungo periodo attraverso una serie infinita di contratti a tempo determinato. Ecco dunque che scopriamo il grande complice della politica e corresponsabile: il mondo imprenditoriale. Con un uso scellerato dei contratti atipici e a tempo determinato buona parte dei datori di lavoro ha contribuito con la politica a distruggere il vecchio mondo del lavoro senza costruirne uno nuovo. Invece di modernizzare e rendere più efficiente il sistema lavorativo italiano, tali interventi hanno finito per scardinalo sostituendo ad esso un mercato del lavoro selvaggio e irrazionale. Tale occasione perduta non solo ha avuto conseguenze nefaste per operai e impiegati ma ha assestato un colpo durissimo alla qualità delle performance delle imprese stesse. Infatti molti pseudo imprenditori hanno vanificato l’aspetto formativo alla base alcune tipologie contrattuali sfruttando per esempio contratti di apprendistato e formazione per mascherare semplici rapporti di dipendenza. In più tale sistema mortificante ha privato il paese e le proprie imprese di un numero enorme di competenze ed eccellenze costrette a prendere la via dell’estero. Queste conseguenze dimostrano nuovamente la malafede di un sistema sorto per affrontare le sfide della globalizzazione e di quel mantra che ha risuonato per buona parte degli anni Novanta e Duemila: “fare concorrenza alla Cina”. Ma rinunciando alla qualità di una forza lavoro preparata e specializzata, motivata dall’essere parte integrante di un progetto industriale coerente e a lungo termine, quale resistenza avrebbe mai potuto opporre il nostro paese? Ecco che la vera faccia della “flessibilità immaginaria” italiana ha preso la propria vera forma. Sotto il ricatto di una delocalizzazione selvaggia, essa ha coperto un’operazione di smantellamento dei diritti dei nuovi lavoratori che non ha comportato peraltro alcuna compensazione dal punto di vista occupazionale e salariale. In questo modo quelle stesse imprese che avevano già delocalizzato nei paesi emergenti gran parte dei cicli produttivi a manodopera scarsamente specializzata hanno potuto ottenere in Italia un abbassamento dei costi senza che ciò si traducesse in maggior qualità della produzione e tantomeno dell’occupazione. Le nuove generazioni di lavoratori sono divenute così, in un batter di ciglia, “precarie”, senza che coloro i quali avrebbero dovuto battersi per invertire la rotta, forse perché troppo occupati a garantire gli interessi di statali e pensionati, serbatoi enormi di consenso politico e tessere sindacali, si interessassero minimamente alla piega drammatica che stava prendendo la vita di tante persone.

