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sabato 23 giugno 2012

La sindrome di Lulù


Ed anche questo contratto a tempo determinato si avvia alla sua conclusione e, almeno per ora, non esiste nessuna possibilità di proroga o di rinnovo. Il contratto scadrà il 30 settembre e - sebbene qualcuno insista a dirmi che manca ancora un bel po’ di tempo - faccio fatica ad essere fiduciosa e passo in rassegna tutto quello che ho sulla scrivania per non lasciare niente di mio: la tazza portapenne, le casse, il barattolo con le conchiglie che funge da fermacarte, l’ombrello di scorta per i cambiamenti di tempo repentini e lo spazzolino da denti.
Provo un po’ di nausea mista a rabbia per tutto l’impegno che ho profuso fino ad ora e che se ne va via col vento fastidioso che soffia oggi; un po’ di ansia per le rate del mutuo e un senso di spossatezza al pensiero di dover rimettermi in cerca di qualcosa da fare. 


In questo turbinio di pensieri malsani, fa capolino però una piacevole, quanto incosciente, sensazione che, sul momento, mi sorprende. Una strana eccitazione che mi cammina lungo la schiena e mi fa provare un forte senso di liberazione; mi prende la frenesia di infilare la tazza e il barattolo con le conchiglie nella borsa e le casse sotto braccio e arrivederci e grazie! 
Ed ecco che, quando sto per spegnere il pc, l’impulso di pazzia - o di cruda lucidità? - si squaglia come un cremino al sole sul marrone anonimo della mia scrivania.

Ho deciso di chiamare questa sensazione la sindrome di Lulù.


Lulù, protagonista de La classe operaia va in paradiso, è un operaio milanese con l’ulcera, campione del cottimo, odiato dai compagni e amato dal padrone, che - a seguito di un incidente - perde prima un dito della mano e poi il lavoro, passando così da ultracottimista a ultracontestatore.
Alla pazzia che sembra, inizialmente, ammorbare il protagonista, sottoposto a certi meccanismi alienanti del sistema di produzione fordista, segue un estatico senso di liberazione proprio in virtù del licenziamento patito e l’epifania di come la società – fondata su di uno sterile consumismo di massa – non sia in grado di rendere nobilitante l’esperienza del lavoro.

E’ questa la vita? – si chiede Lulù ad uno dei tanti consigli di fabbrica.




Sara C.

 
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