Lo scorso 10 aprile ho partecipato al presidio organizzato
dall’FLC CGIL di fronte al Miur. Tra gli incontri, gli interventi, le
discussioni e i confronti a cui ho avuto modo di assistere e di prendere parte,
durante il lungo tragitto in pullman Pisa/Roma e poi Roma/Pisa, ho avuto anche
la preziosa occasione di rubare qualche oretta per sonnecchiare e pensare a
ruota libera. Considerato il tema della giornata (il precariato, il lavoro, il
futuro) è stato inevitabile fare un paragone fra la mia situazione lavorativa
di un anno fa e quella odierna.
L’aprile scorso lavoravo in un dipartimento dell’Università
di Pisa, avevo un contratto a tempo determinato in scadenza il 30 settembre e
vivevo nell’amaramente disattesa speranza che, dopo più di sei anni di serio e
valido impegno nel lavoro che svolgevo, il direttore ritenesse un dovere morale
farmi un nuovo contratto.
Oggi, grazie alla mia tenacia e alla graduatoria di un
concorso di due anni fa, ho un contratto a tempo determinato agli uffici
centrali dell’Università di Pisa, continuo a lavorare seriamente e impegnandomi
al massimo ma con un’enorme differenza: ho la consapevolezza che il mio impegno
non implica obbligatoriamente un rinnovo del contratto, che gli elogi dei
dirigenti, per quanto carichi di superlativi e termini appaganti, hanno la stessa
consistenza, le serietà e la stucchevolezza dello zucchero filato alle fiere di
paese e che per tanti colleghi vale il vecchio proverbio “lontano dagli occhi,
lontano dal cuore”.
Ma , soprattutto, pensando all’ingenua fiducia che avevo,
alle delusione e al senso di umiliazioni che ho subito, che mi stordivano e mi
facevano venire le guance rosse come se fossero stati sonori schiaffi a mano
aperta, ai sorrisetti e alle pantomime di circostanza in cui mi si raccontava
senza pudore quanto stessero facendo il possibile per farmi riavere il mio
posto di lavoro, rifletto su quanto tutte queste angherie abbiano rappresentato
un’importante, come direbbe Cliff Robinson alla figlia Vanessa sulla
celeberrima scalinata della loro casa di New York, lezione di vita.
Con i piedi ben saldi a terra e arricchita della mia nuova
consapevolezza, ho imparato che devo avere più fiducia in me stessa e nelle mie
capacità e che chi decide di farti un contratto (ovviamente per i non fortunati
che non possono contare su parentele, raccomandazioni o gonne di tailleur
conservate nel freezer!) non lo fa per generosità ma perché le tua conoscenze e
la tue capacità hanno un valore. Che per tanti colleghi che non incontrerai
più, ci saranno altre persone che diventeranno importanti e che, per quello che
potranno, ti sosterranno e ti staranno vicine. Sdolcinata? Forse! Ma in certi
casi sapere che c’è qualcuno che riconosce quanto vali e che comprende
l’ingiustizia che hai subito è qualcosa di inestimabile e corroborante! Ed
anche se ora mi sento un po’ come Beatrix Kiddo in procinto di partire verso la
dimora del leggendario Hattori Hanzo per mettere in pratica un sanguinario
progetto di vendetta, assopita sul pullman in ritorno da Roma e circondata da
precari che, come me, tra picchi di entusiasmo e momenti di grande disorientamento,
cercano di far valere il proprio diritto ad avere un lavoro e di essere
trattati con rispetto, sono soddisfatta di essere delegata per il personale
precario dell’Università di Pisa e di aver partecipato a questa giornata: spero
fortemente che sia un punto di partenza per una nuova fase di crescita e
conquiste, per me e per le persone che non si danno per vinte.
Ko Ni Chi Wa.