Ma il rovescio della medaglia ha fatto sì che la precarietà nel lavoro comportasse la precarizzazione dell’esistenza stessa di milioni di giovani. Quella stabilità che aveva consentito alle precedenti generazioni di costruire il proprio benessere e con esso la forza e la solidità del paese è venuta definitivamente meno. Ma la crisi che stiamo vivendo ha mostrato l’importanza vitale di quel sistema sociale ed economico. Pensioni, risparmi, case di proprietà, solidi rapporti familiari e sociali hanno rappresentato e rappresentano le uniche reali reti di sostegno per i cittadini italiani e per lo Stato stesso nel mezzo della tempesta devastante che ci ha investiti. Ma crediamo che le “generazioni precarie” saranno in grado di garantire alle prossime e al paese altrettanto solide basi capaci di far superare i momenti più difficili? Come potranno avere una pensione ragazzi che oggi sopravvivono grazie a quella dei genitori o peggio ancora, dei nonni? Chi potrà risparmiare e immettere così nuove risorse nel circuito del credito guadagnando meno di mille euro al mese? Come potranno le nuove generazioni creare nuove reti di sostegno familiare se avere un figlio è diventato un lusso che in troppi non possono permettersi? Quale contributo potranno conferire generazioni tanto impoverite alle necessità finanziarie del paese dalle quali dipendono i servizi essenziali?  Queste sono semplici domande che mettono in luce il rapporto tra la precarizzazione e il futuro del paese. Ecco perché non è più possibile andare avanti lungo questo insensato percorso. Certamente le difficoltà economiche oggi rendono ancor più difficile un’inversione di marcia in un momento in cui la disoccupazione gonfia le proprie fila e un mercato del lavoro da incubo crea di continuo nuove povertà facendo quasi dei precari una categoria “privilegiata” rispetto a un “sottoprecariato” che vive alla giornata. Ma proprio per questo è ancor più importante rilanciare il lavoro quale fattore fondante della vita di ogni persona. La flessibilità può rappresentare un’opportunità per l’ingresso nel mondo del lavoro e occasione per una efficiente selezione e formazione da parte delle imprese ma deve essere ricondotta alla funzione di “mezzo”. In troppi e per troppo tempo hanno sparato sentenze contro il posto fisso glorificando le magie della “flessibilità immaginaria” assurta a “fine” ultimo del lavoro. Personaggi politici, economisti e altri che non hanno mai cambiato lavoro nella propria vita hanno tentato per anni di convincere i giovani che in fondo non avere alcuna certezza sulla quale fondare la propria vita fosse una bella cosa. Con le tasche piene di stipendi sicuri quanto le loro pensioni, questi illusionisti, “condannati” per loro sfortuna a una vita “noiosa” fatta di sicurezza economica e sociale, hanno mascherato il fallimento della flessibilità, magari attribuendone parte della responsabilità alla pavidità di molti giovani troppo “bamboccioni”. La flessibilità/precarietà degli ultimi due decenni ha fallito miseramente e ha privato il paese di anticorpi preziosi contro le crisi. Il sacrificio di milioni di giovani non ha portato alcun risultato se non quello di costringere intere generazioni a mettere la propria esistenza in stand-by. Queste generazioni chiedono di poter finalmente vivere ciò che per chi li ha preceduti era semplice normalità; convivere o sposarsi, acquistare una casa o permettersi un affitto, mettere al mondo dei figli. Proprio nel mezzo della crisi è fondamentale ribadire che il lavoro fisso è una conquista e per ogni lavoratore deve esistere il diritto naturale a tendere ad esso. Ciò è importante perché oggi si imposti un nuovo modello di sviluppo fondato sulla centralità del lavoro che servirà una volta che la tempesta sarà passata e dovremo ricostruire sopra le macerie che si sarà lasciata alle spalle. Questo non significa tornare agli anni Settanta ma ammettere che tra le variabili dei cicli produttivi, quella della durata indeterminata dei contratti dei dipendenti non rappresenta un freno alla competitività ma semmai un incentivo a creare ricchezza e stimolare nuovi e più maturi consumi. Significa finirla col falso garantismo che impone di reintegrare chi è stato giustamente licenziato (magari perché sorpreso a rubare) e tutelare dal doveroso licenziamento assenteisti e truffatori ma garantire invece i diritti del lavoro per tutti, come ad esempio quello di ogni donna ad avere un figlio senza rischiare di perdere il posto, senza l’odiosa distinzione tra lavoratori di serie A e di serie C degli ultimi decenni. Significa intervenire su ciò che realmente rende l’Italia un’economia poco competitiva e poco appetita dagli investitori. Rendere la giustizia più rapida ed efficiente, eliminare il peso soffocante della burocrazia, della corruzione e delle organizzazioni mafiose, rilanciare le produzioni ad alta intensità di tecnologia attraverso un nuovo e poderoso impulso a ricerca e formazione sono cose più difficili che inventare nuove tipologie di contratti lavorativi ridicoli ma sarebbero di gran lunga più incisive e vincenti. In conclusione significa impegnarsi a restituire ciò di cui le ultime generazioni sono state private e che rappresenta il bene più prezioso per ogni paese: la fiducia nel futuro. Solo se restituirà ai propri giovani la speranza, cancellando dai loro cuori e dalle loro menti la paura immensa e innaturale alla quale li ha condannati negli ultimi decenni, il nostro paese potrà riprendere il proprio cammino verso un futuro migliore.      

Alessio Manfroni - laureato in Politiche e Relazioni Internazionali, precario e blogger    




