domenica 8 luglio 2012

La sindrome dell'ambizione


Il verbo ambire ha come originario significato: girovagare in cerca di uffici e voti al fine di garantirsi un’ascesa sociale od economica significativa. Per molti secoli, l’ambizione, è stato un costume disdicevole e l’ambizioso – tutto proteso nel tentativo di modificare la propria posizione entro una scala gerarchica che si credeva determinata dagli universali – un individuo biasimevole.  Il riscatto dell’ambizione, da un punto di vista assiologico, avviene in Francia nel periodo postrivoluzionario: un giovane nobilotto di provincia, corso, assurge in pochi anni al rango di imperatore. E’ il 1804.

Tutto il XIX Secolo francese è caratterizzato dalle figure di giovani provinciali, ambiziosi ed affascinanti, ispirati dalle grandi imprese di Napoleone Bonaparte e desiderosi di emularne le gesta. Per la maggior parte, la loro vicenda, il loro romanzo di formazione, sarà sanzionato con la sconfitta più a causa di una società ingiusta, incapace di elevare il merito oltre il lignaggio, che per incapacità. Eppure, è proprio attorno al tentativo ambizioso di cambiare la propria originaria condizione, attraverso superiori qualità, che si organizza un racconto in grado di attrarre generazioni diverse di lettori e indurre un’immedesimazione proprio con l’ambizioso, sia esso Julien Sorel o Eugène de Rastignac.

Ai giorni di oggi una divertentissima rappresentazione di una gioventù dalle qualità intellettuali e morali invidiabili è offerta dalla sit-com The Big Bang Theory che mette in scena un quartetto di ricercatori universitari in California, non molto ricchi, bruttini, desiderosi di una vita sentimentale appagante. L’unico, tra i protagonisti, che sottomette il valore della socializzazione a quello del successo professionale è l’ambizioso Sheldon Cooper che sogna di raggiungere il premio Nobel e di svelare i misteri dell’universo con lo studio della fisica. Ma nessuno si potrebbe identificare con lui: misantropo, cinico, ossessivo a tal punto da aver fatto ipotizzare agli spettatori di essere affetto dalla sindrome di Asperger.

Sono passati centocinquant’anni e l’ambizione è di nuovo qualcosa da cui prendere le distanze: un’istanza patologica, alienante. Come insegna Mark Zuckerberg il successo non può più essere pianificato, non esiste una ricetta che vi conduca; è piuttosto un accidente, proprio come accadeva a quelle figure letterarie, nate prima dell’Ottocento, che riscattavano la propria condizione attraverso l'agnizione o il ritrovamento prodigioso di un tesoro.

Francesco C.


Big Bang Precario!


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