venerdì 3 agosto 2012

Vigili del Fuoco e precariato


Ci chiamano Discontinui o Volontari ma siamo Vigili del Fuoco a tutti gli effetti. Lavoriamo fino ad un massimo di 160 giorni l’anno sopperendo alle carenze di organico nel Corpo e siamo preziosi in caso di gravi calamità.
Mi chiamo Francesco Simonini vivo a Pisa ed ho iniziato questa professione subito dopo essermi diplomato nel 2000 all’età di 18 anni. Ho iniziato per caso, perché mi stavo informando dove potevo svolgere il servizio militare dato che rientravo in quella fascia di ragazzi che hanno dovuto obbligatoriamente svolgere il servizio di leva.
Adesso ho 30 anni, circa 1100 giorni di servizio molti dei quali svolti nel comando di Pisa ma sono stato anche impiegato più volte nelle calamità come nel terremoto dell’Aquila. Il mio stato di servizio vanta diversi elogi per il lavoro svolto ma ultimamente l’Italia è diventata una nazione dove i meriti contano ben poco.
Basti pensare alla graduatoria di stabilizzazione di cui faccio parte, graduatoria misteriosamente interrotta. Infatti con la legge del 27 dicembre 2006, n. 296, recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007), all’articolo 1, comma 526, si prevedeva l’avviamento anche per il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco la stabilizzazione dei rapporti di lavoro del personale Discontinuo/Volontario, in possesso dei requisiti per la stabilizzazione. Requisiti da possedere entro il quinquennio di stabilizzazione deciso dalla legge 296/2006 e cioè almeno tre anni di iscrizione all’albo del personale Discontinuo/Volontario ed aver effettuato non meno di centoventi giorni di servizio. Quinquennio che partiva dalla data del 01/01/2002 al 01/01/2007. Questa graduatoria, recentemente prorogata fino al 31/12/2014 è formata da 6080 discontinui, 3240 sono stati convocati dall’ Amministrazione Centrale ad espletare i criteri di selezione e di questi sono circa 2000 quelli in regola con i requisiti di idoneità richiesti e regolarmente assunti. Da sottolineare  che il primo in graduatoria risulta avere  gli stessi diritti dell’ultimo, le differenze sono da ritrovare esclusivamente dall’anzianità di servizio e dai giorni di servizio effettuati.

Nel corso del 2008  è stato emanato un nuovo concorso pubblico per 814 posti nella qualifica di Vigile del Fuoco aperto a tutti per modo di dire visto che il 45%  dei posti messi a concorso risultava essere  riservato al personale proveniente  delle forze armate, un 20% al personale civile del CNVVF e solo un 25% al quel personale che quotidianamente vive nelle caserme e garantisce il soccorso alla popolazione unitamente alla componente permanente. Attualmente l’Amministrazione  Centrale dei Vigili del Fuoco sta assumendo solo da quel concorso, ignorando completamente il personale già formato inserito in graduatoria di stabilizzazione.

Per porre fine a tutti i soprusi che il personale Discontinuo/Volontario del Corpo sia esso collocato in graduatoria di stabilizzazione o in nessuna di esse, e per  far valere i nostri diritti è nata una Federazione denominata FNC VVF, Federazione della quale il sottoscritto è  Coordinatore nazionale.
La FNC Vigili del Fuoco  nasce con il fine di promuovere progetti di riforma condivisi , conformi ai criteri di efficacia ed efficienza, in attuazione dei principi di buon andamento e risultato della P.A.
svolgendo azione di stimolo e sensibilizzazione per tutta la componente politica, istituzioni ed OO.SS. di categoria.
Cosi, dopo varie riunioni grazie anche al prezioso supporto del sindacalista Pisano della UIL Mario Gaddini, il 27 gennaio 2011 sono stato eletto ad unanimità portavoce FNC per il comando di Pisa. Mario Gaddini è stato promotore di un ricorso per noi discontinui presso il Tar del Lazio atto a riconoscere i diritti dei colleghi Discontinui. Fondamentale per il proseguimento del nostro percorso  è la collaborazione con un ex sindacalista CGIL e CR dei Vigili del Fuoco oggi in quiescenza Antonio Dell’Omodarme.
Per avere un po’ di visibilità e abbiamo manifestato e manifestato, a Roma davanti Montecitorio, ad Arcore davanti a casa dell’ ex Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi il quale il 4 aprile 2011 ci ha anche consentito di varcare i cancelli della Sua villa per ascoltare le nostre istanze e farsi portavoce per trovare una seria soluzione ma ad oggi nulla!, in varie trasmissioni televisive e sul web sfruttando “nel bene” i vari social network. La FNCVVF ha tra mille difficoltà  anche un sito internet, www.fncvvf.it . Lo stesso risulta essere  molto seguito sia nella parte della Home Page dove inseriamo tutti le notizie degli incontri svolti e delle notizie che ci pervengono e di una parte Forum  dove tutti gli utenti registrati possono intervenire per uno scambio di opinioni o per cercare delle semplici risposte ai loro quesiti.

Io stesso gestisco una pagina Facebook dei  VVF precari di Pisa raccogliendo, in poco più di un anno,  2400 adesioni e dove ogni giorno precari ma anche genitori preoccupati per il destino dei propri figli vengono a porre  domande sul futuro dei loro ragazzi. Cosi siamo  cresciuti vertiginosamente ed alle nostre iniziative aderiscono precari da tutta Italia  grazie al lavoro costante della FNC e del suo Presidente Matteo Zoppi che con il suo operato ha saputo far espandere quella che oggi è una Federazione e che solo fino a pochi anni fa era invece un comitato provinciale. Alle nostre manifestazioni ci siamo sempre distinti per il nostro comportamento corretto e pacifico, fino a quando la politica finalmente non ha iniziato ad ascoltare le nostre istanze.
Il 17 Giugno 2011, incontro l’on. Walter Veltroni e gli consegno una lettera con scritto tutte le problematiche inerenti alla nostra situazione. Dopo qualche giorno mi richiama e mi pone in contatto con il giovane Luca Di Bartolomei responsabile del nuovo forum della sicurezza. Secondo Veltroni ci sono i presupposti per provare a far qualcosa.
Il 1 marzo 2010 vengo convocato a Montecitorio al forum della sicurezza del PD come rappresentate Nazionale dei precari dei vigili del fuoco. Visibilmente emozionato Illustro davanti ai ministri e vertici del corpo un progetto di riforma del corpo nazionale a nome dalla FNC. Per la prima volta i vigili del fuoco vengono rappresentati da un precario. La riforma viene pienamente condivisa dal Partito Democratico e il Pd prende come impegno politico di risolvere la situazione e Ettore Rosato ne ha la delega.

Con il cambio di governo i nostri rapporti con i vertici del Ministero  dell'Interno sono diventati sempre più costanti e nel recente mille proroghe è passato un emendamento in nostro favore che proroga la nostra stabilizzazione. Questo è stato frutto dell’insistenza dell’On Ettore Rosato che ha sempre creduto nel ruolo svolto all’interno del CNVVF dei Vigili Discontinui . Anche se rimane un gran risultato la sola proroga non è sufficiente a consentire nuovamente il proseguo della graduatoria vista ad oggi la mancanza dei finanziamenti.
Per combattere questa forma di precariato la FNC si è convenzionata con A.L.Vi.P. (associazione lavoratori vittime del precariato) che ha provveduto a presentare dei ricorsi contro l’amministrazione. Le prime sentenze sono andate tutte in nostro favore dando ai lavoratori in prima istanza un risarcimento pari a 15 mensilità, ma visto che l’Italia è una nazione di furbetti ha ben pensato di esserlo anche lo Stato che  per non perdere si è divertito a modificare in suo favore  le leggi, inventandosi  un articolo della legge stabilità 2011 emanata lo scorso novembre dove sancisce che i richiami in servizio del personale Discontinuo/Volontario del Corpo non costituiscono rapporto di impiego con l’Amministrazione. Loro cambiano le leggi e noi cambiamo i ricorsi. Lo so, può sembrare una battaglia persa, perché noi siamo precari, siamo l’ultima ruota del carro come si dice a Pisa. Ci battiamo per i nostri diritti, contro lo Stato che invece ci dovrebbe tutelare.

Recentemente è stato  vinto anche un ricorso riguardante il pagamento del  TFR, perché sembrerà strano ma anche su questo lo Stato “Amministrazione Vigili del Fuoco” faceva e fa il furbetto. Ricorso che sia in prima istanza ed in appello ha dato ragione al collega ricorrente.

Un'organizzazione che alcuni esperti hanno definito straordinaria e messa in piedi a costo zero. Molti di questi ragazzi li ho conosciuti personalmente, altri non li ho nemmeno mai visti e lavorano a questo progetto da più tempo di me. Siamo un gruppo di persone che agisce in squadra coordinati da una struttura gerarchica, ognuno di noi ha un ruolo, un grado, un compito. Facciamo tutto questo perché amiamo il nostro lavoro, amiamo il paese dove viviamo, quindi ci sembrava giusto fare un ultimo tentativo per cercare di salvare la situazione di migliaia e migliaia di giovani lavoratori. Finora il mio cammino non è stato affatto semplice, ho incontrato persone senza scrupoli, e nonostante tutto abbiamo sempre cercato di istaurarci un dialogo, un rapporto. Ma per fortuna al mondo ci sono anche persone perbene, come la senatrice Franca Biondelli, l’On. Paolo Fontanelli che mi segue a Pisa, l’On. Marianna Madia che si è interessata alle nostre problematiche e da subito l’abbiamo sentita vicina in quanto nostra coetanea e pronta a salvare la nostra generazione.

Francesco Simonini - Coordinatore FNC VVF

 
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